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BOBBY SANDS, L’UOMO CHE SI LASCIÒ MORIRE PUR DI ESSERE LIBERO

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David Romoli In alto a sinistra Bobby Sands in un murale della zona cattolica di Belfast e accanto una manifestazione di protesta dopo la sua morte in carcere

Dopo il decesso, lo sciopero non si arrestò. Finché la premier dovette trattare. Nell’ottobre 1981 ai prigionieri politici furono concessi gli abiti civili, la possibilità di incontrarsi e fare eventi comuni in carcere, la facoltà di non lavorare in cella, ricecere visite
Quando il 5 maggio 1981 spirò dopo lo sciopero della fame, Robert aveva 27 anni. Aveva passato gli ultimi 9 anni della sua vita al carcere duro, chiedendo condizioni di prigionia più umane. «Era un criminale e ha scelto di togliersi la vita», chiosò gelida la Thatcher
Quando il 5 maggio 1981 morì di fame, dopo 66 giorni di sciopero della fame, Robert Gerard Sands, per tutti Bobby, aveva 27 anni. Aveva passato gli ultimi 9 anni, con pochi mesi di interruzione tra una condanna e l’altra nei durissimi H-Block di massima sicurezza del carcere di Maze, come il governo britannico aveva ribattezzato il penitenziario nordirlandese di Long Kesh. Era stato arrestato e condannato a 5 anni dopo che gli erano state trovate in casa 4 pistole. Uscito nell’aprile 1976 fu arrestato di nuovo in ottobre, dopo l’attentato contro un mobilificio seguito da una sparatoria. Non gli erano stati contestati né l’attentato né la responsabilità nella sparatoria ma solo la pistola trovata nella macchina con la quale lui e altri tre militanti dell’Ira fuggivano dopo l’attentato. Quella pistola gli valse una nuova condanna a 14 anni.
Bobby Sands era “Officer Commanding” dell’Ira nella prigione e guidava lo sciopero della fame di una decina di detenuti, tutti militanti dell’Ira. Gli altri 9 sarebbero tutti morti di fame nel giro di tre mesi. Bobby Sands era stato eletto al Parlamento inglese un mese prima di morire, quando era già in sciopero. Non potè presenziare neppure a una seduta. La premier Margaret Thatcher commentò con l’abituale gelo: «Era un criminale detenuto e ha scelto di togliersi la vita. Una scelta che l’organizzazione alla quale apparteneva non ha concesso a molte delle sue vittime». Non era una formula scelta a caso. Quel che i detenuti in sciopero chiedevano e che la Lady di ferro non intendeva assolutamente concedere era proprio lo status di detenuti politici, e quel che quel riconoscimento avrebbe garantito nelle condizioni di detenzione dei prigionieri appartenenti all’Ira.
Non era stata la rigidissima premier conservatrice ad abolire lo status speciale di cui, in quanto detenuti politici, i prigionieri dell’Ira avevano sino a quel momento goduto dal 1972. Era stato il governo laburista di Harold Wilson, nel 1976. Da quel momento, di conseguenza, i militanti in carcere erano tenuti a indossare la divisa dei prigionieri senza più diritto agli abiti civili. I militanti imprigionati reagirono rifiutando le divise e usando come abiti solo le coperte. La Blanket Protest, come fu definita, portò ad altre restrizioni: sospensione totale delle visite, eliminazione della possibilità di uno sconto di pena del 50% per buona condotta, censura rigida sulla corrispondenza. Nel 1978, per reazione alle continue aggressioni degli agenti mentre andavano alle docce, i detenuti di Maze passarono alla Dirty Protest: rifiutarono di lavarsi e di permettere lo scarico di urina ed escrementi. La protesta proseguì per mesi: «Era disgustoso ma era il campo di battaglia sul quale ci avevano spinto e potevamo solo o vincere o arrenderci», ricordava nel 2021 uno dei reduci di quella battaglia.
Fuori dal carcere, però, l’eco della protesta era debole, anche fra la popolazione cattolica, e la nuova premier, arrivata al potere nel 1979 non era disposta ad alcun compromesso. Il 27 ottobre 1980, quando i detenuti vivevano rivestiti solo con le coperte da quattro anni e in mezzo ai loro escrementi da due l’Officer Commanding Brendan Hughes decise di passare a una forma di protesta più drastica. Passò il comando a Bobby Sands e iniziò uno sciopero della fame affiancato da sei detenuti ai quali si aggiunsero poi altri 30 militanti incarcerati a Maze e 3 donne dalla prigione femminile di Armagh. L’obiettivo dello sciopero fu riassunto in 5 richieste precise: diritto agli abiti civili, a non svolgere lavori in carcere, alla socialità durante le ore d’aria, a una visita, una lettera e un pacco dall’esterno ogni settimana. In più era richiesto il ripristino dello sconto di pena per buona condotta. Non era una richieorangista. sta formale di riconoscimento dello status di detenuti politici, che l’Ira sapeva essere inarrivabile, ma per via traversa, attraverso il ripristino delle condizioni materiali derivate da quello status, l’obiettivo sarebbe stato comunque raggiunto.
Dopo 53 giorni di sciopero, con uno scioperante vicinissimo alla morte e il governo che fingeva di voler trattare, lo sciopero fu interrotto. Ma la trattativa era falsa. Gli abiti civili continuarono a essere proibiti, le altre condizioni rimasero inevase. Il primo marzo 1981, anniversario delle disposizioni restrittive del governo Wilson, Bobby Sands iniziò il suo sciopero della fame da solo. Gli altri scioperanti si sarebbero aggiunti ciascuno a dieci giorni di distanza dal predecessore, per tenere sempre alta la tensione. Margaret Thatcher fu tassativa: «Il crimine è crimine. Non è politica: è crimine».
La morte improvvisa di un deputato irlandese aprì la strada a una possibilità preziosa anche sul piano della propaganda. Il Sinn Fein, braccio politico della rivolta irlandese, accettò di sostenere la candidatura di Sands non come candidato del Sinn Fein ma come “Anti H-Block/Armagh Political Prisoner”. A sorpresa fu eletto di misura, con 1446 voti di vantaggio sul rivale Un mese dopo moriva in conseguenza dello sciopero. Sino a quel momento la protesta dei detenuti, che proseguiva ormai da anni, non aveva trovato vasta solidarietà, era quasi passata sotto silenzio e la scelta di chiusura totale del governo inglese dipese anche da questo. La morte di Bobby Sands cambiò tutto. I funerali furono seguiti da oltre 100mila persone, l’eco in tutto il mondo fu enorme e rinnovata a ogni nuovo decesso nei mesi successivi. Iron Lady tenne duro: «Di fronte al fallimento della loro discreditata causa, uomini violenti hanno giocato la loro ultima carta», commentò. Ma lo sciopero non si arrestò. Nuovi detenuti iniziarono a rifiutare il cibo finché il governo non scelse, previo consenso delle famiglie, di nutrirli a forza appena entravano in coma. Lo sciopero fu così battuto ma la premier si era resa conto di dover trattare in segreto. Nell’ottobre 1981 ai detenuti dell’Ira furono concessi gli abiti civili, la possibilità di incontrarsi e organizzare eventi comuni in carcere, la facoltà di non lavorare in prigione, il diritto a pacchi, lettere e visite.
Tre anni dopo, anche come rappresaglia per la morte di Bobby Sands e degli altri 9 militanti, l’Ira attaccò il Grand Hotel di Brighton dove era in corso la conferenza annuale dei Tories. Cinque conservatori furono uccisi. Margaret Thatcher la scampò per un pelo.

Fonte: Il Riformista