Type to search

EUROPA E USA PROVANO A RIPARTIRE DOPO IL VIRUS. MA ADESSO SPAVENTA L’INFLAZIONE

Share

La crisi sanitaria non è finita, ma gli investitori sono sempre più fiduciosi che lo sarà presto. Ora, però, i pericoli, secondo gli investitori esperti, sono rappresentati da una possibile iperinflazione e da un aumento dei rendimenti obbligazionari

di Antonino Gulisano

A spaventare i grandi investitori, più del Covid è adesso l’inflazione. È quanto emerge dal periodico sondaggio mensile condotto dal colosso Usa della finanza Bank of America su oltre 220 grandi gestori di fondi in tutto il mondo che insieme gestiscono più di 660 miliardi di dollari di asset.

Alla domanda «qual è la minaccia più grande del momento» i gestori hanno indicato il rialzo dell’indice dei prezzi (37% delle risposte). Come seconda paura più grande è stata segnalata una possibile turbolenza sui prezzi del mercato obbligazionario che in qualche modo comunque potrebbe aver a che fare con il rialzo dell’inflazione (35% delle risposte).

I contagi da Covid-19 sono ancora in crescita in molti Paesi e si registrano notevoli difficoltà nelle campagne vaccinali, tuttavia il problema della pandemia è finito solo in terza posizione nelle preoccupazioni degli operatori economici, con un livello di voci quasi dimezzato rispetto al 30% dello scorso febbraio. Tra i rischi citati dai gestori anche un possibile sboom di Wall Street, così come possibili rialzi dell’imposizione fiscale e norme regolatorie più stringenti.

Dal febbraio 2020 non si avvertiva qualcosa di così preoccupante per i mercati globali. In ogni caso, la gran parte dei grandi investitori intervistati da Bank of America considera più probabile un ciclo economico a forma di «V». Quindi l’attesa è di una rapida ripresa dopo la forte flessione succeduta all’emergenza sanitaria. Questo andamento tuttavia è visto in concomitanza con un balzo dell’inflazione.

Secondo il sondaggio, il 93% dei gestori di fondi prevede una maggiore inflazione nei prossimi 12 mesi, un aumento del 7% rispetto al sondaggio del mese precedente e un massimo storico. Inoltre, il 48% degli intervistati (tra il 5 l’11 marzo) si aspetta che l’economia globale offra una ripresa a forma di V, rispetto al solo 10% dell’indagine di maggio 2020. Analizzando i risultati del sondaggio, Michael Hartnett, capo stratega degli investimenti di Bank of America Securities, ha descritto il sentimento degli investitori come “decisamente rialzista”.

Il consenso dei settori ciclici è cambiato di 180° gradi rispetto alla situazione allo scoppio della pandemia, secondo il sondaggio di BofA. Questa rotazione ha avvantaggiato i settori valute e ciclici, come i titoli industriali, energetici e finanziari, mentre settori difensivi come i beni di prima necessità, l’assistenza sanitaria e i servizi di pubblica utilità registrano performance sotto la media. Il settore tecnologico è il quarto peggiore quest’anno, poiché l’attenzione (e quindi i soldi) si è spostata dai nomi sulla cresta dell’onda durante il 2020, come Peloton e Zoom, a società meno “cool” ma che hanno maggiori probabilità di beneficiare di una ripresa, come Caterpillar, American Airlines o Goldman Sachs.

Questo genere di titoli non sono i soli che possono stemperare i rischi per un aumento repentino dei prezzi. “I titoli azionari rappresentano storicamente una buona protezione contro l’inflazione, in particolar modo quando l’inflazione non determina un’immediata risposta di irrigidimento da parte della FED.

I real asset, quali i terreni agricoli, il patrimonio boschivo o immobiliare, possono avere buone performance, perché garantiscono agli investitori un rendimento che aumenta con il livello generale dei prezzi”. “Anche i titoli a tasso variabile, compresi i prestiti, possono aiutare gli investitori attenti ai rendimenti a gestire tassi di interesse in aumento”.

La crisi sanitaria non è finita, ma gli investitori sono sempre più fiduciosi che lo sarà presto.

Ora, però, i pericoli, secondo gli investitori esperti, sono rappresentati da una possibile iperinflazione e da un aumento dei rendimenti obbligazionari.

Infatti secondo fonti autorevoli, lo tsunami di stimoli monetari e fiscali, insieme all’imminente aumento della velocità di trasmissione monetaria mentre l’economia mondiale esce dai lockdown porterebbe a un surriscaldamento economico senza precedenti.

In Europa a gennaio si è verificato il balzo in avanti più forte da 10 anni.

Prima che scoppiasse la pandemia sia la Bce che la Fed erano riuscite a ottenere un’inflazione attorno al livello auspicato: tra il 2018 e l’inizio del 2020 l’indice dei prezzi si è mosso tra l’1,5 e il 2,7% negli Stati Uniti e tra l’1 e il 2,3% nella zona euro. Poi è arrivato il Covid-19 che, tra i suoi effetti collaterali economici, ha portato anche il crollo dei consumi e la conseguente discesa dei prezzi.

Così, anche se la fiducia sta crescendo, grazie al lancio dei vaccini, all’allentamento delle restrizioni e al supporto senza precedenti da parte del governo federale, i timori non sono del tutto sopiti.

E anche se gli economisti sono molto ottimisti, soprattutto perché gli USA stanno fornendo molto più sostegno all’economia di quanto molti pensassero fosse probabile solo pochi mesi fa, rimane il grande timore per la ripresa di un’inflazione fuori controllo.

Anche perché, nel corso della scorsa estate la Federal Reserve americana ha adottato un cambio di strategia che prevede che i tassi di interesse non vengano alzati anche quando l’inflazione supera la soglia del 2% e finché la disoccupazione non abbia raggiunto un valore valutato sufficientemente basso.

Questo significa che la Fed potrebbe non rispondere subito ad un aumento dell’inflazione sopra il 2%. Scenario, questo, che non rende tranquilli gli investitori americani.

Da tempo i grandi investitori hanno spostato fondi dalle obbligazioni alle azioni: quando l’inflazione è bassa i titoli a reddito fisso (come le obbligazioni) danno rendimenti scarsi e chi cerca maggiori guadagni li può trovare nelle azioni, titoli più rischiosi ma (se va bene) anche più redditizi. L’accelerazione dell’inflazione sta provocando il movimento inverso. Gli investitori temono che l’aumento dei prezzi spinga la Fed ad anticipare il rialzo dei tassi di interesse e il rientro delle misure ultra espansive, due mosse che servirebbero a evitare il “surriscaldamento” dell’inflazione. Anche in Europa c’è chi pensa che in queste condizioni la Bce possa scegliere una politica un po’ meno generosa di quella adottata nell’ultimo anno.

Sono questi timori ad avere provocato il rialzo del rendimento dei titoli di Stato e la fuoriuscita di capitali dalle Borse. I rendimenti dei T-Bond americani a 10 anni giovedì hanno toccato l’1,6%, il massimo da un anno, i tassi dei Btp italiani questa settimana sono saliti dalll 0,62 allo 0,75%, quelli dei bund tedeschi dal 0,33 al -0,26%. Wall Street ha chiuso male le ultime due sedute della settimana.

Non è chiaro però quanto di questo rialzo dell’inflazione sia “vero”. Dietro agli ultimi aumenti dei prezzi potrebbero esserci diversi fattori momentanei, come gli intoppi lungo le catene produttive provocati dal Covid-19, alcune “fiammate” di acquisti giustificate con l’aumento delle speranze di un’uscita dal tunnel.

Un’inflazione stabilmente sopra al 2% non sembra compatibile con uno scenario di crisi economica e di crescente disoccupazione. Questo è quello che sperano anche le banche centrali, che non hanno nessuna intenzione di prendersi il rischio di dovere intervenire con misure monetarie che frenerebbero la crescita economica in un momento in cui sia l’Europa che gli Stati Uniti stanno cercando di ripartire dopo che il virus le ha messe ko.