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Così la tecnologia è usata per prevenire il coronavirus in Africa 

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Affrontare il pericolo coronavirus con la tecnologia. In Africa si può. Tutti, più o meno, sono dotati di un telefonino e la sfida all’epidemia che, per ora, non ha ancora toccato in maniera significativa il continente africano, passa attraverso uno strumento che tutti hanno – il telefonino appunto – e le informazioni da veicolare attraverso una semplice applicazione.

E’ il caso del Kenya. Il ministero della Salute di Nairobi, infatti, per affrontare questa sfida ha chiesto il supporto, oltre che delle autorità internazionali competenti (OMS), anche quello di Amref Health Africa, una delle più grandi organizzazioni no profit che si occupa di salute in Africa. L’obbiettivo è quello di utilizzare la tecnologia nella divulgazione di informazioni sanitarie utili al pubblico, con l’obiettivo di contrastare la propagazione di malattie infettive, come il coronavirus.

Il programma messo a punto da Amref si chiama “Leap”, ovvero una piattaforma mobile Health che verrà utilizzata per diffondere messaggi contenenti le informazioni necessarie riguardanti il coronavirus, per ridurre la disinformazione all’interno delle comunità locali – raggiungendo anche località remote – migliorare la sorveglianza, la diagnosi anticipata e le cure, e monitorare la diffusione della malattia, qualora fosse necessario. Agli operatori sanitari e ai volontari sanitari delle comunità locali vengono fornite indicazioni e dati sufficienti per poi poter identificare, isolare e riferire casi sospetti, oltre che per mantenere standard di sicurezza adeguati nei porti di ingresso e nelle aree ad alto rischio, per poter prevenire possibili trasmissioni.

“Leap” è considerata una soluzione efficace di apprendimento mobile per la formazione degli operatori sanitari e volontari delle comunità, che utilizza la tecnologia audio e Sms per responsabilizzare, sensibilizzare o formare personale sanitario, consentendo a ogni individuo di apprendere al proprio ritmo, con i propri dispositivi mobili e all’interno delle proprie comunità. Leap semplifica l’accesso alla formazione di qualità. Il sistema è già sperimentato, dal 2016 ad oggi, attraverso questo sistema, sono stati formati 35mila studenti in oltre 30 contee del Kenya. Complessivamente oltre 64mila studenti sono stati iscritti su Leap. Uno strumento agile, anche, per raggiungere persone e volontari sanitari in zone remote e isolate. Persone che altrimenti – viste le distanze – avrebbero difficoltà ad accedere a una formazione adeguata.

La sfida principale, di fronte a questo nuovo virus, è proprio il contenimento. Più sono capillari le informazioni, e a disposizione del maggior numero di persone, più diventa efficace la prevenzione. E per l’Africa questo è senz’altro un tema importante. “Oggi, come dimostra l’attualità e la nostra storia – spiega Guglielmo Micucci, direttore di Amref – la tecnologia può venirci incontro. Lo abbiamo fatto con gli aeroplani e i ponti radio in Africa a fine anni 50 per garantire salute. Lo facciamo oggi con la formazione tramite nuove tecnologie. Arrivare a persone formate in ambito sanitario, attraverso un telefonino, con delle semplici informazioni su come aiutare le comunità a difendersi, oggi può essere cruciale”. Una delle prerogative, infatti, di Amref, senza sostituirsi alle istituzioni, è quella di rafforzare sistemi sanitari deboli come quelli africani, sfruttando tutte le opportunità che la tecnologia offre. Il Kenya, dunque, fa forza sulla tecnologia sperimentata da questa organizzazione umanitaria per diffondere informazioni sul virus.

Secondo l’Onu, il continente africano ospita solo il 3 per cento del personale medico mondiale, nonostante sopporti oltre il 24 per cento del carico globale di malattie. La media italiana è di circa 376 medici ogni 100mila abitanti, in Africa la media è di 4,5 medici ogni 100mila abitanti. E, nonostante la debolezza del sistema, l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato dalla capacità di pagamento dell’individuo. In Kenya una percentuale enorme di famiglie povere non può permettersi l’assistenza sanitaria. Circa 4 keniani su 5 non hanno accesso all’assicurazione medica, con l’inevitabile esclusione di una fetta importante della popolazione dai servizi sanitari di qualità. Uno scenario replicabile in tutta l’Africa subsahariana. Insomma se paghi vieni curato. Le malattie infettive, infatti, sono la causa del 40 per cento dei decessi nei Paesi in via di sviluppo, l’1 per cento in quelli industrializzati.

Secondo uno studio pubblicato il 19 febbraio su Lancet – la rivista internazionale più influente nel settore della medicina – il 74 per cento dei Paesi africani ha un piano di preparazione alla pandemia influenzale, tuttavia, la maggior parte di questi piani è obsoleta e considerata inadeguata ad affrontare una pandemia globale.  Per questi motivi, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive (Centres for Disease Control and Prevention, o CDC) nel continente africano si stanno mobilitando per fare in modo che il 90 per cento dei Paesi africani sia ben equipaggiato per testare accuratamente COVID-19. Infatti, la disponibilità di test diagnostici è una delle basi per fermare il contagio. Facendo riferimento agli ultimi aggiornamenti dei CDC africani, sono oltre 15 i Paesi che dispongono di kit, e circa 10 quelli che ne entreranno in possesso a breve.

Visto il quadro anche l’utilizzo di un semplice telefonino può diventare determinante per affrontare una possibile epidemia.

Vedi: Così la tecnologia è usata per prevenire il coronavirus in Africa 
Fonte: estero agi


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