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Dietro il pressing di Renzi sul Recovery c'è anche un piano B

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AGI – Prima capire cosa fare, come spendere i fondi Ue, per esempio quelli destinati per ora alla sanità sono pochi, su questo concordano sia Matteo Renzi che il ministro Roberto Speranza, poi affrontare il tema della ‘governance’. La cabina di regia sul ‘Recovery plan’ resterà ‘congelata’, perlomeno è questa la convinzione del leader di Iv, che da giorni insiste sulla necessità di uno stop da parte di Conte.

Sul tavolo del prossimo Cdm dovrebbe arrivare una bozza del piano da trasmettere poi alle Camere. Lo fa capire anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti, rilanciando l’invito a sbloccare l’impasse su tutti i dossier, non solo il ‘Recovery’, altrimenti “non si va avanti”. “Avremo di fronte tra qualche giorno – spiega – una proposta sul Recovery Fund. E’ una proposta, non un pacchetto chiuso in se stesso.

E’ figlia del lavoro positivo di questi mesi ma è doverosamente aperta al confronto in Parlamento, anche con le opposizioni, e nel Paese. Così come sulla base delle priorità che anche noi abbiamo contribuito a definire nella maggioranza, si dovrà decidere l’allocazione definitiva delle risorse”. Il premier parla di ‘fraintendimento’ sul ‘Recovery’, del fatto che i ministri non saranno commissariati ma Italia viva non cede. Un ‘big’ Iv la mette così: “Per noi è un’operazione ‘win-win’: “se Conte torna indietro sui suoi passi per noi è una vittoria, se non lo fa si apre un’altra partita”.

Il ‘piano A’ è quindi rimettere tutto in discussione, a partire dal ‘Recovery plan’. Per arrivare al modello francese: una cabina di regia con le forze parlamentari e le parti sociali, senza piantare paletti ad una unità di missione ma lasciando alla politica (e al Consiglio dei ministri) la facoltà di decidere sui progetti.

Il Piano B di Renzi che potrebbe piacere a Salvini

Il ‘piano B’ è l’ipotesi di un esecutivo istituzionale. E in tanti nei partiti di maggioranza e opposizione negli ultimi giorni sono tornati a guardare a Mario Draghi, ritenendo che sono lui, come alternativa a Conte, possa gestire i 209 miliardi. Il presidente del Consiglio da giorni ha fatto sapere di essere disponibile a trattare sul ‘Recovery’, al pari del ministro Roberto Gualtieri, con la premessa che una struttura e un coordinamento sono necessari, soprattutto per evitare ritardi di fronte alla Ue.

Ma anche nel Pd c’è irritazione per il metodo portato avanti dal premier. “Nessun ‘fraintendimento’. Ma solo la capacità (o la voglia) di leggere le carte”, taglia corto per esempio il dem Borghi. Il sospetto all’interno di un’ala del Pd è che Conte si stia creando una propria struttura, se non un proprio partito. 

La mediazione si aprirà nel Consiglio dei ministri con i ‘pontieri’ al lavoro per raffreddare il clima. Ma Renzi non demorde. “Se Conte non cambia atteggiamento dopo la legge di bilancio si volta pagina e Draghi potrebbe essere disponibile”, osserva per esempio un renziano.

Il ruolo di Di Maio

L’invito al capo dell’esecutivo a mediare arriva anche dal Movimento 5 stelle, alle prese con altri abbandoni (altri quattro alla Camera), possibili sanzioni (per chi ha votato no alla riforma del Mes) e con una ‘governance’ (l’ipotesi e’ di un organismo collegiale a 5) che tarda ad arrivare.

Se ne fa carico Luigi Di Maio. L’exit strategy è “non togliere potere a ministeri, Regioni e Comuni” ma – afferma – “servono norme che rendano tutto piu’ veloce. Avremo bisogno di norme straordinarie”. Ed ancora: “Basta scontri politici” sul Recovery, “voglio fare un appello all’unità. Troviamo una soluzione insieme senza azioni e iniziative unilaterali da una parte e dell’altra”.

Nel fronte rosso-giallo è convinzione comune che il premier debba intestarsi il progetto della ripartenza se non vuole essere travolto. Perché sul ‘piano B’, ovvero su un eventuale governo istituzionale, qualora si creassero le condizioni, difficilmente – ragionano in tanti sia nei gruppi di maggioranza che di opposizione – ci si potrà sottrarre. Anche tra i gruppi M5s, al netto del “no ai tecnici”, prevale la linea “fare di tutto per evitare di andare a casa”. “O Conte si dà una mossa oppure ci sono altri scenari”, dice un esponente di spicco del Pd.

Nelle Lega cresce il fronte delle larghe intese

E’ chiaro che nel governo ma anche nelle forze di maggioranza al momento non si lavora a progetti di unità nazionale. “Ma potremmo certamente arrivarci se Conte non ragiona”, osserva un ‘big’ del Pd. Non è solo la maggioranza ma anche l’opposizione ad attendere le mosse del presidente del Consiglio da una parte e del senatore di Rignano. Perché l’immagine di ieri con Renzi applaudito da tutto il centrodestra al Senato è comunque una fotografia inconsueta.

Mesi fa Matteo Salvini aprì alla prospettiva di un governo istituzionale per poi chiudere quella porta, anche perché la sua disponibilità non era stata accolta. Ma di fronte a quella che tutti i ‘big’ del partito di via Bellerio, considerano una vera e propria emergenza democratica, in tanti nella Lega sono tornati a ragionare sul piano B.

L’ala moderata che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti individua un bivio: “O restiamo sulla riva del fiume e assistiamo al ‘big bang’ di questa maggioranza o di fronte ad un quadro che cambia valutiamo altre alternative”, osserva un ‘lumbard’. Salvini non guarda a quel bivio, anche se un suo fedelissimo non esclude nulla. La convinzione del ‘Capitano’ è che questo esecutivo non possa reggere ma per ora non c’è l’intenzione di fare aperture ad altri governi. “Tutti abbiamo capito che difficilmente si andrebbe a votare. Noi – premette un ‘lumbard’ – non siamo attori protagonisti della partita, non siamo ne’ al tavolo ne’ invitati, vediamo Renzi come si comporta”.

Tocca al Pd capire – ragionava l’altro giorno Giorgetti con alcuni parlamentari – che ha tutto da perdere. In questa situazione di incertezza chi ci guadagna è Conte che continua a governare. “Stanno facendo carne di porco della Costituzione”, si sfoga un altro leghista. Risaputo che pure Fratelli d’Italia non crede che Renzi possa rovesciare il tavolo e che Meloni punta solo al voto, anche in FI ora l’imperativo è un altro. Ovvero quello di un centrodestra compatto. “Noi comunque pensiamo solo al Paese e non andremo mai a sostenere questo governo”, spiega un berlusconiano doc.

 

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Fonte: politica agi


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