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Fabio Fognini e il tennis mentale di coach Josè Perlas

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La prossima frontiera? Il mentale. Lo sport tutto, e il tennis in particolare, al Simposio del Foro Italico di Roma, pre-Masters 1000, indica la strada. Il guru Nick Bollettieri benedice il percorso. José Perlas, coach spagnolo dal super pedigree sorride sornione ripensando a come ha cambiato la vita a molti talenti indecisi. Da Carlos Moya, che ha portato a una finale, a un titolo Slam e addirittura al numero 1 del mondo, all’altro iberico Albert Costa, che ha accompagnato alla conquista del Roland Garros, dal “mago”, ai tanti altri che ha rilanciato: l’argentino Guillermo Coria, “mosquito” Juan Carlos Ferrero, il serbo Janko Tsiparevic, “Nico” Almagro dal portentoso rovescio e Fabio Fognini.

Perlas, sembra si sia specializzato in talenti un po’ folli.

“Beh, ora, con Dusan Lajovic, ho però un giocatore che tiene aperti gli occhi dal primo all’ultimo momento per imparare tutto quello che può, ha una grandissima voglia di fare, anche se di certo non ha tutto il repertorio di Fognini”.

Lei è stato uno dei primi coach-psicologi.

“In verità la psicologa è mia moglie. Io cerco di dare ordine nelle priorità da raggiungere: con un atleta, bisogna andare avanti un passo alla volta, ma come prima cosa bisogna capire l’ordine delle cose da fare. Creare una solidità di base su cui costruire capacità e qualità del singolo. Che è uno diverso dall’altro e quindi ogni volta bisogna trovare la chiave giusta. Quella è la magia del nostro lavoro per dare le informazioni che occorrono al giocatore, senza creare confusione”.

Poi però comincia il lavoro mentale.

“Bisogna ragionare insieme, capire qual è il limite. Esempio: la gente pensa he Ferrero potesse fare solo certe cose, in campo, invece poteva fare qualsiasi cosa. E lo ha dimostrato vincendo sul duro e diventando numero 1 del mondo. Aveva ricevuto una certa formazione. E lo stesso Albert Costa, che però giocando bene anche fuori dalla terra rossa è diventato un top player”.

La domanda-chiave che lei pone al suo giocatore è: “Lo vuoi davvero?”. 

“Certo, perché non basta il pensiero, l’idea. In generale, il primo anno di lavoro serve per capire come riuscire, nel secondo si ottengono i risultati, ma la cosa più difficile è proprio quella di dedicarsi con amore al tennis, senza guardarlo come a un sacrifico. Deve esistere l’impegno”.

Altrimenti che succede?

“Altrimenti, si scappa dalle proprie responsabilità, e quindi dall’allenatore, perché è più facile dare la colpa dell’insuccesso a un altro piuttosto che a se stessi. Quando scade l’impegno ci si separa, com’è successo sia con Nico (Almagro) che con Fabio (Fognini). Ma si rimane amici con tutti. A parte uno”. Lui non lo dice ma è Feliciano Lopez.

Quali sono i due passaggi fondamentali nell’educazione del tennista professionista?

“È come quando leggi un libro e dopo dieci pagine pensi a un’altra cosa. Così, nel tennis devi trovare come prima cosa la concentrazione. Che parte dalla motivazione giusta: devi farlo per te stesso e non per altri. E poi devi avere l’emozione, che però deve avere dei ricordi che acquisisci nell’allenamento, per cui poi in partita non ti blocchi l’esecuzione davanti alla sorpresa, alla situazione che non ti aspetti e non conosci. Non è una psicologia della galassia, è una psicologia normale, che un giorno vorrei insegnare in una scuola mia, spiegando come trovare la soluzione”.

Ma in base a quale ragionamento, Perlas  accetta o rifiuta un cliente?

“Cerco di individuare quello che può darmi più soddisfazione: meglio il 115 del mondo da portare “top ten” di uno già fatto e finito”.

Il “matrimonio” con Fabio Fognini è durato cinque anni, a un passo dai “top ten”. Oggi le sembra cambiato?

“No, sinceramente, come sempre, è sempre a lottare con se stesso. Invece devi stare in pace con te stesso per puntare al meglio all’obiettivo e non a sprazzi, per dieci minuti, un giorno, una settimana”.

I genitori spesso diventano un problema dell’atleta e del coach.

“Sono fondamentali all’inizio, ma poi, da adulti, devono trovare il punto in cui lasciare andare il figlio nel mondo del professionismo. Capisco quando hai una figlia e temi che incroci le persone sbagliate. Ma in generale molti non capiscono che rimarranno per sempre genitori anche se lasciano i figli camminare senza di loro. E questo problema esiste da una ventina d’anni, prima non esisteva. Magari è per i tanti soldi in ballo o per certi genitori che hanno avuto risultati da allenatori dei figli. Ma devono decidersi a uscire dalla foto per non farli diventare dipendenti”.

Vedi: Fabio Fognini e il tennis mentale di coach Josè Perlas
Fonte: sport agi


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