Type to search

Agi

'Generazione Covid', l'effetto-pandemia sullo sviluppo del cervello dei bebè

Share

AGI – Pandemia e lockdown hanno avuto conseguenze dirette sullo sviluppo cerebrale e sui comportamenti dei più piccoli, ma possibili ritardi o alterazioni cognitive e motorie sono recuperabili data la grande resilienza dei bambini. A fotografare lo stato di salute dei bambini nati negli ultimi due anni, la cosiddetta generazione Covid, è un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature che incrocia i dati delle prime ricerche svolte in diversi Paesi. Pediatri citati nell’articolo hanno sottolineato che neonati e bambini sono il prodotto dell’ambiente nel quale nascono e crescono, pertanto quanti venuti alla luce da marzo 2020 in poi hanno risentito del clima da pandemia sperimentato dai loro genitori e dalle restrizioni sanitarie vigenti. 

Uno studio incrociato dell’ospedale per bambini Presbyterian Morgan Stanley di New York e della Columbia University ha effettivamente riscontrato differenze di sviluppo neurologico tra il gruppo dei piccoli nati negli ultimi due anni rispetto a quelli sottoposti agli stessi controlli prima della pandemia. E’ emerso un ritardo nella comunicazione e nelle capacità motorie dei bambini fino a sei mesi di età della generazione Covid quando messi a confronto con quelli nati in precedenza. Nello specifico hanno ottenuto in media punteggi più bassi nei test delle capacità motorie, motorie e comunicative.

Il fattore ambientale

Sul risultato non inciderebbe il fatto che i genitori abbiano contratto il virus Sars-Cov2 oppure se il neonato stesso sia stato contagiato, quanto piuttosto l’ambiente nel quale sono nati e cresciuti. La ricerca preliminare newyorkese ha suggerito come sia lo stress correlato alla pandemia durante la gravidanza ad aver influenzato negativamente lo sviluppo del cervello fetale in alcuni bambini. Una volta nati, i bambini avrebbero risentito di una minore interazione con i propri genitori, meno inclini a parlare con loro e per certi versi più chiusi emotivamente a causa del contesto pandemico, il che ha rallentato in qualche modo lo sviluppo delle capacità fisiche e mentali del proprio figlio.

Secondo gli studiosi, un’altra possibile causa per questi ritardi è stata l’isolamento di molte famiglie con neonati e bambini piccoli, isolamento forzato a causa dei vari lockdown e restrizioni sanitarie, quali il distanziamento, che si sono tradotti in meno interazioni sociali e meno tempo di gioco. Anche gli operatori sanitari e assistenti alla prima infanzia, più stressati, hanno dedicato meno tempo individuale rispetto al passato, quel tempo di cui invece hanno bisogno neonati e bambini piccoli. Altri studi eseguiti dal Developmental Neuroimaging Lab presso l’Università di Calgary in Canada e dalla Fondazione IRCCS Mondino di Pavia hanno riscontrato che ad incidere in modo determinante sui neonati è lo stato di ansia o depressivo delle donne in gravidanza.

Su 8 mila intervistate, quasi la metà ha riferito di aver sperimentato sintomi di ansia, mentre un terzo aveva sintomi di depressione, una percentuale molto più alta rispetto agli anni pre-pandemia. Nei bambini nati durante la pandemia da madri che riferivano più sofferenza prenatale, risonanza magnetica ed altri esami hanno mostrato connessioni strutturali diverse tra la loro amigdala, una regione del cervello coinvolta nell’elaborazione emotiva, e la loro corteccia prefrontale, un’area responsabile nelle capacità di funzionamento esecutivo.

Studi precedenti avevano già stabilito un collegamento tra depressione prenatale, cambiamenti cerebrali nei piccoli e comportamento aggressivo e iperattivo in età prescolare oltre a difficoltà a regolare le proprie emozioni e a mantenere l’attenzione. Ad ogni modo si tratta di aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni e in molti altri comportamenti, spesso un cambiamento della loro connettività indica un fattore di rischio aumentato per la depressione e l’ansia negli adulti. Un altro contributo importante per capire come i fattori ambientali modellino lo sviluppo del cervello nei bambini è arrivato dall’Advanced Baby Imaging Lab della Brown University di Providence, a Rhode Island, dove il team di Sean Deoni, un biofisico medico, ha usato la risonanza magnetica (MRI) e altre tecniche di studio.

Da queste è emerso che in una serie di test che misurano lo sviluppo in modo simile ai test del QI, i bambini nati dalla pandemia hanno ottenuto risultati inferiori rispetto a quelli nati prima. Gli studiosi hanno anche scoperto che le capacità motorie grossolane sono state quelle più colpite e che in generale le bambine sono state meno coinvolte rispetto ai maschietti.

Inoltre l’incidenza di ritardi nello sviluppo cognitivo e motorie è risultata maggiore nei bambini provenienti da famiglie a basso reddito, a riprova della correlazione tra disparità socio-economiche ed effetti negativi del Covid. Come i colleghi newyorkesi, anche Deoni e il suo team accreditano l’ipotesi che molti dei problemi derivino proprio dalla mancanza di interazioni uomo-uomo. In una ricerca di follow-up che non è stata ancora pubblicata sono state registrate le interazioni genitore-figlio a casa, scoprendo che il numero di parole pronunciate dai genitori ai propri figli e viceversa negli ultimi due anni è stato inferiore rispetto agli anni precedenti.

Per giunta in tempi di pandemia molti neonati e bambini piccoli non stanno praticando la solita motricità grossolana, perchè non giocano regolarmente con altri bambini o non vanno nei parchi giochi. I ricercatori britannici hanno invece scoperto quanto aver frequentato asilo nido o scuola materna oppure aver partecipato ad attività di gruppo sia stato fondamentale per i piccoli della generazione Covid, consentendo loro di migliorare le proprie capacità linguistiche e motorie rispetto ai loro coetanei che hanno avuto poche interazioni. Tali benefici sono stati cruciali per lo sviluppo dei bambini provenienti da contesti a basso reddito, da famiglie poco istruite o in bambini di colore, che spesso sono stati anche quelli privati di didattica a distanza per mancanza di strumenti tecnologici. Nei Paesi Bassi gruppi di ricercatori hanno riscontrato che perdite di apprendimento erano fino al 60% maggiori per i bambini provenienti da famiglie meno istruite.

La scuola deve restare in presenza

Ad ogni modo decisamente meglio andare a scuola in presenza, seppur con la mascherina. Le ricercate citate da Nature allontanano il timore del danno rappresentato dal dispositivo sanitario nei più piccoli, che secondo loro non sembrano interferire molto con la percezione emotiva o linguistica. In effetti è stato riscontrato che i bambini di due anni erano ancora in grado di capire le parole pronunciate dagli adulti con maschere facciali opache. Ricercatori negli Stati Uniti hanno scoperto che, sebbene le mascherine facciali rendessero più difficile per i bambini in età scolare percepire le emozioni degli adulti – difficile quanto quando gli adulti indossavano occhiali da sole – i bambini erano ancora, per la maggior parte, in grado di fare valutazioni accurate e di reagire. “I bambini compensano i deficit di informazioni più prontamente di quanto pensiamo”, ha riferito l’autore principale dello studio Leher Singh, psicologo presso la National University of Singapore.

Come dimostrato dai primi studi pubblicati, la spiccata capacità di adattamento dei bambini alle nuove condizioni e regole derivanti dalla lotta al Covid, sia a scuola che nelle altre attività quotidiane, lascia ben sperare sul loro pieno recupero dei ritardi cognitivi e motori riscontrati in parte di quelli presi in esame, e per giunta senza effetti duraturi. “Possiamo assolutamente impedire che questa diventi un’emergenza di salute pubblica. Il cervello dei bambini di sei mesi è molto plastico e possiamo entrarci e possiamo cambiare la loro traiettoria” ha assicurato Dumitriu del Presbyterian Morgan Stanley di New York. “Sono cruciali i primi mille giorni di vita di un bambino per costruire i suoi primi fondamenti. A questo punto i primi bimbi della pandemia, nati nel marzo 2020, hanno oltre 650 giorni, quindi siamo in tempo per intervenire, ma dobbiamo farlo presto” ha sottolineato il biofisico Sean Deoni, ricordando che “i bambini sono sicuramente molto resilienti”.

I rimedi

Oltre tutto questi effetti sarebbero soltanto momentanei e non necessariamente predittivi di problemi a lungo termine. “Il QI, valutato da bambini, non prevede molto. E’ davvero difficile pronunciarsi su cosa significherà per il loro futuro” ha analizzato Marion van den Heuvel, neuropsicologa dello sviluppo presso l’Università di Tilburg nei Paesi Bassi. “I bambini hanno una tale capacità di adattamento ed elasticità. Ci aspettiamo che le cose miglioreranno e che dovrebbero essere in grado di essere resilienti a molto di cio’ che è successo” ha prospettato Moriah Thomason, psicologa infantile e adolescenziale presso la Grossman School of Medicine della New York University. “Non mi aspetto che scopriremo che c’è una generazione che è stata ferita da questa pandemia”, ha concluso Thomason.

Per pediatri e ricercatori, la miglior risposta, la più semplice ed immediata da attuare, è quella di stimolare più possibile i nati nell’era Covid, giocare con loro, parlarci, leggere storie e soprattutto farli frequentare i loro coetanei. Anche le politiche sociali dei governi, volte a sostenere maggiormente famiglie e bambini, potrebbero fare la differenza per superare la pandemia e le sue conseguenze sulla salute di tutti, a cominciare dai più piccoli. 

Source: agi


Tags:

You Might also Like