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Disuguaglianze, conflitto, sviluppo

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L’economista ed esponente politico della sinistra Fabrizio Barca, nel suo ultimo libro, afferma che i processi riformatori, pur rafforzando i meccanismi di redistribuzione a valle, possono vincere la partita della giustizia sociale e ambientale solo intervenendo anche nei meccanismi pre-distributivi a monte

di Renato Costanzo Gatti

 Ho finito di leggere il libro di Fabrizio Barca “Disuguaglianze Conflitto Sviluppo. La pandemia, la sinistra e il partito che non c’è”, edito da Donzelli, in cui Fulvio Lorefice sottopone a Fabrizio Barca 24 questioni intriganti, libro alla cui presentazione alla Nuvola di Fuksas di Roma fui presente qualche settimana fa. Due sono però in particolare, tra quelle trattate, le questioni che vorrei approfondire, e precisamente la questione numero 1 e quella al numero 22.

La questione numero 1 parte dalla constatazione della “insufficienza storica di quanti, ancora oggi, vogliono collettivamente trasformare questo mondo per garantire il pieno sviluppo della persona umana”, ci si interroga cioè sul fatto se per raggiungere una società più giusta sia sufficiente agire sulla redistribuzione della ricchezza creata dal capitalismo (la tosatura della pecora di Olof Palme) ovvero sia necessario superare l’azione sovrastrutturale e intervenire nella struttura economica tendendo a modificare la logica del capitalismo.

Se vogliamo è l’alternativa tra una visione riformista definibile come socialdemocrazia e una visione riformatrice, gramsciana della missione del socialismo quale protagonista egemone della storia.

Riformisti o riformatori? Rafforzare i diritti dei subordinati affermandone una crescente partecipazione grazie alla costruzione di un welfare state, una società del benessere che rafforzi lo status dei subordinati, o modificare i rapporti all’interno del modo di produzione trasformando magmaticamente i subordinati in dirigenti? In fondo, se pensiamo alla sinistra storica in Italia, dalla scissione di Livorno in poi queste sono state le strade parallele tra socialisti e comunisti.

È noto di che cultura sia Barca, il quale sull’argomento scrive di essere convinto che: “la risposta debba investire quegli stessi processi, e che, pure rafforzando i meccanismi di redistribuzione a valle, la partita della giustizia sociale e ambientale si vinca intervenendo nei meccanismi pre-distributivi a monte. Riteniamo, cioè, che vadano modificate le modalità di formazione ed accumulazione della ricchezza e della conoscenza e gli equilibri di potere che le governano. Se non si cambia la loro direzione, i fiumi riportano continuamente reddito, ricchezza e controllo della conoscenza là dove erano già, e l’opera è dunque vana. Perché, anche al di là dell’esito distributivo, per la dignità e l’eguaglianza delle persone è decisiva la natura del ruolo e delle relazioni che esse hanno nel processo produttivo, nella definizione dei tempi e modi di vita e nell’interazione con la natura.

È stato proprio questo il limite della socialdemocrazia, che non ha retto alla prova. Essa ha giocato le sue carte migliori nella costruzione non solo di servizi universali – la parte più imperitura del suo lascito – ma anche di sistemi di tutela sociale che leniscono le disuguaglianze, e nel farlo ha spesso preso di petto la supremazia patriarcale degli uomini; ha sperimentato forme di governo partecipato territoriale della domanda collettiva e ha in molti casi promosso la democratizzazione del governo societario e del rapporto tra lavoro e detentori del capitale, mettendo in atto forme di governo societario alternative di natura mutualistica e cooperativa; è anche riuscita a interpretare e raccogliere l’intelligenza collettiva dei movimenti sociali e costruire così strumenti, pratiche e istituzioni capaci di pesare sui meccanismi di produzione della ricchezza e nei modi di vita. Ma questo impegno non si è tradotto in un trasferimento permanente di sapere e potere ai più vulnerabili che costruisse nuovi equilibri ed è invece regredito in molti casi nel ricorso a strumenti di natura prevalentemente compensativa”.

Intervenire nei meccanismi pre-redistributivi (termine già usato da James Meade e da Atkinson) significa intervenire nel modo di produzione ed entrare nella gestione del plusvalore non accontentandosi più di intervenire al momento della tosatura della pecora ma agendo come soggetto anche nel momento della sua crescita e del suo sviluppo. Il riequilibrio della gestione della produzione e dell’impiego del plusvalore diventa fondamentale nel prossimo futuro in cui nel modo di produzione conterà sempre più il lavoro morto rispetto al lavoro vivo.

Siamo così passati alla questione 22. Lorefice pone la questione in questo modo: “Giunti a questo punto di sviluppo delle forze produttive e in virtù delle straordinarie acquisizioni tecnologiche, sarebbe cioè possibile redistribuire il tempo di lavoro e di vita garantendo a tutti inediti spazi di libertà, individuale e collettiva”. Alla questione Barca risponde che lo sviluppo tecnologico di per sé non è neutrale ma è pur sempre condizionato dai rapporti di forza tra capitale e lavoro, potendo quindi rappresentare elemento di liberazione ma anche di regresso; egli scrive: “Sulla base dei rapporti di forza, progresso scientifico e avanzamento tecnologico possono certo essere utilizzati per l’emancipazione sociale o per la regressione sociale e questo dato è sempre stato vero (…) Le potenzialità della trasformazione digitale, e quindi dati e machine learning, o algoritmi di apprendimento automatico, per comprendere correlazioni e assumere decisioni in tutti i campi della vita umana, si presentano a usi di emancipazione come di regressione”

Ecco che allora limitare l’impegno per ampliare gli spazi di redistribuzione potrebbe risultare una decisione perdente stante l’enorme potere decisionale del capitale a monte del processo e del modo di produzione, capitale sempre pronto poi a far ricadere sul lavoro i costi ed i guasti delle crisi generate, come quella del 1929 e del 2008, dai fallimenti del capitalismo.

Barca, poi, si sofferma sulla potenza degli algoritmi presentati come risultato di una certa scienza quindi indiscutibili e asettici: “Dal momento che il controllo delle piattaforme digitali è oggi in mano a un gruppo ristretto di grandi corporation, che regolano l’approvvigionamento dei dati, le domande, i vincoli degli algoritmi, il pubblico scrutinio richiede che quel controllo sia messo in discussione. Una strada per farlo è il controllo pubblico delle piattaforme digitali.”

Ritengo che una lettura del testo di Barca sia utile a tutto il campo riformista per definire ed approfondire una strategia di sviluppo economico coniugata con l’equità sociale, per decidere se dedicarsi alla redistribuzione del reddito oppure interessarsi anche alla pre-redistribuzione dello stesso.