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Cos'è la "Sezione 230", l'arma con cui Trump minaccia i social network 

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Trump non può “chiudere” un social network. Ma può rendergli la vita molto difficile. Ed è quello che sta provando a fare con un provvedimento che potrebbe riscrive le regole delle responsabilità da assegnare alle piattaforme. Da anni il presidente degli Stati Uniti accusa i social di censurare la voce dei conservatori. Adesso, dopo l’ultimo bisticcio con Twitter (reo di aver segnalato un cinguettio presidenziale come non attendibile), si passa dalle minacce alle carte bollate. Lo strumento scelto è un ordine esecutivo.

Secondo la bozza, letta da Reuters e Washington Post, l’obiettivo è ritoccare la “Sezione 230” del Communications Decency Act, che afferma: “Nessun fornitore di un servizio informatico interattivo può essere considerato l’editore di qualsiasi informazione pubblicata da un altro fornitore di contenuti informativi”.

In sostanza, queste poche parole permettono a Twitter, Facebook e Google di non accollarsi la responsabilità di tutto ciò che viene postato dagli utenti. è chiaro quindi che mettere le mani su questa norma potrebbe minare alle basi la tenuta dei social network. Dipende da quanto intenso sarà l’intervento, che sarà demandato alla Federal Communications Commission. Dire che le piattaforme sono responsabili di tutto, come lo è un giornale per ogni articolo pubblicate, renderebbe la situazione ingestibile. Non solo per i social ma anche per le attività economiche che ci girano attorno.

Ma è improbabile che si vada in questa direzione. Si potrebbe invece rendere più semplice portare Zuckerberg o Dorsey in tribunale. Anche in questo caso, molto dipenderebbe dai dettagli: allargare molto le maglie vorrebbe dire intasare le società di cause, anche perchè il concetto di “censura” invocato da Trump è sfumato.

Twitter rompe per la prima volta la ‘neutralità’ dei social

Non è un caso che i social abbiano sempre rigettato l’idea di considerarsi ‘editori’ dei contenuti pubblicati, rispondendone in toto dal punto di vista legale. Zuckerberg lo ha detto chiaramente durante le sue audizioni al Congresso americano nel 2018 (“Siamo in parte responsabili di ciò che viene pubblicato, ma non produciamo contenuti”, disse allora).

E lo scorso febbraio lo ha ribadito alla Security Conference di Monaco, dove ha definito Facebook come qualcosa a metà tra un giornale tradizionale e una telco: non siamo sempre responsabili di ciò che viene pubblicato sulla piattaforma a differenza dei media tradizionali, siamo più simili alle società di telecomunicazioni che veicolano i contenuti attraverso le loro reti, come i dati trasmessi durante una videoconferenza.

Twitter mercoledì scorso ha fatto qualcosa che nessun altro social ha fatto prima: ha segnalato come fuorvianti delle affermazioni del Presidente degli Stati Uniti che in un tweet aveva definito fraudolento il voto via posta. Non era mai accaduto prima.

In quel “Get the facts about mail in ballots” (controlla i fatti riguardo il voto via posta, ndr) ha preso una posizione inedita, per lo meno riguardo alle affermazioni di un profilo ufficiale. E la sua scelta di rompere la ‘neutralità’ dei social rispetto ai contenuti pubblicati potrebbe avere ripercussioni su tutte le aziende del settore. 

Il dibattito sulla ‘Sezione 230’ 

La “Sezione 230” è molto dibattuta. Per gli oltranzisti della libertà di parola, Facebook, Twitter o Google non dovrebbero essere responsabili di nulla. Per i critici, la legge ha (più o meno direttamente) concesso alle piattaforme uno scudo normativo che ha permesso loro di ignorare i rischi legati ai contenuti nocivi. O quantomeno, in assenza di un pungolo, di ritardare gli interventi degli ultimi anni.

La Sezione, d’altronde, è del 1996 e (come si nota sin dal vocabolario utilizzato) non contempla i social network. Il problema quindi, Trump o non Trump, esiste: quell’immunità quasi totale è sta infatti già scalfita con la legge “Fosta-Sesta”, ma solo nei casi di reati a sfondo sessuale. A firmare la legge, nel 2018, è stato Trump, ma su proposta bipartisan del Congresso. 

Vedi: Cos'è la "Sezione 230", l'arma con cui Trump minaccia i social network 
Fonte: estero agi


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