Type to search

ABBA, ancora disimpegno pop o si cambia?

Share

AGI – Il ritorno appena annunciato degli ABBA, quasi 40 anni dopo l’ultima esibizione al The Late, Late Breakfast Show, avvenuta l’11 dicembre 1982, risulta come una cometa nel cielo stellato del pop mondiale, di quelle che illuminano la Terra, che vengono da un tempo che non c’è più ma che ha fatto parte della nostra storia e che, forse, solo gli ABBA hanno raccontato.

Parliamo di un decennio scarso, partito dagli anni ’70, ma non quelli della disobbedienza, del rock utilizzato come linguaggio per cambiare un mondo che già si capiva andare allo scatafascio, e finito a metà degli anni ’80, prima che l’elettronica in termini di musica, proponesse fugaci soluzioni innovative messe in cantina, fortunatamente, quasi subito prima che quell’insano ottimismo rendesse tutto sbrilluccicante di paillettes che con i loro riflessi andavano a distrarci tutti dalla certificazione del suddetto scatafascio.

Gli ABBA, forse proprio perché svedesi, provenienti da un mondo che è sempre stato un po’ altro, un po’ ai margini, un mondo che non sentiva l’esigenza della rivoluzione, alla fine si sono ritrovati da soli a disegnare in musica i contorni di una società che nessuno dei loro colleghi, compresi soprattutto i più grandi e impegnati, sono stati capaci di raccontare con quell’entusiasmo così dannatamente pop.

La fortuna di Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frid forse fu proprio questa, la non necessità di rompere schemi, la mancanza di sotterfugi artistici di matrice politica, nessuna proposta sessuale alternativa, anzi, al contrario, la dimostrazione pratica della possibilità di far convivere successo planetario e legame matrimoniale (ancor prima che diventassero ABBA, Björn era già sposato con Agnetha e Benny con Frida, anche se poi entrambe le storie finiranno). Anche il lasso di tempo che copre dall’incontro tra Björn e Benny alla formazione e successo degli ABBA, appare come una persecutoria e affannosa ricerca del successo popolare, come una ricetta che faticava a venir bene, e lo chef in questo caso si chiamava Stig Anderson, proprietario della Polar Music, etichetta che in pratica visse a pane e ABBA e che poi venne acquisita dalla Universal. Anderson non aveva semplicemente notato il talento di quei due ragazzi, ma aveva avuto l’intuizione che fece la differenza nella storia di quei due ragazzi, delle loro compagne e a cascata di tutto il movimento musicale svedese da lì ai giorni d’oggi, ovvero la necessità di conquistare i mercati stranieri.

Non è un caso dunque che dopo sperimentazioni varie e durate diversi anni in cui gli ABBA, che ancora non si facevano nemmeno chiamare ABBA, falliscono miseramente, la svolta avviene grazie all’Eurovision Song Contest del 1974, che stravincono grazie a “Waterloo”, ancora oggi uno dei loro più importanti successi. Non un evento rock, anzi, il più tradizionale e regolato dei festival musicali, dove si accede superando selezioni su selezioni, e non con un brano schitarrato che inneggiava alla libertà sessuale, ma con una canzone che, nonostante il ritmo ballabile, parlava di un amore finito, appunto, in una “Waterloo”, una sconfitta.

Non fu nemmeno un caso che la band dovette aspettare “S.O.S.” per conoscere nuovamente il successo internazionale e che tutto quello che c’è nel mezzo fu solo una serie di laceranti sconfitte che avevano praticamente certificato gli ABBA come fenomeno musicale temporaneo. E fu nuovamente Stig Anderson a dare il consiglio giusto: serviva ricalcare “Waterloo” e così fecero in “S.O.S.”: e fu di nuovo successo.

E allora si prosegue su questa strada, per Anderson non c’era altra scelta, la ricetta era completata. “Fernando” fece scoppiare in ogni angolo del globo l’ABBAmania, culture che non avevano niente a che fare e che stavano vivendo periodi storici decisamente diversi e movimentati, dall’Australia agli Stati Uniti, fino al Sudafrica e alla stessa Italia, si riuniscono al suono delle canzoni della band svedese.

Ma attenzione, questa ricerca del sound pop che funziona, se da un lato può sembrare che svuoti in qualche modo di contenuti la musica degli ABBA, dall’altro li pone in prima linea per quel che riguarda una vera e propria avanguardia nella ricerca musicale in studio; infatti dal vivo i quattro svedesi hanno sempre avuto qualche evidente difficoltà, ma in studio le testimonianze che riceviamo oggi sono di veri e propri stakanovisti del suono. Un suono che, una volta sdoganato sul mercato internazionale, percorreva autostrade fino alle vette delle classifiche: con “Dancing Queen”, presentata al Teatro dell’Opera di Stoccolma alla presenza del re di Svezia, la sera del 18 giugno 1976 alla vigilia del suo matrimonio con Silvia Sommerlath a cui era dedicata, si presero perfino quella irraggiungibile degli Stati Uniti, una vetta che sa di consacrazione ufficiale, qualcosa che resta per sempre.

Infatti siamo all’apice, gli ABBA riescono a fare ciò che mai nessun gruppo non inglese era riuscito e riuscirà a fare nella storia: rappresentare il sound europeo, scippandolo dalle mani dei britannici. Il loro successo in quegli anni è talmente clamoroso che il regista Lasse Hallström, due volte candidato al Premio Oscar per la miglior regia, dietro la macchina da presa di cult come “Buon compleanno Mr. Grape”, “Le regole della casa del sidro” e “Chocolat”, decise di seguirli nel tour australiano, dove ad ogni tappa venivano accolti con lo stesso clamore che attribuiremmo nel nostro immaginario ai Beatles, e ne fece un docu-film interessantissimo dal titolo “ABBA: The Movie”, tra l’altro suo lavoro d’esordio assoluto.

Grande merito dei quattro svedesi a quel punto fu il non accontentarsi, capire che la ricetta che li aveva fatti arrivare fino a lì, poteva anche essere messa da parte, forti di avere dalla propria una mole imponente di pubblico, così il sound varia un po’ con “ABBA: The Album”, che contiene altri due classici del loro repertorio come “The Name of the Game” e “Take a Chance on Me”.

La carriera degli ABBA però non può non confrontarsi con la situazione musicale e sociale che li circonda e diventa piuttosto liquida, come acqua di un fiume che scorre dove può. Se gli inglesi in piena rivoluzione punk cominciano a considerare già smielato e datato il sound della band svedese, loro finiscono per defluire in maniera naturale nel mondo della disco, che aveva ancora un pubblico affezionato, ed è questa sostanzialmente la storia del successo di brani come “Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)”.

Ma non c’è da rimanere ingannati, nel frattempo gli ABBA girano letteralmente il mondo con date sold out ovunque, ma è evidente che qualcosa si è rotto nel meccanismo; Björn e Agnetha hanno divorziato, Benny e Anni-Frid divorzieranno da lì a poco, la rottura con il sound che li ha resi famosi diventa un crocevia di intenti musicali, tra le donne che pensano a carriere soliste e gli uomini che covano, a ben ragione ci dirà la storia, il sogno di un musical.

Così all’indomani dell’uscita di “Super Trouper”, che comunque registra ottime vendite, la storia è ormai finita. Viene certificata in realtà dopo l’uscita di “The Visitors”, un album in cui, appunto, quelle atmosfere spensierate, si, smielate e datate, vengono messe da parte per un impegno sociale che nessuno si aspetta e nessuno richiede agli ABBA.

La band non ha mai annunciato uno scioglimento, anzi, negli anni più volte sono apparsi pubblicamente insieme, parrebbe sinceramente in armonia, pur rifiutando sempre una ripresa del lavoro insieme sotto quel marchio ormai storico. Perlomeno fino al 2018, quando i quattro si riuniscono a sorpresa per incidere “I Still Have Faith in You”, alla quale si aggiunge “Don’t Shut Me Down”, antipasto di “Voyage” un intero nuovo album  la cui uscita è prevista il prossimo 5 novembre.

Un album dai risvolti oscuri, dal quale non si sa cosa aspettarci, 40 anni sono tanti, la volontà sarà quella di auto omaggiare il proprio periodo d’oro, di costruire uno spettacolo amarcord, un viaggio, appunto, in quell’universo a parte, spensierato, così autenticamente svedese; oppure magari approfittare della propria maturità per lanciare un messaggio più cantautorale, fare 40 anni dopo ciò che non è riuscito 40 anni prima?

Anche il grande live del 27 maggio 2022 al Queen Elizabeth Olympic Park di Londra, a quanto pare ribattezzato per l’occasione ABBA Arena, non appare del tutto chiaro; sappiamo che sarà aperto a 3000 fortunati che però assisteranno ad uno show in cui Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frid appariranno solo come ologrammi.

In realtà questa tecnologia è stata messa in piedi già da qualche anno con fortune alterne e sempre vagamente sospette, ma, chissà, gli ABBA potrebbero nuovamente stupire il mondo intero, dimostrandosi ancora una volta avanti, non solo raccontando qualcosa di diverso in un universo musicale che continua nonostante gli anni ad avere la tendenza all’appiattimento, ma farlo anche in una modalità diversa.

Per saperlo bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo, ma i biglietti saranno in vendita già nei prossimi giorni e, siamo sicuri, andranno a ruba. In fondo gli ABBA nella storia della musica rappresentano la spensieratezza del pop, orecchiabile, non disturbante, ma non per questo meno ricercato e senz’altro quasi intellettuale.

Source: agi


Tags:

You Might also Like