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«Essere una democrazia conta. Ora Kiev può vincere su Mosca»

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Il docente di Relazioni internazionali: nelle autocrazie la voglia di compiacere il leader fa distorcere la realtà Giusto aiutare l’Ucraina, la Russia può essere fermata
Di Aldo Cazzullo

Gli eserciti a confronto A livello tattico i soldati di una democrazia tendono a essere più motivati: combattono per loro stessi e per un sistema politico che li include; mentre i soldati di un’autocrazia combattono per un regime distante che li esclude L’alleanza occidentale Un altro vantaggio delle democrazie è che tendono ad allearsi tra loro Le armi fornite da Europa e Usa sono più moderne di quelle russe mentre le sanzioni indeboliranno Mosca non solo economicamente ma anche militarmente
Filippo Andreatta insegna Relazioni internazionali e studi strategici al Dipartimento di Scienze politiche di Bologna, di cui è direttore.
Professore, la guerra in Ucraina è più lunga e incerta del previsto. Se l’aspettava?
«Sinceramente no. All’inizio credevo che la sproporzione di risorse tra le due parti avrebbe portato a una rapida occupazione di Kiev e di gran parte del Paese, anche se poi pensavo che ci sarebbe stata una resistenza all’occupazione che alla lunga i russi non avrebbero potuto soffocare. Controllare con la forza una nazione di 40 milioni di persone richiede mezzi di cui la Russia non dispone».
E ora?
«Dopo la vittoria nella battaglia di Kiev, ora l’Ucraina sta prevalendo a Kharkiv e sta resistendo nel Donbass. Emerge una differenza qualitativa a favore degli ucraini, che credo sia dovuta alle sue istituzioni democratiche».
Sta dicendo che l’Ucraina può vincere la guerra?
«L’Ucraina non ha perso, e questa è già una grande vittoria per un Davide contro un Golia. A questo punto non si può escludere che riesca persino a sloggiare la Russia dal Donbass, mentre sono più scettico sulla Crimea».
Le democrazie vincono sempre?
«Non sempre, ma quasi. Nella letteratura scientifica è un’opinione consolidata che le democrazie abbiano alcuni vantaggi militari, almeno nelle guerre convenzionali. Lo dicevano Erodoto della democrazia ateniese, e Machiavelli della Roma repubblicana». Perché?
«A livello tattico i soldati di una democrazia tendono a essere più motivati: combattono per loro stessi e per un sistema politico che li include; mentre i soldati di un’autocrazia combattono per un regime distante che li esclude. Ci possono essere regimi totalitari che riescono a indottrinare efficacemente i propri soldati, ma non sembra questo il caso della Russia di Putin. E poi nelle democrazie gli eserciti non sono coinvolti in politica; nelle autocrazie i dittatori possono temere un colpo di Stato, e quindi spesso interferiscono con i vertici militari fino ad eroderne l’efficacia».
Quindi la debolezza russa sta nel suo regime politico?
«È evidente che la diffusa corruzione ha provocato danni alla qualità degli equipaggiamenti e il diffuso nepotismo alla qualità degli ufficiali. Dalla rivoluzione di Euromaidan, invece, l’Ucraina ha trasformato il proprio esercito, rendendolo molto più simile a quelli occidentali».
Ma è armata dagli americani.
«Ed è in grado di combattere una guerra moderna, combinando le varie armi e delegando le decisioni strategiche ai comandanti sul campo, che sono quelli con le informazioni migliori. Al contrario, la Russia sembra incapace di coordinare fanteria, artiglieria e aeronautica e ha un sistema decisionale anacronistico e centralizzato».
La Russia ha sottovalutato l’Ucraina?
«A livello strategico le democrazie hanno dei sistemi informativi che, sebbene imperfetti, danno una rappresentazione più accurata della realtà e quindi consentono di prendere decisioni migliori. Nelle autocrazie il monopolio dell’informazione e il desiderio di compiacere il dittatore possono arrivare a distorcere la realtà. Putin pensava davvero di vincere in poche ore e quindi il suo esercito non era preparato. Non solo questo ha portato ad un’eccessiva dispersione di risorse, che gli ucraini hanno sfruttato per distruggere intere unità corazzate bloccate sulle strade, ma si sta rilevando importante anche in questa fase decisiva».
In che senso?
«Il principale problema russo è oggi nella carenza di soldati. Le migliori unità si sono logorate nelle prime settimane e ora sembra che la Russia non solo non sia in grado di occupare l’Ucraina, ma nemmeno il Donbass. I britannici stimano che l’esercito abbia perso circa un terzo della propria forza e i rimedi messi in campo non sembrano all’altezza. Il comando russo sta riaggregando battaglioni usando pezzi di unità diverse, che però avrebbero bisogno di tempo per agglomerarsi, o addirittura ricorre a mercenari, irregolari ceceni o abitanti del Donbass coscritti a forza».
Quanto conta il supporto dell’Occidente?
«Questo è un altro vantaggio delle democrazie, che tendono ad allearsi tra loro di fronte a un conflitto. Le armi fornite da Europa e Usa sono più moderne di quelle russe e stanno arrivando al fronte proprio in questi giorni. Col tempo ne arriveranno di più; mentre le sanzioni alla Russia, che non hanno precedenti storici, la indeboliranno non solo economicamente ma anche militarmente, vista la sua dipendenza dall’estero per le componenti più avanzate».
Quindi ha fatto bene l’Occidente — e l’Italia — a sostenere Kiev? Siamo sicuri che corrisponda al nostro interesse?
«Ha fatto bene a prescindere dagli esiti sul campo, perché l’aggressione di Putin ha cambiato le relazioni internazionali in Europa e doveva essere condannata. Ora l’evoluzione del conflitto sta avvalorando la speranza che la Russia possa essere fermata. Il principio della difesa della pace e della democrazia, che era alla base dell’ordine europeo sino al 24 febbraio, si sta allineando con l’interesse a proteggere la sicurezza dell’Europa. Una vittoria ucraina non può ancora essere data per scontata; ma ora è diventata plausibile oltre che auspicabile».

Fonte: Corriere della Sera