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Djokovic (forse) dovrebbe dimettersi

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Il suo destino è essere in guerra. Che siano le bombe della Nato sulla sua Belgrado o le battaglie contro i rivali di sempre, Federer e Nadal, sul campo da tennis per la conquista degli Slam, o i siluri dei media di lingua inglese, forse armati da mamma Tv. Di sicuro, da grande difensore, il campione di gomma Novak Djokovic, fa muro e risponde impavido. Anche se è con le spalle al muro nel difficile e triplice ruolo di campione uscente di Wimbledon, numero 1 della classifica mondiale e presidente del Pro Council AtpTour.

E forse tutti questi fronti aperti tutti insieme sono troppi anche per un guerriero come lui, soprattutto in un momento così delicato della stagione. Come direbbe il ko sulla terra del Roland Garros, dove voleva mettere un pilastro per costruire uno storico Grande Slam, e ora i Championships, che potrebbero ridar fiato all’inseguimento di Roger e Rafa nella collezione di Majors.

“Il mio team mi ha consigliato di dimettermi dal ruolo politico” ammette re Novak davanti al fuoco di fila di domande e tranelli. Ma questo non ha alleggerito il bombardamento degli avversari. Anzi, come ha messo piede nel Tempio, i giornali popolari hanno sottolineato come Djokovic abbia fatto il pesce in barile sull’assegnazione delle ultime teste di serie ai Championships, con la promozione di Federer a numero 2 del tabellone e la retrocessione di Nadal a numero 3: “Capisco la protesta di Rafa, qui non seguono la regola dell’Atp, ma non è la prima volta, hanno un sistema loro”.

E, un po’ da tutte le parti, lo accusano sempre più apertamente del pericoloso stallo in seno al Board e al Council, gli organi che gestiscono il circuito dei tornei pro. Dopo aver spinto alle dimissioni il CEO, Chris Kermode – guarda caso, inglese – e le tante, pesanti, dimissioni di alcuni stimati colleghi, da Stakhovsky a Jamie Murray, da Dani Vallverdu ad Haase.

Emorragia non tamponata dall’immissione di Nicolas Lapentii, perché Weller Evans è rimasto in gioco, come amico ed emissario di Justin Gimelstob. Che, per i “peones” del tennis equivale al “Lucifer”, il diavolo, patrono degli interessi della tv e dei primi della classe, a cominciare proprio di Djokovic.

L’attacco è preciso: da presidente del Council, Nole è intervenuto in prima persona per dirimere l’ultima guerra fra ITF (la federtennis mondiale) e Atp, con le gare a squadre che strozzano la stagione, fra Laver Cup a settembre, nuova Davis Cup a novembre e Atp Cup a gennaio. Qualcuno azzarda che l’abbia fatto anche per motivi politici ed economici, visto che Federer (e il suo manager storico Godsick) ha interessi in due manifestazioni e Rafa nell’altra.

Qualcun altro sussurra che si lasci tuttora influenzare da Gimelstob, ignorando la sua brutta storia di violenze pubbliche e private, contro un ex amico e l’ex moglie. Con tanto di condanna per lesioni, la sede penale evitata per miracolo e una causa civile, sul risarcimento danni, ancora in corso di definizione. Finché, proprio a Wimbledon, in piena conferenza stampa, fra una blanda domanda e l’altra sul facile match contro Kudla, un giornalista televisivo statunitense, Bill Simmons ci è andato giù duro, smascherando Novak almeno sulla sua incompleta, e colpevole, conoscenza dei fatti. Mettendo quindi in dubbio la sua autorevolezza nel risolvere la spinosa questione al vertice del tennis mondiale.

Al campione serbo che protestava contro la colpevolezza non conclamata dell’amico Gimelstob, il giornalista ha ribattuto: “Non è stato dichiarato colpevole dalla corte. Si è dichiarato lui, tale, secondo le carte, perché l’espressione “No contest”, nella corte della California, equivale alla rinuncia alla difesa. Ed è in pratica, un’ammissione di colpevolezza, in cambio di una pena meno severa. Tanto che, quando il giudice gli ha chiesto se fosse a conoscenza di questa realtà, ha risposto “Sì”. Per cui, è colpevole”.

La replica di Nole è stata peraltro debolissima: “È vero, non ho letto le carte, ho parlato con Justin che è un mio caro amico e ho sentito solo quella parte della storia, la sua versione dei fatti”. Nè ha funzionato la transizione difesa-attacco che tanto gli frutta sul campo da tennis: “Sento che tu mi stai attaccando, mi stai puntando il dito contro”.

Perché il giornalista ha replicato sereno, secco, deciso: “Non ti sto affatto attaccando, sto solo chiedendoti se hai letto davvero le carte. Trovo strano che un condannato per aggressione rappresenti il nostro sport”. Mettendo definitivamente alle corde il campione di 15 Slam (4 Wimbledon), la cui reazione piccata non è stata certo politica: “Le leggerò, certo. E ne parleremo la prossima volta. Però non c’è motivo di attaccarmi così”.

Reggerà Djokovic alla pressione anche delle partite? Felix Auger Aliassime lo sta già puntando in un eventuale ottavo di finale di fuoco.

Vedi: Djokovic (forse) dovrebbe dimettersi
Fonte: sport agi


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