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Giovani e donne pagano il prezzo più alto della crisi del lavoro

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AGI – Il mercato del lavoro “all’inizio del 2021 presenta più ombre che luci” e “la situazione è destinata molto probabilmente ad accentuarsi e diventare ‘esplosiva’ con l’interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti“. È la fotografia allarmante che emerge dal ‘Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione 2020’ del Cnel che sarà presentato martedì prossimo nell’ambito di un’assemblea tematica in collegamento telematico presieduta dal presidente Tiziano Treu.

Si teme, sottolinea il Cnel, “che una parte degli esuberi verrà sicuramente ‘assorbita’ dall’economia sommersa non riuscendo a trovare un’occupazione in regola andando ad aumentare la quota già aumentata negli ultimi anni di lavoro nero. La crisi conseguente alla pandemia ha colpito circa 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta, in seguito al lockdown deciso dal Governo per limitare l’aumento esponenziale dei contagi”.

Giovani e donne pagano il prezzo più alto della crisi innescata dalla pandemia di Covid

“Lo scarso investimento pubblico sulle nuove generazioni (in particolare la parte che va efficacemente a rafforzare la loro formazione e l’inserimento solido nel mondo del lavoro) è il principale nodo che vincola al ribasso le possibilità di crescita italiane, da sciogliere prima ancora che sul piano del rapporto tra giovani e lavoro, su quello più alto del ruolo delle nuove generazioni nel modello di sviluppo del Paese”, spiega il Cnel.

“Se non si inverte questa tendenza non solo si pregiudicano le prospettive economiche del Paese, ma si rischia di alterare in profondità il patto fra le generazioni che è un elemento costitutivo dell’assetto sociale, della sua equità e stabilità”, si legge.

La necessità di chiudere le scuole nel corso del 2020, prosegue il Cnel, “ha costretto a garantire l’istruzione con strumenti nuovi, coerenti con la didattica a distanza. Questo passaggio è stato condotto in condizione di emergenza e ha dovuto confrontarsi con l’impreparazione di tutto il sistema educativo (scuole, insegnanti, genitori, alunni) sia rispetto a strutture e strumenti (dispositivi e connessione), sia rispetto a competenze tecniche, sia rispetto a come reimpostare il processo di apprendimento con nuove modalità di interazione e di trasmissione di contenuti, oltre che con una rivoluzione delle coordinate spazio-temporali”.

Si è trattato, di fatto, “dell’adozione di una tattica difensiva della didattica tradizionale attraverso modalità a distanza, che ha consentito di non bloccare la frequenza delle lezioni, ma ne ha ridotto complessivamente la qualità e ha esposto ad una forte crescita del rischio di dispersione scolastica. Con la conseguenza di inasprire non solo le diseguaglianze generazionali ma anche quelle sociali”.

Quanto invece alle donne, hanno pagato il prezzo più alto della crisi “in quanto impegnate a ricoprire ruoli e a svolgere lavori più precari, soprattutto nei servizi. Le donne non sono un soggetto svantaggiato. Sono la metà del mondo, la battaglia per l’uguaglianza di genere non può essere più solo un punto di un programma politico aggiunto ma deve essere al centro di azioni concrete creando vantaggi economici, sociali e culturali per l’intero Paese”, sottolinea il Cnel.

“Tutti i dati confermano che la condizione della donna lavoratrice è penalizzata soprattutto dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È questa difficoltà che contribuisce a mantenere la quota di occupazione femminile (meno del 50%) al di sotto delle medie europee”, dice il Cnel.

“Tale dato si è aggravato nel corso della pandemia senza che il ricorso allo Smart working abbia giovato a correggerlo, perché esso è stato limitato dall’aggravio di compiti familiari, specie sulle donne con figli impediti di frequentare le scuole. Per lo stesso motivo si spiegano il crollo della occupazione femminile e la crescita del tasso di disoccupazione in occasione della maternità per le donne indotte a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli”, si conclude nel rapporto.

Aumenta la povertà

“Le vicende del mercato del lavoro sono state dominate quest’anno, come molte della nostra esistenza, da due questioni che hanno sovrastato tutte le altre, la protezione della salute dal contagio e la continuità del reddito e della occupazione. Sulla base dei nostri calcoli circa 5,3 milioni di famiglie risultano avere un Isee minore di 9.360 euro annui“.

L’eccezionalità e l’imprevedibilità delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica Covid-19 hanno comportato la necessità di porre in essere una serie di misure di contenimento e di contrasto al contagio senza precedenti, nonché di conseguenti interventi al fine di sostenere lavoratori, famiglie e imprese”.


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