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Autonomie differenziate collegate al bilancio: un furto di democrazia

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di Loan

La Nota di aggiornamento al Def (Nadef) portata all’approvazione della Camera e del Senato è corredata di un elenco di venti collegati più uno alla manovra di bilancio 2022-2024, che il Governo porterà in Parlamento nelle prossime settimane, che saranno in tutto ventuno.
Il ventunesimo collegato è il tanto discusso disegno di legge dal titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.” il quale era assente dal testo depositato il 29 settembre ma, inserito nottetempo da una “manina”, è improvvisamente comparso la mattina del giorno 30.
Già l’anno scorso il governo Conte due aveva provato ad inserire l’autonomia differenziata fra i collegati alla manovra di bilancio, ma le forti proteste di ampi settori del Parlamento e del Paese fecero sì che il collegato venisse ritirato all’ultimo momento. Adesso il ddl fa il percorso contrario. Perché? Per almeno tre motivi: uno, placare l’irrequietezza della Lega di Salvini (ma soprattutto dei cosiddetti “governatori” del Nord); due, impedire, dato che le legge di bilancio passa ormai sempre con la fiducia, ai parlamentari la possibilità di emendare il testo scaturito dagli accordi fra il governo e le Regioni; tre, per togliere ai cittadini il diritto di ricorrere in futuro al referendum abrogativo, poiché la Costituzione (art. 75, comma 2) non consente il referendum per le leggi tributarie e di bilancio.
Nel merito, questo giornale ha preso posizione più volte: le autonomie differenziate per le regioni ordinarie, così come concepite da Lombardia e Veneto, rappresentano un’assurdità tale da penalizzare tutto il Mezzogiorno e mettere a rischio la coesione nazionale. Un disegno che, mentre nella forma può apparire come l’esercizio di un diritto garantito dalla Carta costituzionale (l’art. 116, comma 3, appunto), nella sostanza si pone al di fuori del dettato costituzionale, sia dal punto di vista dell’aperta violazione dei principi fondamentali, sia da quello della mancata, preventiva risoluzione della fondamentale questione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Inserire un atto politico così importante nella manovra finanziaria è un atto gravissimo da parte del Governo e di tutte le forze di maggioranza (ma sul punto tace anche l’opposizione della Meloni, che pure, per estrazione culturale e visione politica, dovrebbe tenere molto all’unità della nazione), un vero e proprio furto di democrazia a danno del Parlamento e dei cittadini italiani.
L’idea leghista di Paese è coerente con se stessa, l’abisso che separa Nord e Sud è stato acuito e, in un certo modo, istituzionalizzato dalla nefasta legge Calderoli sul cosiddetto “federalismo fiscale”, in base alla quale, a parità di abitanti, a Reggio Emilia ci sono 66 asili nido a Reggio Calabria soltanto tre. Le scelte del ministro dello Sviluppo economico Giorgetti (leghista “moderato”) sono inquivoche: tecnologia, chimica, manifatturiero vengono inesorabilmente dirottati al Nord. Incomprensibile, invece, appare l’atteggiamento supino degli altri partiti, a partire dal Movimento cinquestelle, che ha (o aveva) soprattutto nel Sud la sua forza elettorale.
L’occasione “straordinaria e irripetibile” costituita dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) non sta rispettando le linee guida di Bruxelles che indicano nel Sud il destinatario della maggior parte delle risorse.
Inutile girarci attorno, l’autonomia differenziata nasconde una forma di secessione, la secessione dei più ricchi ai danni dei territori più disagiati, con danno irreversibile per il Paese intero, perché incrina il principio costituzionale di unità nazionale.
Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna, con l’autonomia differenziata, acquisirebbero competenza esclusiva su 23 materie fondamntali, a partire da sanità, prestazioni sociali, istruzione e formazione, lavoro e tutela dell’ambiente, svuotando, di fatto, le attribuzioni dello Stato nella programmazione e gestione delle politiche pubbliche in ambiti strategici per il Paese.
Con buona pace del principio perequativo (costituzionale), la concezione dell’autonomia differenziata a trazione leghista e nordista (ma anche del PD, saldamente alla guida dell’Emilia Romagna) è, sostanzialmente, quella di una riallocazione al Nord di una parte molto più consistente delle risorse fiscali che, non fosse altro che per la legge fisica dei vasi comunicanti, andrebbe a scapito del Sud, senza se e senza ma. Quindi: maggiore autonomia e maggiori risorse ad alcune regioni, le altre lasciate indietro. In queste condizioni, è ovvio che la corsa, già iniziata, delle altre regioni a richiedere di attivare un analogo percorso di autonomia differenziata, è destinato ad ampliarsi ed esasperarsi, in una spirale competitiva, di rottura della solidarietà nazionale, laddove invece servirebbe una politica rivolta a garantire, attraverso risorse adeguate a tutte le Regioni, la fruizione di servizi pubblici essenziali.
Gli italiani hanno potuto rendersi conto, nel corso dei lunghi mesi di emergenza Covid 19, di quali e quanti siano i limiti e le criticità della competenza regionale sulla sanità. Tutti i meridionali sentono sulla propria pelle le conseguenze dell’applicazione del criterio della spesa storica nella distribuzione delle risorse fiscali secondo i fabbisogni standard.
Dove ci porterà quest’eclissi della democrazia? La vera partita delle autonomie differenziate, dalla sanità alla scuola, è quella della privatizzazione generalizzata dei servizi e del welfare