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Civica-Mente. Orizzonti sul nostro futuro

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 di Fausto Fareri

La quotidianità inghiotte gli adolescenti, li prostra su una serialità che la pandemia amplifica.Vivere da remoto implica forse quella sfida che è stato, nell’ultimo decennio, il mantra di una classe dirigente ed educativa che oggi raccoglie frutti certo non generosi. Il senso di comunità prima garantito da scelte illuminanti di uomini di centro (Moro in prima linea), che introdussero l’educazione civica come collante tra le materie in una Italia ancora da ricostruire (era il 1955), nei decenni successivi si è omologato anche all’interno dei meandri dell’offerta formativa,tra le vie dei vari Fioroni e Azzolina, che a fatica hanno tentato di emulare quella originaria intuizione.  

Semmai nel primo si puntava sul carattere fondante di una educazione alla cittadinanza su valori di tolleranza, anti-mafia ed anti-bullismo, con un coordinamento con la disciplina storica per inquadrare il percorso a livello interdisciplinare, l’educazione civica come esercizio di consapevolezza del patto fondativo della Repubblica viene stigmatizzata in tre assi nella recente normativa, volti a rendere i giovani consci, almeno nelle linee guida, della complessità del nostro essere europei ma radicati.

Si auspica un giovane che difenda i valori costituzionali, che sia fiero della sua appartenenza, che valorizzi la sostenibilità, che sia digitalmente attivo e corretto. Pregevole auspicio, ma omologante, lontano dalla criticità del nostro vivere complesso.

Parafrasando Cerroni, indimenticato sociologo, la anomia delle periferie ci restituisce una realtà più avara, ragazzi che con occhi prima lucidi e più grigi cercano invano un esempio, un monito, un dialogo.  Le formule semplici,  alimentate da uno studio per immagini e  schemi, attraverso una comunicazione formativa scontata, rischiano di non  fare vivere a questi ragazzi la comunità, come spazio di dialogo fisico e intellettuale, ma anche ludico e non di mero svago.

Eseguire, non pensare, sottile mainstreaming che fa a pugni con la nostra tradizione pedagogica, umanistica, che era anche centrata sull’uomo da stimolare alla auto-educazione (Visalberghi, Codignola, Montessori) per concorrere con tolleranza e cooperazione al “cantiere”democratico.

Grava quindi sugli educatori, nelle esigue trentatré ore dedicabili, valorizzare esperienze di crescita culturale per i ragazzi, esaltando il ruolo della collegialità e condivisione a scuola e fuori, per un orizzonte realistico, per non essere risucchiati dalla corrente che ci vorrebbe unidimensionali e consumatori.


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