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CGIL: nessuno dice a Landini che sul green pass sbaglia?

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di Antonino Gulisano

Possibile che nella grande Cgil non ci sia uno che alzi la mano e dica pubblicamente che sulla questione del green pass Maurizio Landini ha preso una strada incomprensibile, evitando di dire l’unica cosa che andasse detta, che bisogna vaccinarsi, punto e basta?
Non c’è coraggio a Corso d’Italia, fortino assediato da temi e tempi nuovi che non varcano quella vecchia entrata di vetro, predominando piuttosto il copione del segretario generale dell’urlare in televisione e continuamente chiedere tavoli di confronto che si susseguono spesso con scarsi risultati e soprattutto con l’annuncio di nuovi incontri.
C’è un’evidente problema di direzione politica se gli operai continuano a votare a destra e i giovani nemmeno sanno che esiste, il caro vecchio sindacato. Dove sono gli altri sindacati CISL e UIL? Che è pur sempre un’infrastruttura forte del nostro sistema. Almeno finora. Per questo, la crisi della democrazia nel sindacato è un problema per la democrazia italiana.
In Cgil si discute – abbastanza – ma i contrasti o le semplici diversità di vedute restano sempre tra le mura della sede nazionale, in un perpetuarsi fuori tempo del centralismo democratico che in Cgil non chiamano così ma “senso di responsabilità”: e però se tu neghi pubblicità a un’opinione diversa, quella opinione non sarà mai oggetto di una discussione di massa ma tutt’al più ristretta ai gruppi dirigenti. E dunque ogni democratico ha diritto di chiedere cosa sia diventata negli anni la democrazia interna del sindacato, un tempo scuola di memorabili dibattiti, magari felpati, che irrobustirono non solo il sindacato ma la democrazia nel suo complesso.
La gestione di Susanna Camusso, vera responsabile dell’involuzione burocratico-autoritaria del sindacato più forte del Paese, fu a suo tempo criticata da Maurizio Landini, ma adesso è lui a fare la stessa cosa con i bancari e altre categorie di orientamento più riformista, come i trasporti e gli edili, costrette ad adeguarsi. I tempi di Luciano Lama, Bruno Trentin, Fausto Bertinotti, Ottaviano Del Turco, Sergio Garavini, Sergio Cofferati, Claudio Sabattini, tutta gente di vario orientamento ma di assoluto livello, sono lontanissimi: paradossalmente, si era più liberi quando c’erano le componenti. Oggi prevalgono pigrizie e tornaconti, ovviamente insieme a sincere opinioni in perfetta sintonia con quella del segretario generale.
Non si ha il coraggio di aprire un vero percorso che porti al sindacato unico perché tre centrali distinte sono più “convenienti” da tanti punti di vista, malgrado l’evidente inutilità di tre sindacati che dicono le stesse cose.
Con la scusa dell’autonomia, per la mancata applicazione dell’articolo 39 sono consentiti al sindacato comportamenti politici e amministrativi non permessi a nessun partito. La trasparenza non è assicurata. Il sindacato non è più una rappresentanza di lavoratori, ma un insieme di uffici di patronato e di servizi delegati con il sistema del franchising. Ma soprattutto la sensazione generale è che si abbia paura di contestare il segretario.
Di fronte alla straordinarietà della situazione, un tempo i sindacati e soprattutto la Cgil avrebbero allestito una mostruosa macchina organizzativa per portare fisicamente i lavoratori a vaccinarsi, avrebbero costruito una grande campagna d’informazione spiegando le ragioni pro vax, e avrebbero anche preso qualche provvedimento contro quei loro iscritti che a vaccinarsi non ci pensano proprio.