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Ddl Zan: voci di dissenso da sinistra e dal mondo femminista

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Le associazioni femministe storiche, come l’Unione Donne Italiane (UDI), ravvisano nell’attribuire in modo arbitrario e non rigoroso la “identità di genere” in difformità con l’identità sessuale attribuita alla nascita, la negazione di una dimensione corporea dell’identità sessuale, a svantaggio delle donne, che si vedrebbero private della propria specificità, e manifestano un forte dissenso con i nuovi mercati, illegali in Italia ma non all’estero, della procreazione delle coppie omosessuali, specie quelle maschili, che prestano il fianco alle nuove schiave dell’utero in affitto e del traffico di ovuli

di Anna La Mattina

Ore calde per il nostro Paese, per l’attesa della discussione al Senato del Disegno di legge Zan, la legge che dovrebbe tutelare le persone LGBT+Q e i disabili. Il titolo della proposta di legge è il seguente: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” e vede come primi firmatari l’On. Laura Boldrini e Roberto Speranza, parti dell’attuale governo (di cui Speranza è il Ministro della Salute) e solo a seguire, il nome di colui che se n’è assunto la “paternità”, l’On. Alessandro Zan, deputato del PD e membro della comunità LGBT. Possiamo dunque affermare, senza tema di smentita, che questa proposta di legge è “governativa”, perché proviene da forze politiche che compongono la maggioranza.

A parte l’opposizione delle destre (parte delle quali interne al governo Draghi), che fanno il loro “mestiere” di oppositori, buonisti, a seconda delle occasioni, vi è in corso un aspro confronto, pure all’interno del centro sinistra, con una buona parte di dissenso anche dentro la comunità LGBT.

Per correttezza nei confronti dei cittadini e, nel nostro specifico, dei lettori, desideriamo che si faccia chiarezza, sul perché del dissenso e su chi non è d’accordo con il DDL, così com’è stato approvato dalla Camera dei Deputati, il 4 novembre 2020.

Il dissenso non è (e non deve diventare, come forse converrebbe ad alcuni) un “scontro ideologico” tra due opposti, così come lo si vuole fare apparire, per confondere le acque e per far sì che la gente non si faccia una propria opinione sui fatti, i quali riguardano la sessualità umana e la libertà dei cittadini tutti, non solo di alcune “categorie”. Il dissenso deve assumere i connotati della chiarezza e della verità, non semplicemente per rientrare nel “politicamente corretto”, ma per onestà intellettuale. La materia è ardua e spinosa e, al tempo stesso, delicata e vi assicuro che, chi  scrive, avverte tutta la responsabilità di trattare un argomento come questo. 

Il dissenso di sinistra non mette in discussione l’esistenza di una legge che disciplini la materia dell’omo-transfobia, ma riguarda l’impianto tecnico-ideologico del testo, il cui esito, se venisse approvato così com’è, senza gli emendamenti proposti, potrebbe avere delle pericolose ricadute sulla qualità della vita dei cittadini e sul futuro dei loro figli.

Da più parti (anche da ambienti giuridici) si avverte un certo “disagio” nell’accogliere tale norma, così come è stata redatta, perché non rispetterebbe le regole inerenti la “certezza del diritto”, principio in base al quale, il “fatto” penalmente rilevante, deve ricevere un’applicazione prevedibile. Pertanto chi stabilisce cosa? Non è dato saperlo!

Il DDl Zan invece (chi l’ha letto ha potuto constatare), è un testo che limita l’azione alla modifica di leggi esistenti: l’art. 604-bis e ter del Codice penale e modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 (la legge Mancino), aggiungendo ai reati discriminatori già contemplati per legge (razziale, etnica e religiosa), anche la discriminazione LGBTQ+disabili. Ma cosa s’intende per “Q”?

La lettera “Q” sta per “queer”, un sostantivo di origine anglosassone che descrive un gruppo di persone che non si riconoscono nell’orientamento eterosessuale, ma nello stesso tempo, ritengono il termine meno discriminatorio rispetto alle definizioni LGBT.

Il concetto di “queer” apre, in realtà, al ventaglio di definizioni che connotano alcune delle condizioni riguardanti la sessualità umana, rispetto alla diversità scientifica del “doppio binario” (maschile e femminile), già contemplate dalla medicina e dalla biologia, con ricadute legali, nonché sul piano intimo e personale, anche sul piano psicologico, cosa per nulla trascurabile. Tutte queste ragioni insieme, fanno dubitare il lettore attento, che ravvisa poca o nessuna considerazione della complessità della problematica, riconducendo il tutto solo ed esclusivamente sul piano dello scontro lgbtqd-fobico. La domanda è: chi stabilisce cos’è un gesto, una parola LGBTQ+D-fobico, al di là della mera violenza fisica?

Altra cosa che si estrapola dal DDl in questione, sono i contenuti “queer”, con i concetti che il termine porta con se: i diversi “tipi” di condizione sessuale che una persona potrebbe trovarsi a vivere, oltre alla omosessualità, come la transessualità, i transgender, bisessuali, pansessuali, asessuali, intersessuali, tutti concetti complessi, alcuni dei quali noti al mondo scientifico, altri frutto di concezioni culturali e filosofico-speculative di nuova concezione, che purtroppo, non risparmiano i bambini e gli adolescenti (vedi la sexual fluidity ricerca sul web). A tal proposito occorre citare, per correttezza, il cammino intrapreso all’estero, a proposito di “identità sessuale fluida”: l’Inghilterra ha abbandonato tale strada, quando una giovane donna, Keira, di 23 anni, ha fatto causa al governo inglese e alle sue istituzioni mediche, per aver autorizzato troppo in fretta, la sua richiesta di cambiare sesso, quando era adolescente:  “non si possono prendere decisioni simili a 16 anni e troppo in fretta.”

Anche la Spagna, prima nazione ad aver istituito il matrimonio tra omosessuali, oggi si dichiara alquanto perplessa dal percorrere un simile percorso, approvando la “Ley trans”, per il cambio di genere, con una semplice dichiarazione. Cosa che a Malta è già in vigore dal 2015, lì si può cambiare genere (dal maschile al femminile o dal femminile al maschile) con una semplice autodichiarazione, ovvero senza diagnosi, perizie, terapie farmacologiche o interventi chirurgici. Tra le nazioni in cui il self-id è in vigore Malta è quella geograficamente e culturalmente più vicina all’Italia, infatti, altra spinosa questione, oggetto di dissenso, nel nostro Paese, è quella legata all’introduzione implicita del “self-id”, ovvero della propria identità di sessuale autocertificata. 

All’art.1 del DDl Zan, (definizioni), al punto d) vi è la seguente: “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. 

La domanda è: chi definisce l’identità di genere delle persone, se non corrispondente al sesso di nascita e in assenza di una perizia e di un percorso medico-legale? La transessualità non coinvolgerà soltanto gli adulti, ma sicuramente sarà estesa anche ai bambini e agli adolescenti, secondo l’orientamento culturale internazionale, soprattutto tedesco, avallato da studi  e cliniche private di psichiatria e psicologia. Proprio perché il disegno di legge non  lo specifica, si ritiene vi sia un vuoto importante.

La legge non può essere vaga e non può prendere sottogamba questi delicati argomenti, costruirvi sopra una sanzione penale e lasciare porte aperte all’equivoco.

Inoltre, se si leggono con attenzione gli articoli finali del DDL (Art. 8-9-10), tra le tante argomentazioni troviamo l’istituzione di una giornata contro l’omo-transfobia, fissata per il 17 maggio di ogni anno. Sui contenuti che detta giornata deve avere e sulle istituzioni che dovranno farsene carico, vediamo tutta una serie di compiti assegnati alla scuola ed altre istituzioni sul territorio, che dovranno farsi carico della diffusione della cosiddetta “cultura gender”. Nello specifico l’art. 10 (Statistiche sulle discriminazioni e sulla violenza), così recita: “Ai fini della verifica dell’applicazione della presente legge e della progettazione e della realizzazione di politiche per il contrasto della discriminazione e della violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere e del monitoraggio delle politiche di prevenzione, l’Istituto nazionale di statistica, nell’ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali, sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), assicura lo svolgimento di una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale. La rilevazione deve misurare anche le opinioni, le discriminazioni e la violenza subite e le caratteristiche dei soggetti più esposti al rischio, secondo i quesiti contenuti nell’Indagine sulle discriminazioni condotta dall’Istituto nazionale di statistica a partire dal 2011”.

Per concludere, si vuole qui ricordare che il concetto di “identità di genere”, in difformità con l’identità sessuale attribuita alla nascita, non può essere attribuito arbitrariamente ed in assenza di perizie medico-legali: il tema è fortemente sostenuto dalle associazioni femministe storiche, come l’UDI (Unione donne Italiane) e da altre componenti della società civile, che ravvisano in quest’affermazione la negazione di una dimensione corporea dell’identità sessuale, a svantaggio di tutti, ma delle donne in particolare, che si vedrebbero così private della propria specificità, di datrici della vita, in forte dissenso con i nuovi mercati, illegali in Italia, ma non all’estero, per ciò che riguarda tutta la materia della procreazione delle coppie omosessuali, specie quelle maschili, che prestano il fianco alle nuove schiave dell’utero in affitto e del traffico di ovuli.

Ecco perché preoccupa  una forte connotazione ideologica della legge Zan, quasi come se obbedisse ad oscure regole che potrebbero sconvolgere irreversibilmente l’assetto sociale umano. Il DDL ZAN prevede un forte programma “educativo” rivolto ai giovanissimi, con conseguente controllo dei dati rinvenuti attraverso la statistica: le perplessità, sul piano della democrazia, sono legittime; in poche parole si controllerà quanto bene avranno fatto le scuole, nella diffusione della nuova cultura gender.

Tutto questo va ben oltre la sensibilizzazione al rispetto e allo scoraggiamento di atti di violenza contro le persone LGBT e i disabili, che invece mette tutti noi d’accordo.