Type to search

Berlusconi e la corsa al Quirinale

Share

 

di Augusto Lucchese

A pochi giorni dal fatidico 24 gennaio, data fissata per la prima votazione, e lungi dal volere esprimere qualsivoglia giudizio circa gli orientamenti e i comportamenti dei protagonisti della volata finale al Quirinale, riesce ancora difficile comprendere a fondo gli odierni accadimenti, le manovre, le mosse tattiche riguardanti l’ingarbugliata vicenda della prossima elezione del Presidente della Repubblica.

Sarebbe giusto ritenere che un sì importante adempimento costituzionale dovesse rappresentare un momento di “coesione nazionale” ma, di fatto, non è così. Le contrastanti, avverse e litigiose forze politiche, espressione di una moltitudine di partiti e partitini, oltre che dei tanti corpuscoli che ruotano attorno ad essi, sono in balia della più assurda confusione di idee. Una sorta di “torre di babele”.

Non è certamente un quadro esaltante quello che sta affiorando attraverso le pretese, le velleità, le contrastanti vedute dei leader dei variegati raggruppamenti. Un po’ tutti si mimetizzano dietro una sorta di cortina fumogena, asserendo di agire nell’interesse supremo della Nazione, nel rispettoso ossequio della Costituzione, nell’intendimento di affrontare i gravi problemi del momento, ma poi, un po’ tutti, chi più e chi meno, si lasciano travolgere dalla incoerenza e dalle ambizioni di parte.

Perché, ad esempio, il ben noto capo supremo di Forza Italia, rispondente al nome di Silvio Berlusconi, rilasciando artificiose dichiarazioni e dando un colpo di spugna ad un certo controverso suo passato, s’è fatto prendere la mano dalla estrosa voglia di partecipare in prima persona alla corsa al Quirinale, accarezzando la speranza di porvi piede in pompa magna?Vorrebbe forse immortalare il suo nome aggiungendolo e accomunandolo a quello dei Papi, dei Re, dei Presidenti che già, in ombra o in luce, ne sono stati inquilini?

In considerazione del fatto che egli, a fronte della imponente potenzialità economica personale e di “gruppo”- in vario modo acquisita dagli albori degli anni ’60 ad oggi – possiede in Roma la lussuosa e ben nota “Villa Grande” sull’Appia Antica (a parte le principesche dimore sparse un po’ dappertutto e principalmente la sontuosa “reggia” di Arcore, acquisita, si dice, con sistemi tutt’altro che trasparenti), si potrebbe dedurre che la vera motivazione della sua autocandidatura non sembra essere quella di procurarsi uno splendido alloggio romano, acquisendo il diritto ad un settennale soggiorno al “Colle”.

Qualche maldicente di turno, in forza dell’aduso e consolidato principio del “COMPRO TUTTO”, ha peraltro insinuato (ironicamente s’intende) che, chissà, gli sia balenata l’illusoria idea di acquistare anche il “Palazzo Quirinale”.

A parte gli scherzi, come mai un sì attempato “leader”, peraltro reduce da reiterati accertamenti clinici, ha ritenuto confacente, pur alla luce dei suoi trascorsi, scendere in lizza? È stato lui ad avere tale felice idea o sono stati i suoi “devoti” proconsoli e centurioni (più o meno deficitari di intrinseche qualità) ad indurlo a perseguire una tale invereconda ambizione?

Che poi sul tappeto verde della roulette “Quirinale” abbia voluto porre una azzardata “puntata” di sapore revanscista, è tutta un’altra ipotesi. Sta di fatto che il suo diretto intervento nella partita sembra essere, a detta di parecchi intenditori, inopportuno e rischioso. Tale critica veduta non è tuttavia generalmente condivisa nell’ambito della destrorsa area di chi in prima o in seconda battuta partecipa al gioco (ivi compresi i “giocatori” più o meno occasionali), pur se appare pienamente in linea con le tornate a seguire, aventi come posta le ormai prossime elezioni politiche, anticipate o in scadenza al 2023. Una fitta coltre di ipotesi, di perplessità, di ansiose attese, copre la scena politica.

Mi spiego meglio. Ove Berlusconi vincesse la volata finale della corsa al Quirinale, con tutta probabilità l’essenziale governo Draghi del momento giungerebbe ad una prematura fine, stante che la “sinistra” e il movimento “5 stelle”, in conseguenza di una frattura irreparabile con le componenti di centrodestra della maggioranza, ritirerebbero la loro partecipazione alla maggioranza che in atto lo puntella. Da tale fatto scaturirebbe un probabile scioglimento anticipato delle Camere, in uno ad una insidiosissima crisi di governo e ad una cruenta campagna elettorale. Rischiosissimo scenario che potrebbe compromettere il tanto strombazzato rilancio produttivo legato al Pnrr, “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, legato a filo doppio alla determinante attuazione delle “riforme” e al raggiungimento dei traguardi temporali concordati con l’Europa.

Analogo rischio è potenzialmente prevedibile anche nel caso di una “sconfitta” del candidato Berlusconi, in conseguenza dell’eventuale insediamento di Draghi al Quirinale o di un altro “personaggio di spicco” (anche femminile), quale contromossa da parte avversa o come “piano B” dello stesso centrodestra. Succederebbe che “Forza Italia”, come già annunciato, uscirebbe dal Governo, determinando un’inevitabile “crisi al buio” e condizionando fortemente la dichiarata disponibilità della Lega di Salvini a rimanere in sella in un immaginifico nuovo governo emergenziale, magari alla faccia della decantata “compattezza” della coalizione di cui ufficialmente fa parte.

Ambedue i casi, ovviamente, comprometterebbero la “stabilità istituzionale” che in questo momento è estremamente necessaria per venire fuori dalla pandemia da covid 19 e dalla crisi economica, produttiva e strutturale che in atto attanaglia la Nazione. Sembra che gran parte degli esponenti di spicco dell’attuale indefinibile scenario politico non si rendano responsabilmente conto che un eventuale poco accorto mutamento della già fragile situazione attuale potrebbe avviare la nazione verso un pericoloso precipizio.

E, infine, non appare fuor di luogo esternare alcune altre riflessioni.

Se la coalizione di destra, in base alle sue argomentazioni, chiede e pretende che il nuovo Presidente della Repubblica debba essere un “personaggio” che non abbia credenziali di sinistra (un integerrimo “patriota”, dice la Meloni), dotato di “provata capacità e autorevolezza”, atto a ricoprire l’alto incarico, come mai la “indicazione” riguarda in esclusiva Berlusconi e non una “rosa di nomi”? Come mai solo a lui vengono attribuiti, meritatamente o meno, i citati requisiti? È forse proibito avanzare “alternative” o diviene difficile esprimere diverse “segnalazioni” per mancanza di altri eventuali idonei soggetti in odore di destra?

C’è da chiedersi, altresì, in base a quale convinzione (o a quale “fine”) i circa 450 “grandi elettori” di centrodestra seguitano a dichiarare, tramite i loro rappresentanti di partito, di essere compatti, almeno in teoria, nel sostenere che solo Berlusconi possa essere “la figura adatta per ascendere al Colle”, accantonando di fatto i notori controversi avvenimenti che in passato lo hanno riguardato molto da vicino.

Prevale, in ogni caso, l’anomalo e indecoroso sistema che tende a fare sì che la nomina della più alta carica dello Stato sia frutto dei giochi e dei giochetti, talvolta poco trasparenti e accettabili, dei capoccia dei partiti, facendola divenire una pura e semplice indicazione di “parte”. Alla stregua di un arbitro di calcio che, impropriamente, viene scelto dai giocatori in campo. Sembra assurdo che senatori e deputati ubbidiscano, di massima e quasi ciecamente, ai preventivi e perentori ordini ricevuti dai vertici dei rispettivi partiti di riferimento.

Il Capo dello Stato, viceversa, dovrebbe essere l’espressione, solidale e condivisa, dei cittadini che costituzionalmente è chiamato a rappresentare. Ciò in quanto assume la responsabilità di tutelarne diritti e doveri indipendentemente dall’eventuale loro collocazione politica di destra, di centro o di sinistra e senza preferenze di residenza a nord, a sud o nelle emarginate Isole.