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Champions, l'intruso Sheriff Tiraspol arriva dall'ultimo feudo comunista d'Europa

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AGI – Nell’elite dei gironi di Champions League è approdato un intruso il cui nome dice poco alla maggioranza dei tifosi europei: lo Sheriff Tiraspol, capace di eliminare la Dinamo Zagabria nei playoff dopo essersi sbarazzata della Stella Rossa Belgrado, degli albanesi del Teuta e degli armeni dell’Alashkert. Il club giallonero, assoluto dominatore del calcio della Moldova con 19 campionati vinti su 21 dal 2000, ha la sua sede in Transnistria, uno Stato non riconosciuto dall’Onu che si è proclamato indipendente nel 1990 ed è governato da un’amministrazione autonoma filo-russa. In molti la considerano l’ultimo feudo comunista d’Europa come dimostra la falce e martello nella sua bandiera.  

Non è un calcio povero

L’idea però che si tratti di una rivincita del calcio povero e di periferia in tempi di Super League, emiri e sceicchi è vera a metà. La Moldova è sì tra i Paesi più poveri d’Europa ma lo Sheriff fondato nel 1997 è un club ricco: porta il nome di un gruppo creato da due ex membri del Kgb poco dopo il crollo dell’Urss che ha rami aziendali nel commercio, nell’edilizia, nell’editoria e nel petrolio, grazie al sostegno di Mosca. Tanto per dare un’idea la squadra di Tiraspol ha vinto l’ultimo campionato con 99 punti, 116 gol fatti e soltanto 7 subiti e ha ormai da tempo soppiantato lo Zimbru Chisinau come principale club della Moldova. Il suo simbolo è una stella da sceriffo, lo stadio da 14.300 posti è un piccolo gioiello e la sua stella è l’attaccante 26enne maliano Adama Traoré, autore di una doppietta nel 3-0 dell’andata alla Dinamo Zagabria. L’allenatore è l’ucraino Yuryi Vernydub e i giocatori sono una multinazionale proveniente da Grecia, Colombia, Brasile, Perù, Trinidad e Tobago, Lussemburgo, Ghana, Guinea, Serbia, Russia, Bosnia, Malawi, Slovenia oltre alla Moldova.  ​​​​​​L’amministratore delegato è Oleg Smirnov, figlio di Igor Nikolaevič Smirnov, presidente della Transnistria.

La Transnistria sulla mappa

E con l’ingresso in Champions, la Transnistria filorussa, stretta tra la sponda orientale del fiume Dnestr e l’Ucraina, reclama un posto sulla mappa, almeno quella sportiva. Questo “Paese che non c’è”, una striscia di terra della Bessarabia a lungo contesa tra Romania e Urss, ha il russo come lingua ufficiale, mezzo milione di abitanti ripartiti tra moldavi, russi e ucraini, e un’élite erede dei funzionari e militari reduci dalla caduta dell’Urss. Batte moneta e ha un esercito e sue dogane, malgrado non sia riconosciuta a livello internazionale. Soltanto nel 2011 tre Stati, altrettanto non riconosciuti – l’Abkhazia, la Repubblica di Artsakh e l’Ossezia del Sud – hanno appoggiato l’indipendenza di questo territorio.

Una secessione figlia della Perestrojka

Il cammino verso l’autonomia di questa regione ha origine nelle riforme della Perestrojka di Mikhail Gorbaciov che permise l’abolizione della lingua russa come lingua ufficiale all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Moldava. Una decisione mai accettata nella parte orientale del Paese dove era presente la maggioranza della popolazione russofona, soprattutto nella Regione della Transnistria. L’indipendenza della Moldova e il crescente nazionalismo moldavo aggravarono le tensioni tra i gruppi etnici fino alla scissione di Tiraspol. 

Source: agisport


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