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 Cosa pensano gli insegnanti della chiusura delle scuole

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AGI – Le scuole e le università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata per il 70,4% dei docenti. E’ quanto emerge dal Policy brief dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) “La scuola in transizione la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19”. 

Secondo la ricerca, gli insegnanti hanno promosso la didattica a distanza, tanto che il 73,6% è pronto a continuare a usare la tecnologia anche nella didattica in presenza, ma hanno anche sottolineato una serie di criticità. In particolare, l’82,4% ritiene che sia necessario avere uno standard unico per la Dad e il 90% chiede una relativa formazione specifica ai docenti. Molti hanno poi segnalato la carenza tecnologica e le difficoltà di connessione causate da una rete Internet inadeguata.

Il 58,5% però pensa che la Dad abbia svecchiato la didattica e accorciato il digital divide nel corpo docente e il 52,2% riconosce che con la Dad alcuni studenti più isolati o taciturni o poco motivati si sono rivelati più partecipativi e coinvolti. 

L’indagine, a cui hanno partecipato oltre 800 docenti, ha riguardato gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado (asili nido, scuole dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado) e università e corsi Afam, pubbliche, private e paritarie, in servizio al momento della chiusura delle scuole e delle università.

“Dalla nostra indagine emerge che il corpo docente promuove la didattica a distanza come una giusta soluzione per fronteggiare il problema della pandemia – ha spiegato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – al punto che 2 insegnati su 3 pensano che sia giusto tenere chiuse le scuole fino a quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata. In pratica il sistema dell’istruzione, trovandosi nella burrasca del mare aperto dell’emergenza sanitaria, ha utilizzato la ‘scialuppa’ della didattica a distanza per rientrare in un porto sicuro con tutto il proprio carico di lavoratori e studenti.

Aver remato nella stessa direzione, docenti e studenti, è servito a salvare il ciclo di studi ma è chiaro che sono emersi allo stesso tempo molteplici problemi come gli organici insufficienti, l’inadeguata dotazione strumentale, la scarsa padronanza dell’utilizzo dell’Ict da parte del nostro corpo docente, un corpo docente con la maggior presenza di over 50 fra i paesi Ocse (il 59% degli insegnanti dalla scuola primaria alla secondaria di II grado ha più di 50 anni) e con la percentuale più bassa di insegnanti con età compresa fra i 25 e i 34 anni (0,5%). Nonostante questo, il corpo docente ha espresso la volontà di continuare ad utilizzare le tecnologie Ict anche quando, si spera presto, la pandemia sarà sconfitta”.

Dall’indagine Inapp emerge in particolare come sul versante tecnologico i docenti hanno confermato le difficoltà di connessione causate da una rete Internet inadeguata anche in conseguenza della condivisione della banda con conviventi che contemporaneamente hanno avuto l’esigenza di lavorare da remoto o seguire le lezioni online.

Il 40,7% dei rispondenti ha dichiarato di convivere con una persona che aveva necessità di telelavorare e il 32,5% di convivere con uno studente in didattica a distanza. La percentuale è del 20,3% se le persone in telelavoro sono più di una, e del 35,3% se gli studenti sono più di uno.

“La carenza tecnologica – si legge nel report – ha probabilmente contribuito a elevare i fattori di stress dei docenti, che in Dad è stimato significativamente accresciuto rispetto al lavoro tradizionale anche in una situazione non compromessa dal punto di vista della connessione alla rete internet. La necessità di avere una connessione stabile per portare a termine efficacemente le attività di didattica online ha incoraggiato molti docenti ad attivare nuove tipologie di accesso alla rete più performanti, tuttavia, il 12% degli insegnanti rispondenti affermano che la connessione casalinga non è stata sufficiente per gestire la didattica online”.

Altro tema affrontato è la variazione del carico di lavoro in Dad rispetto alla didattica tradizionale. Il corpo docente esprime un giudizio polarizzato a seconda del grado scolastico: carico diminuito per chi lavora nei nidi, invariato per chi lavoro nel terzo ciclo dell’istruzione, è aumentato per chi lavora negli altri ordini di scuola.

“Verosimilmente gli educatori e le educatrici dei nidi dell’infanzia – si legge nello studio – hanno beneficiato, nel periodo di sospensione della frequenza scolastica, di una ridotta richiesta di interazione con la propria utenza a causa della loro giovanissima età, mentre i docenti universitari, presumibilmente, hanno potuto contare sull’elevato grado di autonomia dei loro studenti che ha condizionato il loro carico di lavoro in maniera limitata”.

Andando a focalizzare gli ambiti in cui l’incremento del carico di lavoro è stato maggiormente avvertito dal corpo docente, lo studio osserva che gli insegnanti del primo ciclo scolastico – la scuola primaria e la scuola secondaria di I grado – sono coloro che hanno maggiormente risentito di questo passaggio per un combinato disposto: la limitata autonomia dei loro allievi e la necessità di efficacia nella didattica.

Gli insegnanti della secondaria di II grado, invece, se hanno sperimentato un incremento del carico di lavoro durante la preparazione delle lezioni, questo si è attenuato nella realizzazione delle lezioni stesse.

I docenti universitari, infine, fanno registrare una crescita del proprio carico di lavoro soprattutto per ciò che riguarda la realizzazione degli esami (in forma orale o scritta) a causa della necessità di garantire la privacy, la sicurezza, l’idoneità e la veridicità delle prove.

Vedi:  Cosa pensano gli insegnanti della chiusura delle scuole
Fonte: cronaca agi


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