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Elezioni regionali 2022, c’è da vergognarsi ad essere siciliani?

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Finti patrioti alla ribalta, disagiati mentali in pista, mediocri d’ogni tipo e provenienza allo sbaraglio. Carrieristi, speculatori, opportunisti, in corsa, cercando una rivincita. Minacciosi “grillini” nuovamente in avanscoperta

di Augusto Lucchese

Dopo l’impatto con il recente uragano pre-elettorale e constatati i deleteri sconvolgimenti politici che esso potrebbe ulteriormente provocare all’infelice Isola di Trinacria, non rimane che prendere atto di tutta una serie di tristi primati, non certo da “guinness”.

Innanzi tutto quello dell’apolidia di massa che porta i siciliani a rinunciare alle proprie origini storiche e culturali, quando non proprio a rinnegarle, trascurando l’esigenza di controbattere le note e gravi disfunzioni sociali, strutturali, istituzionali e politiche, dell’Isola.

Poi quello di una palese forma di incoerenza che nelle elezioni del novembre 2017 ha fatto emergere risultati di segno anomalo nell’ambito di una scarsissima  affluenza alle urne (46,76%).

S’è ormai instaurata, di fatto, una sorta di recidiva ingovernabilità che certamente ha pesato e pesa negativamente sul già debilitato quadro clinico della sofferente Sicilia, considerato che, peraltro, la funzione dei naturali anticorpi istituzionali è divenuta pressoché ininfluente.

Il crollo elettorale (avvenuto nel 2012/2013) dell’unico museale schieramento apparentemente siciliano, l’MpA di Raffaele Lombardo (a suo tempo sostanzialmente imbrigliato dai variegati raggruppamenti politico-elettorali di marca berlusconiana e salviniana i quali, in funzione di strane e mutevoli convenienze, l’irretì e lo fagocitò), sta a dimostrare quanto sia stato  ingannevole l’operato dei quadri politici dominanti che hanno malamente scelto il contesto “umano” che avrebbe dovuto governare l’anziana e acciaccata Regione siciliana.

Qualcuno può chiedersi e domandarsi cosa hanno a che vedere con la Sicilia  sia il tanto discusso “patron” di Arcore (con la sua macilenta “Forza Italia”) che l’ex bossiano Salvini (erede del detto che “è il settentrione a mantenere il meridione”), arringatore di piazza, mutevole e indecifrabile capo di una Lega che non si capisce più se bassa o alta.

Ai siciliani puri non è rimasto che accettare il “vuoto” dei raffazzonati partiti nazionali che, di volta in volta, decidono a Roma le sorti della incompiuta “autonomia Siciliana” del 1946.

Un altro inconfutabile aspetto dell’inarrestabile deterioramento del quadro d’insieme, è quello della diffusa incapacità a rendersi conto, alla luce dell’improvvida e fallimentare gestione della cosiddetta “autonomia”, della evidente anomalia esistente fra le problematiche isolane e quelle di altre Regioni, visto che anche in casa nostra, da sempre, si tende a remare contro le sacrosante rivendicazioni della Sicilia.

Sarebbe più confacente, quindi, piuttosto che riempirsi la bocca con l’altisonante “autonomia”, parlare di una vera e propria “subordinazione”, più o meno largamente contestata ma supinamente accettata da una consistente parte dell’elettorato siciliano.

Per meglio evidenziare, ancora, il mosaico dei fattori negativi che in genere muovono la coscienza e i comportamenti della “società civile” isolana, non si può prescindere dal fare riferimento ad alcuni altri eclatanti “primati”.

Essi vanno dalla propensione all’immediata e incontrollata fiducia a vecchi e nuovi capi bastone d’oltre Stretto (qualcuno, a suo tempo, è addirittura giunto a nuoto) alla diffusa tendenza a lasciarsi abbindolare dagli slogan, dalle grossolane pur se attraenti promesse, dalla messa in bella mostra d’improvvisate nuove svolte politiche.

Senza dire della più o meno condivisibile passione protestataria di gruppi e movimenti sicilianisti che dimostrano tuttavia di non avere compreso, in quanto essenzialmente legati a finalità settoriali, la necessità di puntare, unitariamente, su condivisibili valori.

Il tutto concorre ad accrescere a dismisura l’imperante confusione di idee che, dritto dritto, porta al nefasto frazionamento della potenziale forza elettorale.

S’è assistito e si continua ad assistere, a tal proposito, alla nascita di una miriade di piccoli e dispersivi corpuscoli, oltretutto l’un contro l’altro armati, quasi sempre destinati ad una prematura fine o, nel migliore dei casi, ad una asfittica esistenza.

Non va dimenticato, fra l’altro, che una larga fascia del tessuto sociale isolano è incline ad una incorreggibile predisposizione all’individualismo esasperato, all’indolenza culturale e formativa, alla mancanza di spirito associativo e cooperativo, al pressappochismo organizzativo e produttivo della vita collettiva.

Ove, infine, a tutto ciò s’aggiunga l’operato di una consistente massa di persone che, buttando alle ortiche i tradizionali valori di lealtà, correttezza e onestà, fa della furbizia e del malcostume quasi una regola di vita, il quadro complessivo diviene scoraggiante e preoccupante.

Trattasi di un patogeno fenomeno che, purtroppo, s’espande sempre più nell’ambito di po’ tutti gli strati sociali, sino a diffondersi, salvo le debite eccezioni che confermano la regola, anche nell’ambito delle classi borghesi – benestanti fra le quali non si possono non includere le affollate “caste” professionali in cui hanno posizioni di rilievo personaggi d’alto lignaggio e d’eccelse doti assieme ad altri parecchio discussi, ambigui e provatamente poco siciliani.

A fronte di un tale complesso e inquietante scenario non esiste una forza trainante imprenditoriale isolana che abbia le idee chiare e sia dotata, oltre che di sicuri obiettivi, d’intrinseche capacità. La Sicilia, di contro, è divenuta “terra di conquista” da parte di spregiudicati affaristi di svariata provenienza oltre di ingorde multinazionali.

Anche in vista della prossima tornata elettorale del 25 settembre, non sembra che sia comparsa all’orizzonte una classe dirigente che abbia tanta volontà e tanto spirito civico da mettere da parte talune convinzioni dettate dall’egoismo, dalla smania di prevaricazione, dalla sete di potere personale, dall’ingordigia dell’arricchimento più o meno lecito.

Men che meno, ormai da parecchi decenni, s’è affacciato sulla scena politica dell’Isola, un qualche coraggioso e ferrigno personaggio in grado d’assumere, prendendo le mosse da una qualsivoglia formazione politica fondata su autentici e non strumentali valori, la veste di capo carismatico dei siciliani degni di tale appellativo.

Occorrerebbe far comprendere al popolo siciliano (particolarmente alla mutevole base popolare), mediante una radicata e incisiva azione culturale veramente coinvolgente, che è assurdo, pericoloso e autolesionistico continuare ad essere politicamente legati e sottomessi al potere dei partiti di stampo nazionale, tutti inclusi e nessuno escluso.

Il riferimento vale anche per quei raggruppamenti sorti in Sicilia che, in varie fasi e in tempi diversi, si sono aggregati, per spregevole tornacontismo, ai saputi potentati romani.

È ben facile constatare, oltretutto, che Sala d’Ercole, con i suoi 70 inquilini, quasi tutti di discutibile caratura, non sembra essere quel polmone che dovrebbe dare ossigeno all’apparato vitale della Sicilia (forse non lo è mai stata) ma, viceversa, sembra essere divenuta uno sfarzoso “saloon” per ciniche ammucchiate di discutibile valore etico o, più semplicemente, un punto d’incontro per bucanieri all’arrembaggio.

La cronistoria di oltre un settantennio di storia autonomistica della Sicilia, porta a pensare che dietro la facciata formale e burocratica di un sì importante organo politico-istituzionale si è sviluppato, di massima, un ambiente in cui prolifera quella mala politica che, in verità, non è appannaggio di un solo specifico settore ma alligna in tutti gli schieramenti partitici, di centro, di destra o di sinistra.

Si ventila in giro (vox populi) che esistono vere e proprie nomenclature volte a soddisfare, in maggiore o minore misura, interessi personali e di gruppo e a canalizzare il mercimonio negli appalti e nella erogazione di servizi, ricavandone profitti, regalie e bustarelle varie.

E chi può affermare in coscienza di non essersi mai imbattuto in variegate forme di clientelismo e di favoritismo (un surrogato del “voto di scambio”), di sfacciato nepotismo, di corruzione, di abuso di potere?

Senza dire dell’improprio utilizzo di consistenti risorse finanziarie, di beni, servizi e strutture degli Enti locali e regionali, nell’ambito dei quali sembrerebbe che non esista alcuna seria propensione al controllo e al contenimento delle spese.

È un dato di fatto, in merito, che i bilanci di tali Enti, chi più e chi meno, si colorano sempre più di rosso cupo, non tanto per fattori imponderabili o in relazione agli oneri per i dovuti servizi di natura sociale.

Nella maggioranza dei casi la bancarotta (o “default”, per usare un termine un po’ più soft) è quasi costantemente dietro l’angolo stante la cattiva gestione portata avanti da malfidati amministratori che, in molti casi, hanno scambiato l’apparato pubblico per un feudo privato.

I macroscopici disavanzi sono più che altro determinati da tutta una serie d’irrazionali oneri che spaziano dai variegati sciupii di facciata o di natura elettoralistica ai notevolissimi costi per il personale i cui organici (spesso in esubero per via di facili assunzioni di dubbia occorrenza o per motivi di natura clientelare) sono di gran lunga superiori alle effettive necessità, specie ove si tenga conto di quella larga fascia di dipendenti sotto utilizzati o di coloro che non assolvono coscienziosamente e produttivamente il proprio compito.

In definitiva, sono troppe le cose che non funzionano in Sicilia, sia per la negativa e inqualificabile gestione dell’Ente Regione nei decenni trascorsi (fra cui non va dimenticato, senza fare nomi, l’ultimo quinquennio), sia per l’ingiustificabile e deleteria disattenzione della classe politica di livello nazionale (ivi compresa gran parte delle incongruenti centurie di deputati e senatori eletti in Sicilia o, per meglio dire, arbitrariamente nominati) verso le gravi problematiche sociali, strutturali, produttive e occupazionali dell’Isola.

Tuttavia, non si può continuare a piangersi addosso invocando un miracolo che non può arrivare, implorando l’aiuto di chi fa finta di non capire (apparato istituzionale nazionale), elemosinando la restituzione (seppure parziale) delle risorse finanziarie ed economiche estorte alla Sicilia con sistemi che talvolta nulla hanno da invidiare a quelli in uso nei turpi meandri malavitosi.

E non va sottaciuto o dimenticato che tali risorse sono state impropriamente utilizzate, notoriamente quanto sfacciatamente, per alimentare il mostro a sette teste del sistema burocratico – istituzionale – politico di stampo partitico, settoriale e lobbistico.

Quello stesso insano sistema che ha creato e seguita a creare un debito pubblico stratosferico (da qualche mese pervenuto oltre la soglia dei 2763 miliardi di euro) dando un colpo di grazia alla potenzialità produttiva (e quindi fiscale) della Nazione Italia, oltre che mettendo a rischio la possibilità di una adeguata ripresa.

Considerando il quadro complessivo della situazione affatto tranquillizzante in cui oggi versa la martoriata Sicilia, nell’ambito della ormai famosa Italia a due velocità, è più che giustificabile la tentazione d’affermare che, così stando le cose, c’è molto da vergognarsi nel vedersi apparentati con quella certa parte della società che, per ignavia, per incuria, per sopravvenuta dedizione ai canoni dell’approfittamento, o per altri fini poco trasparenti ed etici, ha abiurato all’amore per la propria terra ed ha rinunziato a considerarsi discendenti delle antiche origini culturali e civili che, nei secoli, hanno onorato l’Isola di Trinacria.

A quanto sembra anche stavolta non esiste alcun raggruppamento politico di sicura affidabilità cui affidare il proprio voto (se non “tappandosi le narici”, come sosteneva un certo personaggio antiberlusconiano d’altri tempi) e si corre il rischio, in sostanza, di dovere definitivamente rinunciare alla tanto ambita identità siciliana.

 

(Nella foto: Palermo, Sala d’Ercole a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana)