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Fine del blocco dei licenziamenti: in vista i contratti di espansione e di rioccupazione

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di redazione

Le dichiarazioni rese in questi giorni dal ministro del lavoro Orlando non lasciano dubbi sul fatto che il blocco dei licenziamenti, che scade il prossimo 30 giugno, non sarà rinnovato. “penso – ha detto il ministro – che piuttosto che un blocco generalizzato sia preferibile pensare a interventi che proroghino l’intervento della cassa per situazioni specifiche”

Andrea Orlando, certamente interpretando anche il pensiero di Mario Draghi, ritiene che “piuttosto che un provvedimento generale si può ragionare settore per settore, su strumenti che affrontino le situazioni dove le ferite sono più profonde. Poi, come agganciare l’utilizzo della cassa all’autorizzazione al licenziamento è un tema che tra l’altro è attualmente in discussione in Parlamento e possono venir fuori anche delle risposte che vanno nella direzione auspicata dai sindacati”.

La direzione auspicata dai sindacati è così riassunta dal leader della CGIL, Maurizio Landini: “Non sempre gli incentivi hanno dato dei risultati. Se si offrono, occorre che siano finalizzati e non a pioggia. Sia per aumentare i contratti stabili, che per rafforzare le competenze e la riqualificazione. E per la salute e la sicurezza”.

Però, aggiunge Landini, “Se questo è alternativo alla proroga del blocco dei licenziamenti, non siamo d’accordo. Ma siccome il blocco non è sine die, servono strumenti per la transizione nell’autunno e verso la riforma degli ammortizzatori sociali. Si possono azzerare i contatori della cassa integrazione, fare contratti di solidarietà, estendere i contratti di espansione per fare entrare i giovani con uscite anticipate dei lavoratori più anziani”

È questo il tenore del dibattito sullo sblocco dei licenziamenti, si prevede che a luglio ai 950mila che hanno perso il lavoro nel 2020 se ne possano aggiungere almeno altri 350mila, un’insostenibile macelleria sociale, rispetto alla quale si aspettano i rimedi a partire dal decreto Sostegni bis che sta per approdare in Consiglio dei ministri.

Fino all’ultimo continua il confronto tra la politica e i tecnici del Mef da una parte e delle forze politiche di maggioranza tra lor dall’altra.

L’orientamento che emerge dalle bozze che si conoscono del “pacchetto lavoro” da inserire nel decreto Sostegni bis, circa le crisi aziendali e gli esodi incentivati è quello di un abbassamento della soglia per accedere ai contratti di espansione, che potranno essere utilizzati anche dalle imprese con oltre 100 dipendenti.

Il contratto di espansione consente gli esodi incentivati ai dipendenti fino a cinque anni dalla pensione. L’abbassamento della soglia da 250 a 100 addetti ha un costo stimato tra i 200 e i 300 milioni di euro.

Se il contratto di espansione, nella strategia del ministero dell’Economia è il principale strumento per gestire senza licenziamenti di massa l’uscita dall’emergenza per le imprese che avviano processi di ristrutturazione o riorganizzazione, nel Sostegni bis potrebbe entrare anche il cosiddetto “contratto di rioccupazione” di cui ha pure parlato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.

Si tratta di una forma contrattuale a tempo indeterminato legata alla formazione e ad un periodo di prova della durata massima di sei mesi, con sgravi contributivi al 100%, cumulabili con altri benefici, da restituire nel caso in cui il lavoratore non venisse poi assunto.

Certamente nel nuovo decreto sarà previsto un bonus per i braccianti agricoli, come ha confermato il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, il quale ha dichiarato che le misure “sono definite, il testo è pronto, ci sarà un sostegno ai braccianti: non era pensabile che rimanessero fuori da un sostegno che ha dato garanzie a molti stagionali, ma che aveva lasciato fuori i braccianti agricoli che, come altri, hanno pagato la crisi che ha colpito tutte le produzioni”.