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Dimenticate conigliette e pornostar: per Trump sono guai se Cohen parla del Russiagate

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È stato forse il giorno più difficile della sua presidenza, segnato da un duplice scacco, ma Donald Trump "non è per nulla preoccupato" dal passaggio in 'campo nemico' di Michael Cohen, l'avvocato che durante le presidenziali del 2016 pagò la pornostar Stormy Daniels e l'ex coniglietta di Playboy Karen McDougal "in coordinamento e sotto la direzione di un candidato ad un incarico federale" perché tacessero sulla loro relazione con il suo cliente, ovvero Trump.

I pagamenti "non sono una violazione della legge che finanzia la campagna elettorale", ha reagito il presidente americano. "Il denaro non veniva dalla campagna. Era mio", ha affermato Trump in una intervista, in cui è sembrato contraddirsi rispetto a un tweet della stessa giornata, nel quale in qualche modo ammetteva il reato: "Michael Cohen si è dichiarato colpevole di due capi d'imputazione per violazione della legge sul finanziamento della campagna elettorale che non sono crimini. Il presidente Obama ha avuto una grande violazione del finanziamento della campagna elettorale ed è stato facilmente sistemato!". In ogni caso, ha tuonato, "se cercate un buon avvocato, vi suggerisco fortemente di non rivolgervi ai servizi di Michael Cohen!".

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Il guaio, per Trump, è che adesso Cohen è pronto a vuotare il sacco su tutto il resto a partire da quello che sa sul Russiagate​. Lanny Davis, il suo legale ha detto che il suo cliente ha informazioni che "dovrebbero essere di interesse per il procuratore speciale", Robert Mueller, che indaga sulle interferenze russe nelle elezioni americane.

Cohen, ha continuato Davis intervistato dal network Msnbc, "è più che felice di raccontargli tutto quello che sa, è a conoscenza dei crimini informatici di hacking e se Trump sapesse o meno di questo crimine in anticipo e persino se ne abbia esultato". Davis, che ha rilasciato un'intervista a diverse testate americane, si riferisce alle e-mail hackerate al partito democratico e diffuse da Wikileaks durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016. L'operazione, secondo i servizi segreti Usa, è attribuile ad hacker legati al Cremlino.

Incriminazione o impeachment?

La confessione di Cohen – che rischia fino a cinque anni di carcere e attende la sentenza il 12 dicembre; è libero su cauzione, fissata dal giudice in 500 mila dollari – apre diversi scenari, ben descritti dal New York Times. Sebbene la Costituzione non vieti esplicitamente di incriminare un presidente, da tempo il dipartimento di Giustizia – oggi guidato da Jeff Sessions – ha scelto la posizione, per cui il presidente in carica non è soggetto a procedimenti penali. "Con questo dipartimento di Giustizia – scrive il Nyt – Trump non verrà perseguito, almeno finché non lascerà l'incarico".

Una seconda possibilità, chiesta da alcuni esperti legali, è permettere ai procuratori di incriminare Trump, ma aspettare la fine della sua presidenza per portare avanti l'iter giudiziario. 
Un terzo ed ultimo scenario è l'impeachment: i procuratori possono presentare le prove raccolte alla commissione Giustizia della Camera, perché valuti una tale iniziativa; ma con un Congresso controllato dai repubblicani anche questa opzione appare improbabile, osserva il quotidiano.

E per Manafort non si esclude la grazia

Nell'attesa Trump valuta se graziare l'ex manager della sua campagna elettorale, Paul Manafort, condannato per 8 capi d'imputazione, di cui cinque per frode fiscale. La condanna di Manafort – anche lui nel mirino di Mueller – "non ha nulla a che vedere con le collusioni", ha tenuto a rimarcare Trump definendo l'ex capo della sua campagna elettorale "una brava persona" e il Russiagate "una caccia alle streghe". Sul suo ex fedelissimo 'factotum' Cohen, Trump ha preferito non fare commenti.

Per il 69enne Manafort, sebbene la colpevolezza riguardi solo 8 dei 18 capi di accusa, perché sui restanti dieci non é stato raggiunto un verdetto, si profilano almeno 30 anni di carcere, praticamente a vita. Trump non ha escluso di poter concedere la grazia a Manafort sebbene la mossa potrebbe rivelarsi un boomerang, soprattutto se lo facesse prima delle elezioni di medio termine in calendario a novembre. Verrebbe letta come la volontà di nascondere qualcosa sulla Russia.

I democratici lo hanno già avvertito. "Sarebbe un abuso di potere", ha dichiarato il senatore Mark Warner, "il Russiagate non è una caccia alle streghe". "Non si azzardi a parlare di grazia per Paul Manafort o Michael Cohen", è stato il monito del leader di minoranza al Senato, il democratico Charles Schumer. E in serata neanche Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca, ha voluto rispondere alle domande dei giornalisti sul tema.

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Fonte: estero agi


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