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Da ArcelorMittal ad Ast, la grande crisi dell'acciaio 

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Stasi dei consumi, problemi di liquidità, crisi del settore automotive, politica cinese a sostegno delle materie prime nazionali e, naturalmente, pandemia da Covid-19. Sono diversi i problemi alla base della difficile situazione del  comparto acciaio, che si riflettono sulle scelte dei maggiori player nazionali: ArcelorMittal di Taranto e Genova e Ast di Terni.    

“Il settore – spiega all’AGI Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity – risente notevolmente di uno shock negativo dei consumi derivante in larga parte dalle politiche di contenimento del Coronavirus, anche se i consumi mostravano già segnali di indebolimento prima delle politiche di lockdown. Queste hanno acuito quindi una situazione già difficile, che pone le acciaierie in gravi problemi di liquidità. Il mantra dei manager è preservare il cash flow e le ultime operazioni annunciate da ArcelorMittal e Thyssen indicano questa preoccupazione”.

 “ArcelorMittal – prosegue – ha infatti confermato l’impegno a ridurre l’indebitamento netto a 7 miliardi, da attuare anche attraverso un aumento di capitale e l’emissione di nuove azioni per un totale di 2 miliardi di euro. Il nuovo management di Thyssen sta puntando da un lato a cedere gli asset più profittevoli, come quello degli ascensori, e a consolidare parte del business con nuove partnership: indiscrezioni di stampa indicano una possibile fusione tra la divisione Sistema marini e Fincantieri. Indiscrezioni di mercato ipotizzano per l’attività acciaio una partnership, se non una fusione, con una big come Tata Steel, Baosteel, Ssab”.  

Il deficit di liquidità deriva da consumi industriali in forte rallentamento: l’automotive è fermo in Germania, così come in Italia, e soffre di “una sorta di crisi esistenziale”, per il passaggio all’elettrico “condotto in maniera fallimentare”. Non mancano poi cause di natura strutturale, legate a un mercato del lavoro caratterizzato da salari deboli e forte precarietà, a bassi consumi, alla diffusione della sharing economy.    

“Il comparto dell’acciaio – sottolinea Torlizzi – risente a valle di uno stasi dei consumi e della crisi del mercato dell’auto, e a monte dell’aumento generale dei costi di produzione. Il prezzo del ferro è rimasto sostenuto perché la Cina ha adottato stimoli di carattere fiscale e monetario. Tutto ciò stritola la marginalità delle acciaierie, che vendono meno e vedono aumentare i costi produttivi”.

La conseguenza – secondo l’esperto – sarà un ulteriore consolidamento del settore, “una concentrazione dei player che dovranno fare affidamento a economie di scala”. Una situazione che ricadrà a cascata anche sui trasformatori: “quando le acciaierie saranno di numero inferiore, avranno un potere contrattuale maggiore nei confronti dell’industria manifatturiera: a fronte di una tenuta delle materie prime il mercato rimarrà piuttosto asfittico”.    

Secondo Torlizzi, se nell’arco di 2-3 mesi assisteremo a una stabilizzazione economica (“ed è già – avverte – una previsione ottimista”), dovremo poi fare i conti con i danni che il lockdown ha sortito sulla psicologia del consumatore: ci vorrà tempo per un ritorno della fiducia e della propensione all’acquisto.     

Se anche il comparto acciaio troverà sponde a Bruxelles (“si parla di dazi verso le importazioni turche”), il manifatturiero “sarà costretto ad una razionalizzazione che avrà un impatto forte sull’occupazione“.    

“La grande sfida – conclude – sarà quella che dovranno affrontare i governi, dimostrando di saper gestire la fase di reindustrializzazione delle aree rimaste penalizzate. Servono governi sensibili all’industria, capaci di lottare per far tornare le aziende in Italia, e, se necessario, adottare politiche fiscali aggressive”. 

Vedi: Da ArcelorMittal ad Ast, la grande crisi dell'acciaio 
Fonte: economia agi


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