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Debutto a Sanremo dei Coma_Cose, giocolieri con le parole e unici congiunti al festival

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AGI – C’è un’intera comunità di appassionati di musica indipendente che attende con ansia il debutto sul palco del Festival di Sanremo dei Coma_Cose. La loro è solo una delle belle storie che racconterà questa edizione della kermesse, lui si chiama Fausto “Lama” Zanardelli, diversi anni fa faceva il rap a livelli talmente buoni da riuscire a strappare un contratto ad una major, il disco esce ma non va granché bene, tant’è che Fausto è costretto a rimediarsi un altro lavoro, viene assunto come commesso ed è proprio lì che conosce una collega, Francesca “California” Mesiano, è lì che nascono i Coma_Cose.

È lì che nasce anche un amore che li porta oggi, da protocollo Rai, ad essere gli unici artisti in gara, essendo congiunti, a potersi, volendo, toccare in scena. Quel corto circuito meraviglioso tra il modo di giocare con le parole ed un’interpretazione dei brani innovativa, crossover tra il rap e il pop, fa breccia nel cuore di chi segue con attenzione ciò che succede nella scena indie, e li porta ad un successo veloce e travolgente. 

“La tua testa è un gigantesco centro sociale!” diventa la dedica urlata di un’intera generazione di innamorati, le ragazze sono “belle come David Bowie”, una generazione che si riconosce malata de “La sindrome da Peter Pan di stelle” e che non punta al denaro perché “Chi ha troppo grano intorno probabilmente è uno spaventapasseri”.

Forse nessuno come loro in questa nuova infornata di cantautori ha partorito frasi diventate così epiche, entrate nel gergo di chi li segue contribuendo in maniera definitiva alla creazione di un nuovo vocabolario, uno slang poetico da decifrare e della quale non si può fare a meno di restare ammaliati.

Come state vivendo questa avventura?

Siamo un po’ trafelati ma stiamo tenendo botta. Per quanto riguarda il festival nello specifico siamo molto rilassati, la sensazione che abbiamo avuto sul palco quando abbiamo fatto le prove è abbastanza tranquilla, forse questo festival senza gente è innegabile che sia propedeutico per chi è alla prima esperienza come noi, perché senti meno la pressione.

Secondo te influirà sulla vostra performance?

Io credo che c’è da fare una distinzione tra pubblico e, perdonami la parola un po’ brutta, “circo mediatico”. Per qualsiasi artista è determinante avere davanti delle persone con delle facce, delle espressioni, un’energia, è alla base del nostro lavoro; quello che sicuramente aiuta alla concentrazione è sicuramente l’assenza di tutta quella parte “saltimbanchesca” dell’apparato televisivo.

Poi noi siamo qui per giocare, come tutti, e la prendi anche volentieri, fa parte del gioco, ma sicuramente un pochino sconcentra dall’esibizione che poi si va a fare la sera. Ma, sai, per noi è tutto nuovo, non avendo parametri è comunque un’emozione gigante a prescindere da qualsiasi cosa.

Perché Sanremo?

Sanremo perché non era tra nostre mete a prescindere, non lo sarebbe stato se non avessimo avuto una canzone adatta ed è stata un buona la prima, tra tutte le canzoni che abbiamo lavorato, che abbiamo scritto, in questo anno di distanziamento forzato dai palcoscenici, è arrivato anche questo brano che abbiamo detto “Sai che è perfetto per Sanremo? Ci proviamo?”. Ok, andata, piaciuta, sul palco e via. L’idea di volerci andare a prescindere non ci ha mai accarezzato, e nemmeno il fatto di fare il toto canzone, tipo “ci vogliamo andare e proviamo con questa o con quell’altra”.

Quindi è subito piaciuta quella che avete mandato?

Ovviamente c’è stato l’invito a mandare altro materiale, ma io sono stato molto stoico e ho detto “Non prendetelo come un atto di snobismo, ma noi ci sentiamo a nostro agio con questa, in caso fa anche niente non venirci”. Con tutto rispetto però avrebbe significato mettersi in gioco con altri colori che non erano adatti a quel palcoscenico lì.

La vostra è una discografia molto variegata, dentro ci si trova di tutto, come avete fatto a scegliere un brano per Sanremo?

È stato proprio fisiologico, ci siamo presi un anno a ribaltare un po’ tutto ed è stata in questo caso anche fortuita la quarantena. Siamo un po’ stanchi di questa parola altisonante che è “urban”, che ormai è diventata un po’ invadente, qualsiasi cosa è urban, “Fallo urban!”, “Metti l’urban!”, cioè questa cosa dell’urban ha rotto un po’ le scatole.

Io non voglio prendermi patrocini però siamo stati dei promotori di un certo tipo di crossover di sound, forse proprio per questo ora sentiamo l’esigenza di essere tra i primi che scappano da questo tipo di gabbia sonora in cui si stanno cacciando un po’ tutte le produzioni attuali, tant’è che la grande scommessa era cercare qualcosa di diverso, più di tutte le cose era “cerchiamo un suono diverso e inesplorato”, questo era il diktat, dopo è arrivata la canzone e dopo la voglia di portarla a Sanremo.

Però la bussola che ha mosso tutto è stata “vogliamo fare qualcosa di diverso”, per noi in primis e poi speriamo che arrivi diverso anche al pubblico.

Sanremo è un luogo per il rap?

Secondo me si, come tutti gli altri luoghi adibiti alla canzone. Sicuramente nel nostro paese l’idea di un rap più “conscious” non è magari tra quelle più cavalcate, però se arrivassero canzoni con un messaggio sarebbe bellissimo, se deve arrivarci il rap più grottesco, più macchiettistico, diventa una cosa di costume fine a se stessa che serve anche a poco.

Quando avete letto il cast di Sanremo cosa avete pensato?

Ci sono un sacco di realtà, di gruppi, di artisti, con i quali abbiamo diviso i camerini dei festival degli ultimi tre anni in giro per l’Italia e credo che sia anche questo un bene per il festival, perché diventa un pochino più fotografia dell’attualità, piuttosto che una cosa sospesa nel nulla che non ha un riscontro vero nella vita di tutti i giorni.

Sanremo è arrivato tardi su questa scena?

In realtà le prime avvisaglie si sono già viste nei festival di Baglioni, il changing è stata l’edizione di due anni fa con Mahmood, Zen Circus, Motta…lì già c’è stata una sensazione di cambiamento importante, l’anno scorso forse c’è stato un piccolo rientro di questa cosa e quest’anno è come se avessero capito che avevano buttato un seme anni fa che era giusto far fiorire, io ho un po’ questa sensazione.

Nella serata dei duetti porterete “Il mio canto libero” di Lucio Battisti, volevate chiudere un cerchio con “Anima Lattina”?

Esatto, ci sembrava gusto dare un senso a quello che abbiamo fatto, alla strada che abbiamo tracciato in questi anni. Battisti fin dal giorno zero è stato un artista nelle nostre corde per scrittura, per attitudine, quindi adesso che il palcoscenico è il più importante in Italia, ci sembrava giusto concretizzare questa alchimia che abbiamo, questa reference che fa parte del nostro linguaggio.

Quale sarà l’ultima cosa che penserete prima di salire sul palco?

Sicuramente penseremo un po’ agli affetti, alle famiglie, Sanremo ti riporta sempre un po’ all’infanzia, è una di quelle cose che vedevi con i tuoi genitori da piccolo, aldilà se uno sogni o non sogni di essere su quel palco, c’è qualcosa di fortemente familiare. Quindi penseremo alle nostre famiglie e al nostro gatto che abbiamo lasciato a Milano e ci guarderà da casa ed è un po’ il terzo familiare di casa Coma_Cose, non dico figlio perché magari è una parola altisonante.

Voi, secondo il protocollo sanitario del festival, siete gli unici congiunti in gara a Sanremo, gli unici che, volendo, sul palco potrete anche toccarvi…

Per assurdo si, infatti è un’arma segreta, come avere un superpotere in più degli altri e cercheremo di sfruttarlo in modo sensato, senza strafare perché poi dopo, sai, l’allarme “sdolcinazione” è lì dietro l’angolo. Però, a parte gli scherzi, il brano è fortemente di coppia, ha quel genere di linguaggio, quindi sicuramente ci sta che ci sarà anche un momento in cui nell’esibizione staremo un po’ più vicini.

Cosa devono aspettarsi i vostri fans dal nuovo disco?

Sicuramente cambiamento, la canzone che presentiamo non è una fotografia del sound del disco, il disco è una serie di nuovi tessuti musicali, tra cui anche “Fiamme negli occhi”, c’è una narrativa comune che è quella del fare un punto della situazione e guardarsi indietro anche dal punto di vista sonoro, c’è voglia di pescare dal passato e di provare anche nuovi tessuti linguistici e vocali, ed esplorare nuovi territori musicali.

Sicuramente saranno dei Coma_Cose 2.0, a me piace ironizzare e dire che sembra quasi un’altra band ascoltando le cose dell’inizio, ed io la vedo una figata perché gli artisti che ho sempre invidiato e stimato hanno sempre avuto questo tipo di approccio. Fare sempre la stessa canzone dopo un po’ rompe le scatole, non è quella la nostra attitude.

Source: agi


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