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Così TomTom sta cercando di non fare la fine della Kodak

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C’era una volta TomTom, dominatore del mercato dei navigatori fino a diventarne sinonimo. Poi arrivano gli smartphone e Google Maps e la società va in affanno: in poco più di un anno, tra la fine del 2007 e l’inizio del 2009, il titolo perde il 95% del proprio valore. Precipita da quasi 50 a meno di 2,3 euro. Le strade, a quel punto, diventano due: fallire come altri ex leader incapaci di tenere il passo dell’innovazione o trasformarsi. Essere quello che Kodak è stata per la fotografia o cambiare le coordinate e destinazione.

Davide e la guida autonoma

Golia non è morto ma si è ritrovato Davide. Google Maps fa capo a una società da 825 miliardi di dollari capitalizzazione; TomTom di miliardi ne vale 2. Un anno e mezzo fa ha tagliato 136 posti di lavoro, abbandonato il mercato del wearable (nel quale si era tuffato senza successo) e venduto per un miliardo a Bridgeston la divisione “Telematics” per la gestione delle flotte auto. Obiettivo: tornare a concentrarsi sulle mappe e raccogliere la sfida delle auto a guida autonoma. Che bisogno c’è di un navigatore se non c’è un umano volante? Nessuno. Ma serve comunque (e ancor di più) una tecnologia che dica dove andare.

Oggi TomTom, ha spiegato la società a Venturebeat.com, ha 800 milioni di persone che, più o meno consapevolmente, utilizzano i suoi prodotti. E raccoglie dati da 20 miliardi di avamposti digitali. Anche se non si vedono più molti navigatori incollati con una ventosa al parabrezza, il marchio è infatti l’anima di servizi come Uber, Apple Maps, Bing Maps e Azure (le mappe e il cloud di Microsoft). Collabora con case quali Nissan, Fiat Chrysler e Volkswagen. E il 6 marzo ha annunciato un accordo con dieci produttori di automobili per lo sviluppo di mappa in alta definizione, aggiornate in tempo reale.

È proprio questo uno dei campi che più troverà applicazioni nella guida autonoma. Quando le macchine viaggiano da sole, devono obbedire una rappresentazione più precisa di distanze, spazi ed elementi circostanti, come i segnali stradali. Come ha spiegato TomTom a VentureBeat, non tutto può essere visto dai sensori montati sulle auto. I sensori non vedono dietro l’angolo o attraverso il tir che hanno davanti. Ed è qui che entrano in gioco le mappe.

Come reggere a Google

Google resta l’arci-nemico. Come può reggere reggere una società che vale 400 volte meno? Prima di tutto lavorando su una maggiore specializzazione. TomTom è sempre a bordo. Le mappe di Big G sono invece spesso usate alla guida, ma raccolgono informazioni dagli smartphone che si hanno in mano mentre si cammina, si pedala. O anche mentre si sta sul divano, programmando i propri spostamenti. In altre parole: Google Maps vede smartphone che si spostano, ma non distingue tra un podista e una Panda. È uno dei motivi per cui Mountain View sviluppa anche prodotti pensati solo per le vetture, come Android Auto. Non è solo un servizio più comodo ma anche un modo per ottenere dati di navigazioni più “puliti”.

La seconda carta è la privacy. Non perché TomTom sia il bene e Google il male: è, più prosaicamente, questione di modelli di business. La società americana campa, prima di tutto, di pubblicità. Cioè di informazioni degli utenti sfruttate per fornire annunci più mirati. TomTom, come altre compagnie simili (come Here, frutto della collaborazione tra Audi, BMW e Daimler) non incassa dalla pubblicità ma dalla vendita del servizio. Ed è quindi meno esposto al tema della privacy. TomTom ha provato a esplorare anche un altro campo: lo sviluppo di app.

Lo scorso luglio, Google Maps ha ritoccato le tariffe del proprio kit per gli sviluppatori (Sdk): fornisce alcune risorse gratuite e altre che si pagano oltre una franchigia di 200 dollari al mese. Passano due mesi e TomTom sceglie di mettere a disposizione una propria cassetta di attrezzi digitale, dando agli sviluppatori accesso a mappe e informazioni sul traffico. È disponibile sia per Android che per iOS ed è ad accesso gratuito: si paga per funzionalità premium e (in proporzione) in base al traffico di un’applicazione.

Due strutture di costi diverse per due obiettivi diversi: Google è decisa a guadagnare dalle grandi aziende (che sforano facilmente la franchigia); TomTom punta anche ai piccoli perché più sono le applicazioni che utilizzano la sua mappatura e maggiore è il numero degli “avamposti” che raccolgono dati. Sono l’acqua con cui innaffiare la crescita dei prodotti più evoluti, anche sulle vetture a guida autonoma. I navigatori sono morti, la navigazione è più utile che mai.

Vedi: Così TomTom sta cercando di non fare la fine della Kodak
Fonte: innovazione agi


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