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Ballottaggi ed astensioni

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Il ballottaggio conferma l’allarme astensione: il secondo turno infatti fa registrare un calo di partecipazione non solo rispetto al primo turno (dal 52,7% al 43,9%) — e questo è un dato che si verifica regolarmente, stante la minore motivazione a recarsi alle urne degli elettori dei candidati esclusi dal ballottaggio — ma anche nel confronto con i ballottaggi del 2016, basti pensare che a Roma si è registrata una flessione del 9,5% rispetto a cinque anni fa, a Torino il calo è addirittura del 12,3%

di Antonino Gulisano

La Democrazia non è uno spettacolo per il pubblico. Se i cittadini non partecipano, non funziona.

L’attuale momento italiano mostra un nuovo volto della politica nazionale segnato dalla partecipazione della cittadinanza attiva e dall’astensionismo dal voto. Una delle espressioni di questo nuovo corso è la incarnazione della democrazia “sotto tutela” dove vengono meno tutte le rappresentanze intermedie (dalle istituzioni locali, alle associazioni culturali e sociali, ai sindacati rappresentativi di interessi legittimi, dal lavoro alle imprese). In una democrazia partecipativa, con la presenza di corpi intermedi, si applica la categoria dialogativa, che a volte è competitiva, a volte è convergente, in una sintesi della rappresentanza degli interessi legittimi dei cittadini appartenenti ad una stessa comunità, sia essa Statuale sia essa politica. Chi sostiene una contrapposizione radicale fra la “coalizione sociale” la “coalizione riformista” – mi sia consentita solo una battuta – è fuori da ogni elaborazione di analisi della “società aperta” che avanza nel XXI secolo, della nuova tecnologia digitale ed informatica che sta sostituendo la tecnologia metalmeccanica del XIX e XX secolo.

Preoccupa il fatto che ad astenersi nelle grandi città siano soprattutto gli elettori delle periferie, nelle quali molti vivono in condizioni di marginalità economica e sociale.

Il ballottaggio conferma l’allarme astensione: il secondo turno infatti fa registrare un calo di partecipazione non solo rispetto al primo turno (dal 52,7% al 43,9%) — e questo è un dato che si verifica regolarmente, stante la minore motivazione a recarsi alle urne degli elettori dei candidati esclusi dal ballottaggio — ma anche nel confronto con i ballottaggi del 2016, basti pensare che a Roma si è registrata una flessione del 9,5% rispetto a cinque anni fa, a Torino il calo è addirittura del 12,3%.

Tutto giusto, ma i risultati più rilevanti, almeno per quanto riguarda il cambiamento del panorama politico nazionale, restano quelli di Roma e Torino, dove entrambi i candidati di centrosinistra, Roberto Gualtieri e Stefano Lo Russo, hanno stravinto al ballottaggio con percentuali attorno al 60 per cento, pur guidando coalizioni che si erano contrapposte ai Cinquestelle al primo turno.

Gli elettori hanno sempre ragione, forse, ma in questa tornata elettorale amministrativa cinque anni dopo, il risultato a favore del centro-sinistra non potrebbe essere più netto, tanto a livello nazionale quanto a livello cittadino, e non solo a Roma e Torino. Il vento è cambiato di nuovo. Il vertice nazionale del Partito democratico, con in testa il segretario Letta, che nelle sue dichiarazioni afferma di avere stravinto. Ma il PD non ha stravinto né il vento ha mutato direzione. La lunga onda per il centro sinistra allargato, a mio avviso, non dura. Il centro destra ha perso nettamente. Il problema non è dell’alleanza, o almeno non solo, bensì verosimilmente il segno estremista che la competizione tra Lega e Fratelli d’Italia ha impresso a tutta la coalizione. Inoltre, l’esasperazione della protesta no vax e no green pass, l’estremismo populista, hanno preoccupato l’elettorato, il quale ha preferito non andare a votare o votare per coalizioni più tranquillizzanti.

A dare un rilievo di carattere politico nazionale a questo turno di elezioni amministrative, anche se non ha valenza nazionale, sono stati il lavoro del Governo Draghi, il successo delle vaccinazioni e la ripresa economica. Non ultimo, i cittadini sono speranzosi nell’attuazione e nello sviluppo economico previsto dalla grande quantità di risorse che si renderanno disponibili nel dispiegarsi del Piano di Ripresa e Resilienza dell’Italia.

In qualunque città di media grandezza i Cinquestelle abbiano mai governato, alla tornata successiva, dopo averli visti all’opera, i cittadini li hanno sempre rimandati a casa. È ragionevole ritenere che, dopo averli visti al governo del paese, faranno altrettanto: al prossimo giro li ridimensioneranno definitivamente.

Via col vento. Ma quale vento soffierà? L’Italia ha bisogno di stabilità per concretizzare questa ripresa economica e le riforme avviate. Uno scenario probabile è la riconferma, per un secondo mandato, del Presidente Mattarella, invitandolo a fare un ulteriore sacrificio per salvare il Paese; la riconferma del Presidente del Consiglio Draghi per completare il lavoro avviato e dare credibilità e fiducia alla comunità internazionale ed europea. Infine, è indispensabile che prima delle prossime elezioni politiche del 2023 si verifichino due condizioni indispensabili: una legge elettorale proporzionale e la nascita di un nuovo progetto politico in linea con l’attuazione della Costituzione Italiana, parlamentare, antifascista e antitotalitaria.