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CSM, caso Palamara: c’erano una volta i valori costituzionali

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Di Daiana De Luca (Responsabile Comunicazione Confedercontribuenti)


 

Procedono in modo piuttosto spedito le indagini sul giro di corruzione e favori all’interno del CSM e spuntano nuovi elementi che coinvolgono esponenti della Magistratura in numero via via sempre maggiore. Sembra, infatti, essere destinato a lasciare il segno nelle coscienze di tutti il cosiddetto “Caso Palamara”; ferito di una ferita difficile da rimarginare, il supremo organo di autogoverno dei Magistrati subisce una gravissima perdita in termini di credibilità da parte dell’opinione pubblica, tutta, senza distinzione di orientamento o convincimento politico.

Al centro della vicenda  Luca Palamara, pm di grande fama e prestigio per i suoi numerosi successi professionali, Consigliere del CSM ed, ormai, ex Presidente dell’ANM,  oggi accusato di corruzione, divulgazione di informazioni riservate e scambio di favori. A partire dalla scoperta degli episodi che lo riguardano, è emerso un vero e proprio giro di corruzione tra i massimi esponenti della Magistratura che ha creato non poco imbarazzo nel CSM. C’è sconcerto e forte disappunto tra le Istituzioni che reclamano a gran voce una riforma dello stesso CSM, chiamando, addirittura,  in causa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quale organo supremo dello Stato e membro di diritto del CSM che presiede, ma Mattarella dice “no allo scioglimento”, considerato, ai fini costituzionali, un atto discrezionale.

Il CSM, infatti, è organo di rilevanza costituzionale che assicura e garantisce l’indipendenza del potere Giudiziario dalle ingerenze di quello politico; può essere sciolto in anticipo rispetto alla scadenza del mandato elettivo (4 anni) solo in presenza di una “oggettiva impossibilità di funzionamento”, condizione, questa, che si realizza quando viene meno il numero legale dei suoi componenti. L’attuale CSM rinnovato in parte nella sua composizione non si trova in questa condizione ed un eventuale scioglimento verrebbe, appunto, considerato un atto di  mera discrezionalità del  Presidente della Repubblica.

Che una  riforma del CSM e del suo regolamento interno sia urgente ed auspicabile non solo alla luce degli ultimi fatti balzati all’attenzione della cronaca, è ormai chiaro agli addetti ed ai non addetti ai lavori. Lo stesso Dott. Di Matteo, illustre Magistrato antimafia, auspicava già con forza nel 2019 una riforma del sistema “non punitiva del Consiglio Superiore della Magistratura”   per conferirgli l’autorevolezza di organo costituzionale “senza distinzioni legate all’apparenza o al gradimento politico”. Sono tanti e non sporadici i casi di  “inammissibile commistione” tra politici e magistrati, infatti, ed il cosiddetto “caso Palamara” che tiene oggi banco anche a seguito della divulgazione di chat private in cui il pm romano insulta il leader della lega Matteo Salvini, altro non è che la punta di un icerberg pronto ad emergere e mostrare che la mentalità clientelare, fortemente radicata nella nostra civile società, oggi ha solo raggiunto la sua massima espressione.

Pare che al di là dell’accademica definizione da attribuite agli aggettivi “indipendente e sovrano”, riferiti  ai poteri dello Stato che reggono la nostra struttura repubblicana,  non si possa, dunque, dire raggiunto il disegno dei nostri padri costituenti, desiderosi di sognare un’Italia diversa, in cui tutti, sulla base del principio meritocratico, avrebbero visto  riconoscersi  il loro valore, professionale e personale. Il nostro Belpaese ci ricasca ancora una volta e lo fa dando il peggio di sé in termini di esempio per le generazioni future e di stima, probabilmente, nei confronti delle altre democrazie moderne.

Stupisce e quasi stizzisce  credere che non ci si sia mai posto fino in fondo e prima di adesso  il problema delle cosiddette “correnti” che spingono i Magistrati candidati al CSM ad essere eletti.  Già, perchè quella comune convinzione che solo i più meritevoli possono raggiungere mete prestigiose, altro non è che l’utopica idea  di chi crede solo nel valore delle proprie forze , e questo, a quanto pare, vale ad ogni livello sociale e professionale di ambizione. “L’appartenenza a una cordata è l’unico mezzo per fare carriera e avere tutela quando si è attaccati e isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso” diceva qualche mese fa il magistrato antimafia, Nino Di  Matteo, nel  discorso che lanciava  la sua candidatura alle elezioni suppletive per il Consiglio superiore della magistratura.

La verità è che lo sgomento nasce e deve nascere, a destra a sinistra o al centro, perchè ancora una volta i valori costituzionali su cui si fonda il nostro stato di diritto vengono barattati con l’offerta più vantaggiosa del prestigio senza merito. David Ermini, vice Presidente del Csm, afferma che “non è giusto che solo chi appartiene alle correnti abbia la possibilità di avere successi personali. Una volta che le correnti hanno scelto i loro rappresentanti devono recidere quel cordone e quindi i consiglieri non devono più essere vincolati da alcun tipo di rapporto”.

Alla fine della storia, ben lontani tutti dal credere alla teoria del “capro espiatorio” riferendoci al caso Palamara, viene forse più facile pensare che la corruzione, a qualunque livello e su qualunque fronte, si riduca, essenzialmente, a ciò che “si vede”, trascurando il resto perchè, magari  così è un po’ più comodo e meno difficile da spiegare ai nostri figli.

 


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