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Donna e alcol

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di Redazione

 

Per molte donne, se non per tutte, gli stili di vita si sono drasticamente modificati di pari passo al nuovo ruolo che la donna, a partire dagli anni sessanta, ha progressivamente acquisito in ambito familiare e sociale. Attraverso i cambiamenti si sono fatti strada anche comportamenti in precedenza socialmente considerati prerogativa del sesso maschile e giudicati “sconvenienti” per il sesso femminile come quelli legati all’abitudine al fumo e al bere.

Oggi, purtroppo, il demone dell’alcol colpisce sempre più le donne e sempre più le giovani e le giovanissime. Un disagio, certo, ma soprattutto un comportamento, uno stile di vita da cui è complesso venirne fuori. E la pandemia ha accelerato il fenomeno, ora definito dagli esperti “preoccupante”.

I dati relativi al 2020 (gli ultimi ufficiali disponibili) del ‘Libro bianco’ pubblicato a fine ottobre 2022 dal Ministero della Salute, in Italia i 56,2% delle donne di età superiore a 11 anni hanno consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno per un totale di oltre 15.700.000 persone e nel corso degli ultimi anni il dato è aumentato, sebbene non si riscontrino variazioni significative rispetto all’anno precedente. Il 6,4% delle donne ha inoltre consumato alcol in modalità abituale eccedentaria, il 22,4% lontano dai pasti, il 3,9% in modalità binge drinking (abbuffata di alcolici  o bere fino a ubriacarsi) e il 9,4% delle donne ha consumato alcol in modalità a rischio per la loro salute, pari a circa 2.600.000 persone. L’analisi degli indicatori relativa ai comportamenti a rischio mostra che nel corso degli ultimi dieci anni la prevalenza delle consumatrici di vino o alcolici fuori pasto è cresciuta costantemente. La prevalenza delle consumatrici a rischio è diminuita rispetto al 2010 ma nel corso del 2020 è aumentata del +5,3%.

Quindi il consumo e l’abuso delle bevande alcoliche è un fenomeno approdato di recente nell’universo femminile. La progressiva riduzione nel numero di donne astemie registrato nel corso degli ultimi venti anni e la diffusione del bere tra le ragazzine e le adolescenti è un indicatore significativo dell’ampliamento dell’esposizione al rischio alcol-correlato del numero di consumatrici il cui organismo, a differenza degli uomini, presenta una maggiore sensibilità e vulnerabilità fisiologica anche in funzione di condizioni esclusivamente femminili come la gravidanza e l’allattamento.

Le linee guida nutrizionali utilizzano il termine “consumo a basso rischio” riferendosi alle unità alcoliche da non superare e raccomandano ad una donna adulta e in buona salute di non superare un consumo giornaliero di 1 unità alcolica, mentre l’uomo non deve superare le 2 unità alcoliche.

Questa differenza dipende dal fatto che l’organismo femminile presenta una massa corporea inferiore rispetto all’uomo, minor quantità di acqua corporea e meno efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’alcol (carenza dell’enzima epatico alcol deidrogenasi). A pari quantità di bevande alcoliche, quindi, corrisponde un livello di alcolemia maggiore.
Per questi motivi la donna impiega un tempo più limitato dell’uomo per diventare alcolista e sviluppa molto più rapidamente le complicanze epatiche, cardiovascolari e psichiatriche correlate all’abuso.

Oltre a queste patologie, la donna bevitrice presenta un maggior rischio di  sviluppare il tumore della mammella e numerosi studi hanno, infine, dimostrato che l’alcol determina una riduzione dell’attività osteoblastica (produzione di cellule delle ossa) e della calcemia (quantità di calcio), fattori che conducono all’osteoporosi.

Non c’è alternativa alla prevenzione.

È un importante scopo della prevenzione cercare di garantire una informazione corretta ed esauriente che contribuisca a rendere le donne maggiormente abili e capaci nella gestione del bere, evitando di esporle agli effetti di una probabile inesperienza connessa all’adozione di un comportamento relativamente nuovo per intere generazioni e che si estende anche a chi, accanto alle donne, vive negli ambiti familiari, lavorativi, sociali.

Liberamente tratto dal Testo donne e alcol a cura di Istituto Superiore di Sanità