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Come si garantisce la sicurezza dei leader mondiali riuniti per il G20

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AGI – Settantadue ore di fuoco. Non solo per il traffico della Capitale, paralizzato da limitazioni e blocchi, oltre che dalle manifestazioni, ma soprattutto per chi da un lato deve gestire la sicurezza dei Capi di Stato e di goverbvo e dall’altro e dall’altro assicurare che le dimostrazioni di protesta non rappresentino una minacce all’ordine pubblico.

Abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza degli scenari e dei rischi connessi, cercando di comprendere cosa è stato predisposto e cosa potrebbe accadere.

Come viene impostata la sifesa delle personalità e del sito dove so svolge il G20?

I Capi di Stato sono sempre protetti da un dispositivo misto, ovvero composto da una aliquota che fa parte delle Forze di Sicurezza del Paese di provenienza e da una invece fornita dal paese ospitante l’evento ed è quest’ultima che per motivi di territorialità, di rispetto e di opportunità si fa carico della difesa ravvicinata della personalità. In genere, la dottrina prevede dispositivi che sono organizzati per cerchi concentrici e stabilisce che il cosiddetto “primo cerchio” ovvero quello che si occupa della sicurezza fisica della personalità e che è a contatto diretto con la stessa, sia prevalentemente assicurato dal personale del Paese che ospita l’evento. In gergo, tali dispositivi sono chiamati Security One e Security Two. In questo primo anello agiscono e lavorano operatori provenienti da due reparti nazionali ovvero quelli del Nocs della Polizia di Stato e del Gis dei Carabinieri.

Di che uomini stiamo parlando?

Si tratta di reparti e di unità particolarmente addestrate sotto moltissimi aspetti ovviamente anche nel settore della protezione di personalità e che hanno esperienze in tal senso riconducibili a decenni di operazioni e di attività tattiche e addestrative condotte tanto sul territorio nazionale, quanto fuori dai nostri confini, spesso in aree a media e alta conflittualità. Oltre alle specifiche peculiarità riguardanti gli aspetti della protezione di ospiti ad alto rischio, questi uomini sono anche particolarmente addestrati per quanto attiene alle attività di contro-terrorismo. Esiste sotto questo aspetto una tradizione consolidata di “affidamento” da parte delle autorità straniere di primissimo livello a reparti e unità distinte e separate. Solo per fare un esempio, il Secret Service americano che ha in cura la sicurezza del presidente degli Stati Uniti collabora da anni con il Nocs (Nucleo Operativo Centrale Sicurezza) della Polizia di Stato, mentre il Servizio di Sicurezza del presidente francese collabora da lungo tempo con il Gis (Gruppo di Intervento Speciale) dei Carabinieri.

Qual è il dispiegamento di forze?

Se qualcuno di voi, vivendo a Roma o in un’altra grande città interessata dalla visita di un capo di stato, ha potuto veder transitare un corteo impegnato nel trasferimento di un ospite di questo tipo, avrà forse potuto fare caso, fra le altre cose, al suv con il portellone posteriore aperto che in genere chiude il convoglio e non potrà non aver notato un operatore con il volto coperto dal tipico “mephisto” con in dotazione una mitragliatrice leggera. Quell’operatore fa parte del cosiddetto Cat (Counter Assault Team) ovvero del team che in caso di un eventuale attacco armato al convoglio avrebbe il compito di ingaggiare e neutralizzare la minaccia, mentre tutto il restante dispositivo più prossimo alla personalità, in tal caso, avrebbe il compito di allontanarla dalla scena del possibile attacco. Tutte e due le aliquote, ovvero quella – nel caso del presidente americano – statunitense e italiana, contribuiscono alla realizzazione del sistema, anche con i due dispositivi di Cat.

Come viene organizzato il sistema?

Si provi a immaginare quanto complesse siano tanto la preparazione che l’organizzazione di un simile evento in termini di gestione della sicurezza delle personalità partecipanti. Procedure da uniformare, percorsi da studiare nelle fasi di preparazione ed “anticipo”, sicurezza delle comunicazioni, preparazione e realizzazione di una centrale operativa capace di convogliare migliaia di dati e centinaia di immagini, nonché di indirizzare la risposta difensiva in caso di possibile attacco, il tutto dovendo far funzionare le cose fra dispositivi e team di venti diversi Paesi, con standard, dotazioni e modalità di azione, per quanto affini, sostanzialmente diversi. Proprio in virtù della complessità delle operazioni da portare a termine, sono state studiate figure di riferimento che hanno il compito di supervisionare le attività da un punto di vista strategico, coordinandole con il team leader che, ad esempio, nel caso del presidente americano è un operatore del Nocs. A tutti questi aspetti, si sommino quelli necessari ad avere il controllo dello spazio aereo e del contrasto alle possibili minacce di attacchi con aeromobile.

Come viene affrontata la minaccia dal cielo?

Sono schierati nella vicinissima base di Pratica di Mare caccia Eurofighter Typhoon a pochi secondi di volo dallo scenario e dispiegate le attrezzature necessarie a intercettare e abbattere droni anche di piccole dimensioni che dovessero cercare di penetrare nella cosiddetta zona rossa, ovvero quella interdetta a qualsiasi attività di volo. Riterrei che possa essere stato previsto, come già è accaduto in occasioni analoghe, l’approntamento di batterie di missili capaci di eliminare simili minacce proprio in prossimità della Nuvola, ovvero del sito prescelto per l’evento.

E quella da terra?

Tutti i percorsi dai luoghi di residenza degli ospiti (luoghi questi che vanno a loro volta difesi e presidiati) alla sede dell’evento sono stati verificati e bonificati, controllandone tutte le criticità, che vanno dalle auto in sosta alla rete fognaria. Insomma, si tratta di un lavoro imponente e di una sfida per molti aspetti, unica. Si sarà inoltre provveduto ad allertare ed approntare gli ospedali più prossimi alle zone coinvolte nella dinamica, nel caso in cui si dovesse prestare soccorso agli ospiti e ai cittadini eventualmente coinvolti in un ipotetico attacco. Appare evidente come in termini concreti vi siano ridottissimi margini di azione per chi decidesse di sfruttare una simile occasione per attaccare ad esempio, il presidente degli Stati Uniti o per compiere un’azione eclatante, ma credo sia altrettanto facilmente comprensibile, capire come non si possa in alcun modo trascurare nessuno degli aspetti collegati ai rischi connessi ad un siffatto evento.

Parlando delle manifestazioni di protesta, come dovrebbe essere gestito l’ordine pubblico?

Le autorità e gli organismi competenti stanno da tempo monitorando e valutando i segnali, il tono e la criticità rappresentate ed espresse dalle differenti compagini che si stanno dando appuntamento nella capitale per dare vita a manifestazioni di protesta che, ci si augura, possano svolgersi in un clima di sano confronto civile. I canali utilizzati per organizzare l’afflusso e la partecipazione alle manifestazioni, sono ormai da tempo quelli delle chat su piattaforme meno accessibili in termini di facilità di controllo, ma pur sempre intercettabili da parte delle forze dell’ordine, quali ad esempio Telegram. Malgrado gli organismi sappiano come muoversi, prevenire ed agire, restano vive le perplessità e le preoccupazioni della nostra intelligence e degli apparati investigativi, conseguenti alla deriva violenta sviluppatasi nelle ultime manifestazioni di protesta ed alla possibile saldatura fra gruppi e movimenti che, almeno in termini di principio, dovrebbero essere schierati su fronti opposti, ma che potrebbero utilitaristicamente, fare massa critica per moltiplicare la loro capacità offensiva e prendersi la scena in un momento nel quale l’attenzione dei media mondiali, sarà rivolta proprio verso la Capitale. E credo sia noto a tutti il fatto che ciò che interessa tanto ai gruppi terroristici strutturati quanto alle compagini dell’antagonismo, non sia tanto il danno che si è capaci di cagionare, quanto la capacità di far parlare di se, di colpire e c’è da chiedersi quale altra occasione migliore di questa possa essere offerta loro, con centinaia di troupe televisive da tutto il mondo pronte a riprendere qualsiasi accadimento, una occasione certamente irripetibile per veicolare il proprio messaggio a livello globale.

E allora qual è la soluzione?

Oggi la tecnologia e l’esperienza, mettono chi deve difendere la città, i suoi abitanti ed i cosiddetti obiettivi sensibili, in condizione di poter comprendere con notevole anticipo le intensioni malsane di possibili malintenzionati. Ma Roma è grande, gli obiettivi non mancano e la concomitanza con le necessità in termini di difesa di offrire il massimo livello di sicurezza ai partecipanti al G20, al sito ed all’area dove gli ospiti si riuniranno e dove alloggeranno e quella di difendere l’ordine pubblico, stanno creando non pochi problemi. I componenti le frange estremistiche violente nazionali e trans-nazionali sono noti ai nostri apparati di prevenzione ed a quelli dei Paesi alleati ed è immaginabile che già da settimane sia in essere un confronto diretto ed una condivisione di informazioni fra le polizie dei paesi europei, tesa a minimizzare la minaccia ed a essere consapevoli degli spostamenti e dei contatti in essere fra i componenti di questi gruppi e più in generale fra le compagini che, è possibile immaginare, staranno convergendo su Roma per creare instabilità e criticità.

Source: agi


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