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A Ragusa un ex fabbrica di bitume diventa un museo

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AGI – “Voglio tornare”, una scritta su un armadietto degli spogliatoi di quella fabbrica che per decenni ha impiegato migliaia di operai e che ha fornito materiale per la bitumazione delle strade di tutta Europa. E’ museo la fabbrica della famiglia Ancione, a Ragusa, città in cui il boom del petrolio ha seguito nel tempo quella “pietra pece” con la quale il barocco del Val di Noto – le case nobiliari, le chiese sono ricamate e intessute – ha trovato nuova vita dopo il terremoto del 1693.

E allora si innesta “Bitume – industrial platform of arts” un progetto che ha lo scopo di consegnare alle nuove generazioni, un narrato di prosperità e di fatica, di storia dei luoghi e di chi li ha popolati, in una riflessione a tratti cruda e a tratti poetica. Una storia controversa in cui l’arte figurativa e non solo, in tutte le sue espressioni, fornisce spunto di riflessione. E allora, negli spazi della vecchia fabbrica Ancione, dove Manfredi Ancione uno degli eredi, racconta gli spazi, dove i forni con il bitume che colava nei carrelli, hanno l’espressione irriverente di lingue impertinenti, c’è spazio per la ricerca di simboli, per un passato che non vuole essere dimenticato.

 “La natura di questo luogo dove per anni si è lavorato e che fino ad un certo punto ha seguito le sorti economiche e politiche del paese – spiega Vincenzo Cascone, curatore dell’iniziativa – è luogo dove ci è sembrato possibile, assieme alla terza generazione della famiglia Ancione, avviare una riflessione sulla archeologia industriale, sull’origine stessa delle nostre città – dal momento che con il materiale lavorato da contrada Tabuna si bitumavano tutte le strade -, attraverso il massimo della contemporaneità cioè quel circuito dell’arte dei muralisti che contribuisce a rileggere la nostra società post industriale”.

L’arte anche in questo caso come spunto di rilettura della realtà, in un percorso di significato costante. Da Tellas che rappresenta una natura autoctona che non aspetta a riprendere il possesso dei suoi luoghi, a Case Ma’Claim che incorniciando la sua opera ne “io fu già quel che voi siete e quel ch’io son voi ancora sarete” rappresenta la carcassa di un cavallo accostata a resti di moto e autovetture di un passato non troppo lontano: tutto finisce, dalla locomozione antica a quella moderna.

Il bitume a sette anni dalla chiusura dello stabilimento, è ancora lì, sul pavimento dei capannoni, dove appunto, si arricchiva la polvere rendendola bituminosa e adatta a realizzare le mattonelle per pavimentare le strade, o si forniva il bitume per “asfaltare” anche se non è il termine corretto, le strade europee, una intuizione colta a Ragusa prima dai francesi, poi dagli inglesi e infine sposata e rilanciata dagli Ancione.

Ed e’ Gomez che nel suo immaginario fatto anche di iconografia cristiana, conferisce sacralità a un luogo di certamente di produzione, ma anche di sofferenza, di sudore, lavoro e sacrificio, perché è “una parte della storia di Ragusa che è giusto recuperare e consegnare ai giovani – ha detto il sindaco del capoluogo ibleo, Giuseppe Cassì – una storia di povertà e fatica, di ‘picciaruoli’ che si spaccavano la schiena”. E allora dalle mani di Gomez nasce dal bitume una sacerdotessa sulla quale campeggiano tre recipienti di raccolta come le tre navate di una chiesa. O il materiale nero che esce dal costato di un Cristo abbracciato ad un silos che campeggia affacciandosi ad una delle aree di passaggio da un capannone per la lavorazione e il trasporto del materiale all’altro. 

 La storia delle persone è rappresentata da Carmelo Bentivoglio, o meglio dal suo ritratto, realizzato da Guido Van Helten, una scelta precisa, ha detto ‘no’ al ritratto del capostipite Ancione, “not the boss, only the workers”. “Ho lavorato qui per 38 anni” ha detto Bentivoglio che in fabbrica era conosciuto come Meno Leffa (falegname, perche’ ‘leffa’ sta per scheggia) che gira con malinconia attraverso capannoni e strade interne dove tutto sembra sospeso, dove rivede la vita del lavoro, i piccoli screzi, “c’era chi non voleva sporcarsi le mani, ma poi si convinceva a farlo”, la vita che scorreva, come il bitume.

O quella scarpa di un operaio, trovata negli spogliatoi e che campeggia, riprodotta in pietra da Giammarco Antoci di SNK Lab – su un armadietto anch’esso riprodotto con pietra asfaltica a ricordare quello che era. Fino alla morte. Sulla facciata di uno degli edifici che accompagna all’uscita del percorso visitabile su prenotazione, la riproduzione di una statua, grazie alla mano di Ligama, che si trova al cimitero di Ragusa superiore, una sepoltura comune in un area di 130 metri quadrati dove la “cassa mutua” della Limmer – società che in quella stessa zona estraeva il bitume – concedeva la sepoltura a quegli operai che non potevano permettersela. C’è molto altro nella visita del sito Ancione, dove nel “Polemos” di Bosoletti, positivo e negativo giocano con la tecnologia, in un doppio di se’ che lascia senza fiato.

Trenta le opere rappresentate dagli artisti 2501, Ampparito, Luca Barcellona, Bosoletti, Ciredz, Demetrio Di Grado, Franco Fasoli, Alex Fakso, Gomez, Greg Jager, Alexey Luka, Ligama, Case Ma’Claim, Martina Merlini, M-City, Moneyless, Ban Pesk, Rabit, Giovanni Robustelli, SatOne, Guido van Helten, Sebas Velasco, Simek, SNK-LAB, Sten e eLex, Dimitris Taxis, Tellas in un progetto che tra gli altri beneficia del sostegno dell’Ars, assemblea regionale siciliana e del Comune di Ragusa. L’apertura al pubblico è per i fine settimana venerdì, sabato e domenica, con turni alle ore 09:00 – 10:30 – 12:00 e 15:00 ed è necessaria la prenotazione.

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Fonte: cultura agi


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