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Banche, l’idea di una sanatoria per chi non ha accesso al credito

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MILANO — La crisi da coronavirus rischia di condannare al fallimento, anche per una legge obsoleta, centinaia di migliaia di piccole aziende che campano senza finanza, nella spirale stretta tra incassi e pagamenti. Dietro quelle aziende un numero cospicuo, tra 6 e 8 milioni di italiani, che si ritrovano «non bancabili », ossia che non possono godere di credito bancario, perché sotto i requisiti minimi per essere affidati dagli istituti. Si trovano quindi di fatto esclusi, oltre che dal credito, da tutte le misure che il governo Conte sta cercando di veicolare tramite la rete bancaria, a partire dalle garanzie per 200 miliardi del Decreto Liquidità.
Non li favorisce certo il ritardo del nuovo codice della crisi d’impresa atteso dal 15 agosto 2020, e che invece entrerà in vigore il primo settembre 2021. Resta infatti valida la vecchia legge fallimentare, che dichiara insolvente l’imprenditore se «non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni ».
Proprio per mettere una zeppa a questa situazione, venti giorni fa, è entrata in vigore la norma che blocca le esecuzioni immobiliari: fino a metà ottobre i titolari di prime case non potranno subirne la vendita all’incanto. Ma è un rimedio temporaneo che ha delle controindicazioni. «Il blocco di sei mesi creerà un rallentamento nei subentri delle case aggiudicate, che potrebbe riflettersi sui prezzi d’asta futuri, riducendoli ancor più perché chi compra incorpora tempi più lunghi per impossessarsi del bene – dice Emanuele Barbera presidente di Sarpi Immobiliare che ha svolto una ricerca sulle aste – . Prevedo nuove opportunità per gli investitori speculativi, meno per chi in questi mesi è entrato nel ramo delle aste in cerca di prime o seconde case».
Sei mesi passano in fretta, e tra gli addetti ai lavori, anche bancari, cresce la consapevolezza che serve un approccio nuovo nella contesa tra creditori e debitori. Per parare l’onda, che salendo dalle famiglie al sistema delle imprese potrebbe frangere sulle banche e la classe politica, alcuni dei partiti più attenti alle istanze dei debitori lavorano, in asse con le associazioni di commercianti e debitori – alla Commissione finanze del Senato si confrontano tre proposte di legge targate M5S, Leu, FdI – a una norma dedicata che ricalchi il “giubileo bancario” 2017, permettendo di fatto ai debitori di fare la loro offerta alle banche per “rilevare” il proprio debito. In questo modo, entro l’estate, si potrebbe riportare alla bancabilità categorie di operatori, per fini di credito ma anche delle misure che il governo ha introdotto per tamponare con liquidità e garanzie la crisi economica da Covid 19.
«La crisi probabilmente allungherà i tempi di recupero dei crediti deteriorati, e anche le logiche dovranno cambiare: servirà più disponibilità verso il debitore e si apriranno spazi per la rinegoziazione e il rifinanziamento dei soggetti meritevoli, spero il più possibile lontano dai tribunali, almeno fino al ritorno della normalità», osserva Giovanni Gilli, che dopo una carriera nella prima linea di Intesa Sanpaolo è stato scelto per presiedere Intrum Italy, la compartecipata con il gruppo svedese omonimo che gestisce 45 miliardi di euro di crediti deteriorati nel Paese, di cui 10 ceduti dalla stessa Intesa Sanpaolo. Si racconta, dietro le quinte, che proprio la prima banca italiana nell’autunno 2019 abbia favorito un allentamento delle restrizioni poste nel 2016 ai debitori morosi sui mutui ipotecari, confluite nel decreto fiscale dello scorso ottobre all’articolo 41-bis. Ma la norma ha reso rinegoziabili circa 4 mila mutui, su un totale di oltre 85 mila prime case all’asta.
Serve di più, sia per le posizioni in fieri sia per quelle, e rischiano di essere tantissime, che scaturiranno dalle moratorie per decine di miliardi di euro che quasi tutte le banche attive in Italia hanno concesso ai loro clienti imprese e famiglie. Posizioni congelate, ma che questo inverno andranno classificate: come crediti buoni oppure deteriorati. «Da ormai molti anni la mia azienda, con sei dipendenti, lavora fuori dal circuito bancario essendo stati segnalati per passate disavventure commerciali – racconta Vincenzo Perrotta, tabaccaio storico che presiede un’associazione commercianti a Napoli – . Finora riuscivamo a lavorare, incassare, pagare fornitori dipendenti e tasse lavorando sulla liquidità. Ora che la pandemia ha minimizzato le entrate rischiamo di fallire, senza nessun aiuto, condannati da una legge superata ».
Fonte: La Repubblica

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