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Dal cinema agli arredi Guadagnino disegna mondi

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CARLO ANTONELLI giornalista e direttore artististico

Alla Design week milanese il regista ha riattivato uno spazio espositivo omaggiando, in una sorta di remake, Carlo Scarpa. «Lo studio di interior design e di architettura in questo momento produce la ricchezza di fare cose che amiamo fare, io coi miei architetti». Intanto si trova a Boston per girare un film sul mondo del tennis
Premessa: io e Luca Guadagnino siamo amici.
Oltre a tutto quello che fai, ti sei gettato a corpo morto pure nella progettazione d’interni e ora nel design di prodotti con vari materiali. Che cosa ti dà il diritto di infilarti in casa (letteralmente) d’altri?
In che senso?
Lo vedremo. Sei un vampiro che addenta, poi, una volta entrato in casa. Chi apre la porta?
Beh, io ho sempre pensato che le grandi storie di vampiri fossero le storie di chi alla fine si abbandona al morso del vampiro.
E quindi chi sono le vittime?
Non sono vittime, sono complici che amano l’idea di qualcosa di profondo e di inedito a livello estetico.
Quindi che veleno inoculi?
Un dolce veleno di artigianato e di ricerca della forma.
Che cosa ti dà il diritto di essere un opinionato, anche nel campo del design?
Beh, io spero di non esserlo, sinceramente. Spero di non essere una persona opinionata. Di solito chi è opinionato è apodittico nell’esercizio delle proprie idee. A me invece piace pensare di poter sempre cambiare idea e di coltivare il dubbio. Nel caso specifico, per esempio, al di là della metafora del vampiro, quando lavori per qualcuno ascolti moltissimo quel che questa persona desidera e devi tradurre questo desiderio in qualcosa che diventa un luogo, uno spazio. In questo senso non puoi essere apodittico.
Ma queste sono parole commerciali…
Non puoi essere apodittico, perché se sei apodittico non puoi ascoltare l’altro.
Diciamo che sei entrato dalla porta, ti è stata aperta la porta, però, ti eri da tempo preparato da piccolo a essere un piccolo vampiro e poi un adolescente vampiro e poi un grande vampiro, no? Sto parlando proprio dell’ambito specifico della progettazione…
Ho sempre amato l’idea di fare questa cosa, sì.
Fin da quando?
Fin da quando cambiavo posizione ai mobili di casa di mia madre, da ragazzino.
In Africa o a Palermo?
Ho memoria di Palermo. Quando avevo 7 anni, 8 anni.
Cioè, ridisegnavi la casa.
Sì. Questo qua, questo là ecc. Lo facevo continuamente.
Pensi che abbia contato l’esperienza della tua infanzia africana? La grandiosità, da un certo punto di vista della struttura dell’abitare, le grandi case…
Non è questa l’esperienza della mia Africa. La mia Africa è un’Africa piccolo borghese, di una famiglia che si era trasferita lì per l’eccentricità di mio padre, che desiderava girare il mondo. Vivevamo in una villa piccolina, certamente con uno stile di vita molto diverso da quello che poteva essere quello di una famiglia piccolo borghese in Italia in quegli anni, ma che certamente non era un sogno coloniale.
L’Etiopia, l’Africa, hanno una rilevanza rispetto alla mia idea dello spazio, più che altro per cosa è lo spazio africano: la vastità, le dimensioni dello spazio. Che non è necessariamente finito, ma infinito. La luce: l’uso della luce nello spazio… Un discorso sulla luce che è proseguito andando in Sicilia, ovvero la luce che è basata sui luoghi del caldo, che va chiusa e schermata nei momenti giusti e aperta e goduta nei momenti giusti.
E pensi che sia una luce che è stata accesa nel tuo cinema?
Sono convinto di questo, assolutamente sì.
Quindi una luce meridionale o meglio ancora (come diceva Caillois) da demoni meridiani?
È una luce del sud del mondo, sicuramente.
C’è chi però in maniera un po’ leggendaria parla della tua personalità autoritaria. Questo avviene nel mondo del cinema e avviene anche nel mondo del design?
Chi parla di me come di una personalità autoritaria? Giuro che ho sentito molte definizioni di me da parte di molte persone, ma non ho mai sentito dire che io sono una persona autoritaria, mai.
Che hai sentito dire?
Al massimo posso aver sentito dire che sono una persona che comanda, ma questo purtroppo è nel merito del lavoro che faccio.
È il significato di “director”?
E come fai a fare un film se non dirigi? Se non dai ordini, se non dai indicazioni? Certo, in maniera maieutica, ma…
E nella progettualità?
Nella progettualità mi piace molto stimolare le idee dei miei collaboratori e renderli autonomi.
L’altra cosa che si dice è che tu sia una “pazza visionaria”.
Eh, anche lì, bisogna capire cosa vuol dire esser pazze visionarie. Ovvero: la pazza visionaria è una persona che immagina dei mondi che sono scollegati dal senso di realtà e quindi in questo senso sono, come dire, impossibili, irraggiungibili e che non accadono. Oppure vogliamo intendere “pazza visionaria” nel senso – se vogliamo citare – della pratica dell’utopia ovvero di praticare la possibilità nell’impossibilità? Dipende. Secondo me la seconda. Perché alla fine, comunque, le cose che mi piace fare e che ho la visione di voler fare, le faccio.
Cos’è che non sei riuscito a fare, tra tutto quello che sognavi da piccolo?
Praticamente ho fatto e sto facendo tutto quello che ho sempre desiderato fare da ragazzino. Sinceramente, lo dico. Sognavo, io sapevo cosa volevo. Sai, se uno sa quello che vuole, è già a metà dell’opera.
Perché poi il resto è stato semplicemente come i piani quinquennali da mettere in atto.
C’è uno slogan di una fantastica serata a Roma all’Angelo Mai, “Merende”, che ha un cartello quando entri che recita: «Vieni a prenderti quello che ti meriti: tutto».
La penso esattamente così, sempre e soltanto se questo tipo di slogan lo recitiamo in una chiave non di consumo ma in una chiave che, appunto, si riverbera in una sorta di immaginario critico e sovversivo.
Diciamo, però, che stai facendo un lavoro più decorativo?
No, non credo, perché noi lavoriamo molto con lo spazio, quindi forgiamo lo spazio, non siamo chiamati semplicemente a decorare uno spazio, ma proprio a farlo. Più di un progetto che abbiamo fatto aveva proprio come suo punto di partenza la ricodificazione radicale di uno spazio. Quindi no, non credo. Credo che lavorando con l’alto artigianato, con cose che devono essere uniche, pezzi unici, lavoriamo con il concetto di “fatto a mano”, che è una cosa che non passerà mai ed è un classico.
Pensi che ci sia qualcosa di erotico nel tuo modo di disegnare ambienti?
Mi piace l’idea che possa essere considerato un erotismo da un lato austero e dall’altro di piaceri inaspettati e voluttuosi. Un po’ come il personaggio di quel film meraviglioso di Barbet Schroeder, Maîtresse, con Bulle Ogier. Che aveva infatti un bellissimo appartamento borghese…
Che si fa al Salone/Fuorisalone quindi? Altro autoinvito…
Al Fuorisalone non ci siamo autoinvitati! Abbiamo chiacchierato con l’amico Antonio Tabarelli che ha la galleria Spazio Rt su via Fatebenefratelli, che è praticamente molto vicino a dove io abito e con queste chiacchiere da flâneur, che è una delle cose che amo di più fare, è venuta fuori l’idea che forse dopo cinque anni di pratica era venuto il momento di provare a condividere alcune delle cose che abbiamo fatto. E ci siamo detti: perché no? In più io sono a Boston perché sto girando un film, quindi era un’occasione perfetta per esserci senza doverci essere.
Che stai girando?
Sto girando un film sul mondo del tennis che si chiama Challengers.
Senti, ma cosa c’è quindi dentro lo Spazio Rt?
Noi abbiamo preso lo spazio e lo abbiamo, come dire, occupato cambiandolo completamente. Siamo tornati alla memoria di uno degli allestimenti storici, del grandissimo Carlo Scarpa, omaggiandolo in una sorta di remake, che è una delle pratiche che amo fare.
E quindi, in questa sorta di riattivazione di uno spazio espositivo alla Scarpa, abbiamo creato due saloni, due living room, che hanno come centro dei camini (uno di ceramica, l’altro di ceppo di grès) che sono delle pratiche assolutamente antistoriche, creando anche delle pareti di boiserie che abbiamo disegnato e concepito in base alla nostra pratica. E poi abbiamo dei tappeti disegnati per noi dal grandissimo art director Nigel Peake, sempre rielaborati da noi, in collaborazione con la manifattura di Cogolin, che sono i più grandi creatori di tappeti esistenti.
Nigel aveva già lavorato con te, nel cinema?
Con Nigel io ho cominciato a lavorare nello spazio di architettura e poi l’ho convocato per lavorare nella mia serie televisiva We Are Who We Are per tutto il lavoro di lettering e grafica della serie.
E in più abbiamo invitato un artista che io amo molto, Francesco Simeti, con cui c’è un rapporto di biografia molto potente, molto forte, che unisce entrambi rispetto a una migrazione dal sud al nord. Perché io da Palermo sono andato a Milano e lui da Palermo è andato a New York. C’è un legame fortissimo, quasi familiare, e contemporaneamente un provenienza fortissima e una passione comune per le ceramiche: Francesco è un grande artista che lavora con molti media e con le ceramiche ha fatto alcune delle cose più belle. Esporremo alcune di queste.
Ma speri di vendere tutto?
Più che vendere tutto, spero che alcuni di questi pezzi diventino delle rare forme iconiche in case importanti.
Ma sei sicuro che tutto questo non lo fai per acquisire una ricchezza da Creso?
Una ricchezza diciamo materiale? Per diventare ricco?
Sì.
No, la pratica dello studio di interior design e di architettura è una pratica che in questo momento non produce ricchezza. Produce la ricchezza di fare cose che amiamo fare, io coi miei architetti.
Ma la produrrà. Facciamo un elenco delle cose che sono in questo momento in progettazione.
Per lo studio? Stiamo facendo una penthouse a Milano, una villa al Lido di Venezia, un albergo a Roma, gli uffici di una grande agenzia di cinema a Los Angeles. Abbiamo completato una dimora storica nella campagna piemontese e stiamo per cominciare un appartamento su due livelli a Palermo. Tra le altre cose stiamo lavorando allo sviluppo di alcuni oggetti specifici per alcuni grandi artigiani del vetro, della porcellana, dei tappeti…
E poi c’è Fontana Arte.
Abbiamo realizzato la nostra prima collaborazione coi grandissimi amici di Fontana Arte, per i quali abbiamo disegnato una applique che viene presentata sia nella nostra progettazione sia nella progettazione di Fontana Arte, applique che poi genererà nelle prossime settimane e mesi un’intera linea per Fontana Arte. La linea si chiama “Frenesi”. Saranno appliques, abat-jours, piantane e lampadari.
E come la definisci? È un’onda? Una striscetta?
È una striscia ondulata che fa pensare ai piaceri vissuti nella propria vita.
Scusa?
Deve far pensare ai piaceri che uno ha vissuto nella propria vita, perché questa sorta di verticale rigorosità che però viene spezzata da una sensuale ondulatezza a me fa venire…
Ti fa venire in mente il passato?
Fa venire in mente i piaceri che tu puoi avere vissuto e poi magari i piaceri che vuoi vivere. È molto sensuale quell’oggetto.
E cosa succede quanto una tua lampada entra in una casa? Pensi al cinema o le due attività sono separate?
Sono completamente separate.
Quindi quante cose puoi pensare contemporaneamente?
Parecchie, devo essere sincero. Ho capito come parcellizzare il tempo e ho cominciato a praticare negli ultimi anni una parcellizzazione del mio tempo e della mia attenzione basata al secondo. Cioè, so che se ho – che ne so – 80 secondi per fare una cosa, la faccio. Poi riprendo la cosa che stavo facendo.
Cioè?
Se sto facendo con te un’intervista, magari mentre mi fai la domanda e io ascolto, riesco allo stesso tempo a fare un pensiero su una cosa che devo fare più tardi. Credo di aver sviluppato questa capacità di multitasking, per usare una parola orrenda.
Ma secondo te quanti livelli ha?
Infiniti?
No no no, è soltanto un modo di essere. Son fatto così.
Da chi l’hai imparato? No, non è vero, l’hai aumentato nel tempo…
Ma sai, quando non riuscivo a fare le cose che volevo fare ero semplicemente un daydreamer, adesso voglio essere uno che le cose le fa. Te l’ho già detto, la pratica dell’utopia è rendere possibile l’impossibile. Ed è l’unica cosa che mi interessa.
Ma è terminata, da un certo punto di vista.
No. Chissà cosa succederà. Non mi chiedi del cinema che ho visto recentemente? Potremmo parlare di film visti da poco, ma in realtà questo poco avrebbe a che fare con la pratica dell’interior design. Però ieri sono andato a vedere in un cinema che scoppiava come un uovo il film Maverick con Tom Cruise. E mi ha colpito del film… intanto la partecipazione del pubblico in sala, che era completamente e assolutamente entusiasta di essere asservito alle idee, se così vogliamo chiamarle, o all’ideologia del film, e…
Sai che i cinema in Italia sono vuoti.
Lo so. L’Italia è strana come caso, qui negli Stati Uniti no. Questo film ha una nostalgia fortissima per… la nostalgia che provava già il primo Top Gun, cioè il primo era già nostalgico, e questo è nostalgico della nostalgia del primo. Ecco, come pratica, devo dire che questa forse è la cosa più velenosa che si possa mettere in atto. E se vogliamo pensare a quello che non mi piace fare è l’effetto nostalgia.
In avanti, quindi. Senti, progetteresti città o parti di città?
Credo cinque, sei anni fa, mi arriva dalla mia agenzia hollywoodiana una proposta, di cui conservo ancora tutte le email, di partecipare alla visionarissima, gigantesca idea di Mohammad bin Salman di creare una città nel deserto, chiamata “Neom”. Dove architetti e cineasti del mondo venivano chiamati a contribuire con le loro idee a creare quartieri, strade, palazzi di una città da fare da zero.
Alla prima proposta che mi arriva, la mia risposta immediata, e ho le prove, è: ragazzi, ma voi sapete di cosa stiamo parlando?
Siete sicuri che voi volete che i vostri clienti collaborino con un simile regime e con una simile situazione? E tutti dicono: ma no, ma no, lui è un principe illuminato, ma su ma giù, e io dico: mah, è uno che non mi convince per niente, sinceramente.
E poche settimane dopo il grande povero giornalista Khashoggi prima scompare e poi si scopre che è stato spezzettato all’ambasciata saudita in Turchia.
Quali sono gli architetti con i quali lavori di più e che rapporto hai con loro? Sempre che non sia la cosa autoritaria che temiamo…
Lavoro con parecchi architetti, nello studio c’è un gruppo di lavoro magnifico, messo insieme, composto in anni, di personalità a cui spero, e credo lo possano confermare, ho dato la libertà di esprimere ciò che sentono di voler esprimere. Non sono degli esecutori, son persone che mi stimolano molto e credo di stimolarli io stesso e niente, li amo tutti, uno per uno.
Sai che uno di questi ha detto anonimamente che ti odia?
Non è vero che lo ha detto! Bugia!
Ahahahah
Scrivi che è una bugia! Ciaoooo.

Fonte: Il Domani