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Breve storia di Rudy, il robot pensionato che ha ballato con Bolle

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Tanti discorsi, tanti libri e troppi convegni per parlare del rapporto, difficile ma affascinante, ma noi umani e i robot, e poi arriva Roberto Bolle e tutto diventa improvvisamente chiarissimo. I tre minuti andati in onda la sera del 1° gennaio su RaiUno nel corso dello show “Danza con Me” sono destinati ad essere mostrati nelle scuole per capire la vera anima della tecnologia; e a diventare materia per i corsi universitari, quelli che dovrebbero spiegarci a cosa servono le macchine e a cosa serviamo noi se le macchine ormai fanno tutto o quasi. I tre minuti allora. Sulle note de La Cura di Franco Battiato, il grande ballerino sperimenta un passo a due con un braccio robotico di oltre una tonnellata (mille e duecentoventi chili per la precisione). Un colosso in grado di demolire un muro con un colpo solo altro che danza.

In rete da un mese giravano alcuni momenti delle prove piuttosto emozionanti, ma il risultato finale è di una dolcezza che non ti aspetti. In certi momenti sembra di rivivere la fiaba della Bella e la Bestia, dove la bestia è evidentemente la macchina, un bestione metallico appena addomesticato nell’unico modo in cui si può addomesticare un robot, intervenendo sul suo algoritmo che non è qualcosa di divino e ineluttabile che capita per caso, non è il DNA, è un insieme e di regole e comandi che gli diamo noi.

Il robot ballerino era del tipo NJ 220-2.7 della Comau. Era un robot pensionato, mi hanno raccontato, aveva passato la sua breve vita produttiva in fabbrica, in una catena di montaggio, di quelle per automobili. Era addetto alla verniciatura. Ma i robot invecchiano molto prima delle persone, e così era stato sostituito e venduto ad una società che organizza grandi eventi che ne aveva bisogno per spostare gli schermi di scena, sempre più grandi e pesanti (questo solleva e sposta fino a 220 chili per volta). Il ballo con Bolle è arrivato per caso.

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L’idea era di mettere assieme da una parte un ballerino così perfetto da essere definito una macchina, e dall’altra una macchina vera ma renderla così delicata nei gesti da darle un tocco di umanità. C’è voluto un mese e mezzo per programmarne i movimenti e non sono mancati incidenti come quando provando il finale, quando il robot raccoglie da terra la giacca di Bolle e gliela porge, ha letteralmente divelto il pavimento. Non per colpa sua, una questione di programmazione.

All’inizio si muoveva come un combattente di karate ma alla fine pare che persino i cameramen della Rai fossero commossi. In scena, durante le prove, lo chiamavano Rudy, un omaggio a quello che forse è stato il più grande ballerino di sempre, Rudolph Nureyev, considerato a volte algido come un robot ma sempre profondamente umano. E alla fine di tanta bellezza c’è una morale: Rudy, o come diamine lo volete chiamare, insomma il robot pensionato verniciatore che una sera ha danzato con Bolle prima di finire a spostare schermi, era umano non per natura ma perché noi umani lo abbiamo programmato così.

Sta a noi, con tanta tecnologia a disposizione, costruire un futuro in cui al centro ci siano sempre gli uomini e le donne.

Vedi: Breve storia di Rudy, il robot pensionato che ha ballato con Bolle
Fonte: innovazione agi


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