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Come si “edifica” una comunità ecclesiale?

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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

Nei giorni di Natale del 2013, nella piazza del Duomo di Augusta apparve un grande albero sfavillante di luci, alla sua base, su un cartello ben in vista, il nome del donatore, la raffineria Esso. Altri alberi di Natale, come negli anni precedenti, erano stati collocati in diversi punti della cittadina. La cittadinanza si sentì offesa da queste regalie, fatte in un momento in cui molte strade erano al buio e il paese infestato più che mai dai miasmi provenienti dal vicino polo petrolchimico, a causa delle continue emissioni industriali di fumi e gas oltre i valori consentiti dalla legge.

Da poche settimane si era insediato un nuovo parroco della Chiesa Madre e arciprete di Augusta, don Palmiro Prisutto, già da anni impegnato nella battaglia contro l’inquinamento, il quale si fece subito interprete del risentimento popolare e condivise le manifestazioni spontanee di protesta sulla piazza antistante il sagrato della sua chiesa. Lanciò l’idea di sistemare ai piedi dell’albero dei lumini accesi: “L’albero della zona industriale ci offende. Noi, ricorderemo i nostri morti per tumore, illuminando la speranza”, una lanterna per ogni lutto, per ogni dramma familiare inflitto alla gente di Augusta.

Così attorno all’albero si accesero dieci, venti, cento lumi. La Esso non la prese bene, non mandò più alberi né contributi per la festa patronale. E l’arciprete Prisutto mandò alla raffineria una lettera di ringraziamento: “Finalmente siamo liberi! La Chiesa di Augusta può difendere senza condizionamenti la vita e la salute del suo popolo”.

E dal febbraio successivo, il giorno 28 di ogni mese, don Prisutto ha celebrato la “messa per la vita” nella quale, oltre alle preghiere per quanti lottano contro il cancro, vengono ricordati, con nome e cognome, tutti coloro che ad Augusta sono morti per patologie collegabili all’inquinamento. Prima 155 nomi, poi 260 nomi, poi piano piano più di mille, oggi ancora di più, una sorta di “anagrafe” dei decessi che scuote le coscienze ed ha lo scopo di esortare le famiglie di Augusta, così come degli altri comuni del “triangolo della morte”, Priolo e Melilli, ad esternare, raccontare la propria storia, condividendo il dolore con la comunità, a non restare, dice don Palmiro “prigionieri di un’irrazionale paura, intimiditi dal possibile ricatto occupazionale, asserviti alla logica che la salute vale meno del posto di lavoro, la logica del meglio morire di cancro che di fame”. E quindi l’appello a “trasformare il ‘dolore nascosto’ in una forte richiesta di giustizia non solo per le vittime dell’inquinamento, ma anche per la nostra città, che sembra inesorabilmente avviarsi verso il declino”.

La messa per la vita, la virtuale “piazza dei martiri del cancro”, grande bacheca con l’elenco di tutti i deceduti per patologie tumorali, hanno fatto notizia, sono diventati un caso nazionale. E nel risveglio delle coscienze, nella consapevolezza della dimensione collettiva, sociale, economica, politica dei drammi individuali padre Prisutto ha inteso costruire la comunione di fede della comunità ecclesiale a lui affidata, la missione del “buon pastore” che conduce il suo gregge non solo in processione dietro il simulacro dei santi, ma anche, quando occorre, nei cortei di protesta per rivendicare vita, salute, dignità, diritto.

Sta qui il nodo centrale dei contrasti insorti da subito con le autorità ecclesiastiche, con i difensori di una forma differente di comunione ecclesiale, da tenere “all’interno dell’aspetto devozionale e tradizionale della fede racchiuso nelle processioni e nei riti pubblici”.

La “tradizione” è quella di una Chiesa che non fomenta la protesta sociale, ma “tiene buona” la gente comune, facendo, di fatto, “sistema” con le autorità locali, con i detentori della ricchezza e della potenza che, ad Augusta, sono i manager delle industrie petrolchimiche ed i titolari di aziende dell’indotto, che danno qualche posto di lavoro e s’ingraziano le istituzioni locali, Chiesa compresa, con un contributo qua e là, con qualche assunzione di favore. Un sistema cui non piace, non può piacere, sentirsi dire dall’arciprete che “uccidere inquinando è un crimine, di lavoro si deve vivere, non morire”. Non per scrupolo morale, ma perché a qualcuno, magari, potrebbe venire l’idea di chiedere un risarcimento…

Un sistema locale vive anche di interessi, nel caso specifico interessi mediocri, quelli di un clero che tiene soprattutto al suo quieto vivere e di una parte dei laici delle confraternite cittadine che si è sentita defraudata del potere concessole dal precedente arciprete, un dissoluto condannato in via definitiva per molestie sessuali nella parrocchia. Questi aveva consegnato alle confraternite, per così dire, le chiavi della Chiesa Madre e fatto prendere loro le redini di tutta la vita ecclesiastica.

Organizzare processioni e celebrazioni solenni, poter disporre dei contributi delle aziende petrolifere anche per piccoli interventi di restauro nei luoghi di culto, ha consentito al coordinatore delle confraternite, un perito industriale che lavora per le aziende del polo industriale e gode di fortissime protezioni negli ambienti della curia di Siracusa, di ottenere una certa visibilità, fino ad essere nominato assessore alla cultura.

Una rettoria dell’arcipretura ha ricevuto nel tempo in lascito alcuni terreni agricoli che possono dare modeste rendite da spendere in opere di carità o per il sostentamento della chiesa. Ma i terreni possono anche far gola in un’ottica speculativa, poiché si trovano in prossimità di una zona industriale e di un grande porto commerciale, senza contare l’affare del momento: gli impianti fotovoltaici ben più redditizi di ulivi, mandorli, zucchine e peperoni. Un arciprete ambientalista è la persona più adatta per curarsi di queste proprietà?

Un’idea del valore economico del territorio di Augusta, la città dell’ormai tristemente famoso faccendiere Amara, la può dare il ricordo dello scandalo che portò, nel marzo del 2016, alle dimissioni della ministra dello sviluppo economico Federica Guidi dal governo Renzi. Attraverso le intercettazioni vennero alla luce i rapporti tra l’allora vicepresidente di Confindustria, il siracusano Ivan Lo Bello e l’imprenditore augustano Gianluca Gemelli, fidanzato della ministra, volti ad acquisire la concessione demaniale di un pontile presso il porto di Augusta per realizzare un deposito costiero di prodotti petroliferi. Ma i due miravano anche alla realizzazione di impianti energetici.

Gli oppositori di don Palmiro non c’entrano nulla con vicende di questo tipo. Tuttavia è un fatto che i politicanti di Augusta dicono sempre sì agli interessi delle aziende del petrolchimico: sì alle raffinerie, sì alla chimica, sì all’inceneritore, sì al rigassificatore, sì al deposito di Gnl (Gas Naturale Liquefatto, altamente infiammabile) nella rada… Un prete che grida No, che fa rumore, che difende la vita e la salute della gente non va proprio bene, va neutralizzato, allontanato.

Così, aver turbato gli equilibri locali è costata a don Palmiro una guerra senza esclusione di colpi, in un crescendo di accuse e di insinuazioni diventato aperta campagna diffamatoria ai suoi danni, fino a costringerlo alla querela per tutelare la propria onorabilità. E dal processo che ne è scaturito, per la curia, tirata in ballo dagli accusati, possono emergere situazioni imbarazzanti.

La curia arcivescovile di Siracusa ha fatto subito la sua scelta, schierandosi con decisione e con durezza a favore dei cultori (laici) della “tradizione”, contro le conturbanti novità dell’arciprete Prisutto, il cui impegno sociale è stato letto come volontà di costruirsi un’immagine servendosi “abilmente della piazza mediatica oltre che di discutibili forme di populismo”. Ecco la parola magica: “populismo”! Palmiro Prisutto ha perso una sorella per tumore, ha un fratello e una sorella malati di cancro, nella sua famiglia ci sono due bambini malformati e altri due morti pochi giorni dopo la nascita. Ad Augusta sono ben poche le famiglie che non hanno vissuto drammi di questo tipo. Eppure, chi si batte contro l’inquinamento è un “populista”!

A don Palmiro, fin dai mesi immediatamente successivi alla sua nomina, è stato intimato di dimettersi da arciprete e parroco della Chiesa Madre, poi gli è stato anche ingiunto di ritirare la querela contro i membri delle confraternite, pena la rimozione. Il nuovo vescovo, Mons. Lomanto, gli ha già indirizzato due “ammonizioni” canoniche, ha dato all’arciprete un termine di due settimane, ormai venuto a scadenza, per “dare atto dei filiali sentimenti di rispetto e obbedienza”, cioè per togliere “spontaneamente” il disturbo, altrimenti sarà rimosso e andrà sotto processo davanti al Tribunale ecclesiastico.

Di cosa è accusato, esattamente, Don Palmiro? Per quale capo d’imputazione sarà processato? Il vescovo in carica e i suoi predecessori non possono imputargli di non avere obbedito all’ordine di dimettersi, dovrebbero spiegare perché non hanno disposto, com’era in loro potere, un “normale avvicendamento”, mostrando così di essere ben consapevoli dell’orientamento dell’opinione pubblica, schierata dalla parte del parroco. Né il tribunale può essere chiamato a pronunciarsi sull’aver disatteso le pressioni per ritirare la querela, imponendo la rinuncia all’esercizio di un diritto costituzionale del cittadino. Men che meno l’arciprete può essere processato per essersi battuto contro l’inquinamento, in difesa della vita e della salute della comunità, in perfetta sintonia con la dottrina sociale della Chiesa.

Nel processo ci si richiamerà, dunque, alla mancata “edificazione” dando di questo concetto la lettura che chi chiama alla ribellione contro l’ingiustizia fa scandalo, non incita al bene, non dà un buon esempio, non rafforza il popolo nella fede. Soprattutto si imputerà a Don Prisutto di avere agito per dividere la comunità, a scapito di quelle confraternite controllate dal “coordinatore” tanto caro alla curia.

Anche in questo caso i responsabili della Chiesa siracusana dovranno spiegare bene da dove e perché è partito l’isolamento del parroco della madrice di Augusta e perché all’arciprete è stata sottratta la cura delle rettorie sedi delle confraternite, a ciascuna delle quali è stato assegnato un sacerdote, mettendole di fatto in condizioni di autonomia e indipendenza dalla Chiesa Madre, mentre a Don Prisutto è stato negato perfino l’aiuto di un viceparroco.

Al di là delle motivazioni, sempre opinabili, la curia, con le sua azioni, ha avallato la permanenza di una “Chiesa parallela” ad Augusta, frantumando essa stessa, oggettivamente, la comunità e facendo venir meno la comunione ecclesiale.

Non conosciamo il procedimento canonico. Ma prevediamo che Don Prisutto non si piegherà, non verrà meno alla sua coscienza e alla sua coerenza, continuerà a battersi a testa alta per difendersi da accuse pretestuose e ingiuste. Noi resteremo dalla parte di Don Palmiro, senza se e senza ma.

Il 15 agosto del 2016, padre Prisutto scrisse, in una lettera aperta ai fedeli di Augusta: “Nel caso di una mia rimozione dal ruolo di parroco, non lascerò la parrocchia con l’umiliazione di chi si sente sconfitto, ma come chi ha almeno tentato di svolgere il ruolo veramente “profetico” nella sua città, non solo martoriata dall’inquinamento, ma anche preda delle logiche del potere. Una città che è stata ‘comprata’ dalle lobbies del petrolio”.

L’arcivescovo di Siracusa e tutto l’ambiente curiale faranno di tutto per far passare il processo a Don Palmiro come estraneo alla sua lotta ambientalista, ma si tratta di una missione impossibile, perché a tutti è chiaro che allontanare Prisutto, con qualsiasi pretesto lo si faccia, significa estraniare la Chiesa dalle battaglie da lui condotte. Cioè, rifletta Mons. Lomanto, allontanare la Chiesa di Augusta dalla società civile.

(3. Fine)