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Erdogan cerca l'ennesimo plebiscito, ma le elezioni amministrative sono un'incognita

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“Non è una guerra, sono solo elezioni”. La frase è di Binali Yildirim, fedelissimo del presidente Recep Tayyip Edogan e candidato alla poltrona di sindaco di Istanbul, passato alla storia come l’ultimo premier della storia della Turchia.

Nonostante il tentativo di Yildirim di smorzare i toni, e nonostante sotto il controllo dell’Akp, il partito del presidente turco, ci siano buona parte dei media, dell’apparato istituzionale, giudiziario e dei fondi pubblici, la campagna elettorale in vista del voto amministrativo di domenica prossima sarà ricordata come una delle più tese nella storia del Paese.

Sarà il timore di perdere l’amministrazione di Ankara, sarà il candidato dell’opposizione dato in rimonta a Istanbul, fatto sta che accuse, calunnie e minacce hanno caratterizzato quella che in fin dei conti è un’elezione di giunte comunali e invece il presidente Recep Tayyip Erdogan ha trasformato in un plebiscito.

Le coalizioni e la demonizzazione dell’avversario

Da una parte “Alleanza Nazionale” formata dall’Akp e dagli ultranazionalisti dell’Mhp, dall’altra “Alleanza della Nazione” tra i repubblicani del Chp e i nazionalisti dell’Iyi Party.

Proprio sui candidati di questa coalizione il partito filo curdo Hdp ha indirizzato i propri voti nelle aree in cui è debole o quasi completamente assente.

Una mossa che ha finito con il diventare il cavallo di Troia dell’alleanza Akp-Mhp che accusa di “connivenza con i terroristi” Chp e Iyi Parti.

L’Hdp è infatti stato falcidiato da controversi procedimenti giudiziari che hanno portato alla carcerazione di diversi parlamentari e dei segretari Selattin Demirtas e Figen Yuksekdag, accusati a diverso titolo di vicinanza ai terroristi del Pkk. Abbastanza perché l’Akp basasse la campagna elettorale sulla demonizzazione dell’avversario, con accuse di terrorismo rivolte ai propri avversari, specie nelle città chiave di Ankara, Istanbul, Smirne, Adana, Bursa.

Qui, toccando il tasto del nazionalismo, l’Akp cerca di togliere voti a Chp e Iyi parti, accusandoli di tradire il Paese flirtando con Hdp.

Apice del clima di conflitto un procedimento giudiziario per terrorismo a carico dell’attuale segretario Hdp Sezai Temelli aperto in piena campagna elettorale.

Minacce al candidato di Ankara

Se nella metropoli sul Bosforo Yildirim dovrebbe alla fine spuntarla su Ekrem Imamoglu, la partita è aperta nella capitale Ankara, dove il candidato dell’opposizione, Mansur Yavas, appare in netto vantaggio sul rivale Akp Mehmet Ozhaseki.

Su Yavas pende un procedimento giudiziario in cui è accusato di aver emesso cambiali false.

Un fattore “su cui non si può sorvolare” e che renderebbe la vittoria di Yavas “inaccettabile” per Erdogan, che ha dichiarato più volte che anche in caso di vittoria il candidato Chp “non potrà fare il sindaco” e la capitale sarà commissariata, finendo de facto sotto il controllo dell’Akp.

L’uso della religione

Alle accuse di terrorismo e alle minacce più o meno velate di Erdogan e del suo partito si è affiancato un uso senza precedenti della religione nel dibattito politico, senza precedenti specie se riferito ad elezioni amministrative.

L’attentato nelle moschee di Christchurch in Nuova Zelanda è finito così nella campagna elettorale, con l’Akp che ha spinto la polarizzazione del conflitto politico al massimo.

Durante i comizi Erdogan ha più volte mostrato il laico segretario Chp, Kemal Kilicdarolu, in un video in cui affermava che “il terrorismo è generato dal mondo islamico”.

Una strategia che mira ad esaltare la leadership di Erdogan, politica di certo, ma anche religiosa, considerando la sperticata difesa del mondo islamico posta in essere dal presidente turco e contrapposta al laicismo dell’opposizione.

Opposizione che Erdogan accomuna al resto dell’Occidente, accusato di assistere in silenzio ai torti perpetrati nei confronti dei musulmani.

Da un lato Erdogan, che con la strage in Nuova Zelanda invoca una motivazione religiosa a votare per il proprio partito, dall’altro i rappresentanti locali dell’Akp, che in diversi distretti periferici del Paese promettono che votare per loro “aprirà agli elettori le porte del paradiso”.

L’economia

Accuse di terrorismo e ricorso alla religione hanno permesso al governo di sorvolare sui problemi economici, disoccupazione e inflazione alle stelle degli ultimi mesi.

“Io sono il responsabile dell’economia del Paese”, ha tuonato venerdì Erdogan, che non si è mai tirato indietro nel promettere di risollevare la situazione, senza mai omettere di accusare non meglio precisati “nemici” della Turchia, che “dopo aver provato col terrorismo e col golpe, ora vogliono destabilizzarci con l’economia”.

Difficile che la pessima situazione economica influisca negativamente sulle sorti dell’Akp, in primis per la mancanza di un’alternativa.

L’economia, seppur in secondo piano, ha costituito uno dei temi della campagna elettorale in cui l’Akp ha visitato ogni singolo distretto industriale promettendo investimenti e ripresa.

L’elettorato finirà con l’affidarsi a Erdogan, anche perchè nessuno ha presentato piani alternativi per una ripresa economica e nessuno sembra più adatto a tirare fuori il Paese dalle cattive acque in cui lo stesso Erdogan ha contribuito a farlo scivolare.

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Fonte: estero agi


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