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Didattica a distanza, un ostracismo ingiustificato

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di Gianni De Iuliis

L’emergenza sanitaria rappresenta un’opportunità per il sistema scolastico italiano. Il concetto di educazione tradizionale sta radicalmente cambiando, per cui essere fisicamente presenti in una classe non è più l’unica opzione di apprendimento, almeno non con l’avvento delle nuove tecnologie. Si ha accesso a un’istruzione di qualità in ogni luogo e in ogni momento, basta collegarsi a un computer. L’istruzione online è flessibile e consente un’esperienza di apprendimento personalizzata.

Ovviamente l’Istituzione Scuola deve modificare i suoi assetti organizzativi e normativi. Non è possibile mantenere l’impianto tradizionale effettuando semplicemente una traslazione dalla presenza alla realtà virtuale. Tutti gli orpelli che oggi purtroppo appesantiscono la Scuola, sottraendo spazio e importanza alla didattica, devono essere rimossi: bisogna ridare centralità al rapporto intellettuale e culturale tra docente e alunno, evitando inutili dispersioni. In questi mesi di didattica a distanza finalmente tale rapporto è stato valorizzato e preservato.

In ultima analisi non sono chiare le ragioni dell’ostracismo verso la didattica a distanza. Molte eccezioni poste sono di carattere soggettivo e arbitrario, quindi inconsistenti. Si parla di socializzazione, di rapporto con i docenti, di possibilità di aumento del cheating  da parte degli studenti, di sofferenza fisica a stare collegati dinanzi a un computer. Mi sembrano veramente motivazioni poco oggettive.

L’unica motivazione seria è peraltro riportata anche dalla sociologa Chiara Saraceno: c’è un rischio di aumento delle disuguaglianze che potrebbe condurre a una dispersione scolastica di tipo digitale più accentuata. Il problema però può essere risolto a livello centrale offrendo a tutti la possibilità di un collegamento gratuito e di un dispositivo. Forse bisogna spostare il focus degli investimenti statali nella Scuola, evitando dispersioni nell’edilizia scolastica e concentrando i flussi finanziari verso il potenziamento digitale delle famiglie. Il Recovery Plan potrebbe essere un’opzione in tal senso.

Forse il mondo della Scuola è ancora troppo conservatore, legato a modelli tradizionali e teme il diffondersi della didattica a distanza? Forse una maggiore attenzione alla didattica e al rapporto intellettuale   docente/studente rischia di mettere in crisi la piramide gerarchica e funzionale, sottraendo potere a tutte le altre figure della filiera dell’istruzione? Forse s’ignora colpevolmente che il futuro del lavoro potrebbe essere caratterizzato dalla cancellazione del legame tra il luogo in cui si vive e il luogo in cui si trova fisicamente l’azienda per cui si lavora. Il lockdown ci ha abituato allo smart working, in Italia uno studio di Aidp (Associazione italiana direttori del personale) spiega che il 68% delle aziende prolungherà le attività di smart working anche nella fase di ritorno a una nuova normalità. Vogliamo immettere nel mercato una generazione di lavoratori ancora legati a uno spazio fisico e incapaci di flessibilità?


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