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– 8 settembre 1943 – “Resa senza condizioni, spacciata per Armistizio”.

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Avvenimenti che decretarono la fine della Monarchia e l’avvento della attuale zoppa democrazia repubblicana la quale, malgrado basata su una Carta Costituzionale degna del massimo rispetto, stenta tuttora ad esprimere personalità politiche capaci di elevarsi al di sopra delle parti, capaci di manifestare a livello morale e tecnico la necessaria idoneità a pilotare la complessa macchina dello Stato democratico nel superiore interesse della collettività e non in funzione dei settari centri del potere partitico e speculativo spadroneggianti in ogni angolo della Penisola.

 

di Augusto Lucchese

 

 

“L’otto settembre è una data fatale per il nostro Paese, fatale come il 25 luglio 1943, come il 10 giugno1940. Sono, questi, i punti fermi della nostra storia recente: ma non isolati, poiché non è difficile tessere su di essi una trama fine, dalle linee sicure, inconfondibili, la trama della disfatta. Trama, linee sicure, che servono come da filo conduttore per chi voglia rendersi conto dell’attuale crisi “.

Così scrive Carlo Bozzi a pag. 23 nel suo articolato testo “Oltre la disfatta” (Edizioni Delfino – Milano – 1952), introducendo una dotta disamina dei rivolgimenti istituzionali che seguirono agli oscuri avvenimenti di quel periodo.

Avvenimenti che decretarono la fine della Monarchia e l’avvento della attuale zoppa democrazia repubblicana la quale, malgrado basata su una Carta Costituzionale degna del massimo rispetto, stenta tuttora ad esprimere personalità politiche capaci di elevarsi al di sopra delle parti, capaci di manifestare a livello morale e tecnico la necessaria idoneità a pilotare la complessa macchina dello Stato democratico nel superiore interesse della collettività e non in funzione dei settari centri del potere partitico e speculativo spadroneggianti in ogni angolo della Penisola.

E, traendo spunto proprio dagli avvenimenti in trattazione, non è fuor di luogo far rilevare che non si è persa l’abitudine, prettamente italiana, di prediligere le parole ai fatti.

Ancora oggi, gli ampollosi discorsi dei politici di professione, le ciance dei capi partito, i sermoni profusi in occasione di varie ricorrenze (talvolta elevate agli altari delle celebrazioni nazionali per intercessione di quella parte politica che ne ha tratto vantaggio ai fini della propria legittimazione), quasi sempre sono fondati su demagogici “luoghi comuni” che non rispecchiano per intero la verità storica di taluni avvenimenti oltre a  non tenere conto dell’esistenza di un’altra faccia della medaglia.

Nel corso dei 45 giorni  che intercorrono  dal 25 luglio 1943 (data della estromissione di Mussolini dal Governo) all’8  settembre,  ne Badoglio “immeritatamente nominato a succedergli”, né i suoi raffazzonati ministri, ne i mediocri uomini di comando dello Stato Maggiore delle FF.AA, seppero porre la benché minima attenzione sulla vitale occorrenza del momento che indubbiamente sarebbe stata quella di rafforzare le frontiere (preparandosi, eventualmente, anche “a chiuderle”), per limitare il flusso di uomini e armamenti della “Wehrmacht” tedesca.  Sarebbe occorso, altresì, predisporre a tempo debito adeguati piani operativi in vista del probabile sganciamento dell’Italia dall’Asse.

I tedeschi, di contro, nello stesso periodo riuscirono ad accrescere notevolmente la potenzialità del proprio dispositivo militare in Italia facendo affluire, sotto il naso delle varie gerarchie civili e militari italiane e talvolta con la loro stessa collaborazione, parecchie divisioni, molte delle quali corazzate  (presto diventeranno 18), rispetto alle due o tre inizialmente presenti quali la “3° Granatieri”, dislocata attorno a Roma, e i resti della “Goring” e della “29° meccanizzata” provenienti dalla Sicilia, già occupata dagli Alleati.

Alcune divisioni giunsero addirittura in treno, mediante convogli che attraversarono il Brennero, altre via mare (Genova, Trieste, Napoli) ed altre ancora in aereo, dalla Francia.

 

Gli avvenimenti che seguirono alla dichiarazione ufficiale dell’armistizio (19,45 dell’8 settembre 1943) stravolsero ogni razionale aspettativa e fu il caos.

Oggi, alla luce dei fatti, sembra possibile affermare che forse avremmo patito meno conseguenze e meno danni se quell’Armistizio non fosse stato chiesto, piuttosto che subirlo passivamente e poco dignitosamente.

Chiamarlo “armistizio”, del resto, appare quanto meno improprio poiché, in effetti, non si trattò di una “tregua” delle operazioni militari, bensì di una vera e propria “resa senza condizioni” imposta dagli Alleati con l’arroganza dei vincitori e col ricatto di ritorsioni e di bombardamenti sempre più pesanti sulle città e sulla popolazione civile. 

A prescindere dalla assodata incapacità di chi condusse i giochi, non si può non esprimere un negativo giudizio sulle frettolose e insicure trattative che portarono alla firma (alle ore 17,15 del 3 settembre 1943) del famoso “armistizio corto”, tra l’inesperto delegato italiano, Gen. le Giuseppe Castellano, e il furbo e iniquo “procuratore” di Eisenhower, Gen. le Bedell Smith.  Pressappochismo, faciloneria e spregio della realtà, tuttavia, non rappresentarono solo un demerito italiano.

In quella delicata e cruciale fase evolutiva del conflitto, infatti, anche gli Alleati non dimostrarono di avere una chiara e concreta visione della situazione che stava maturando.

È solo un’ipotesi il fatto che è stata l’infelice frase, “la guerra continua” (con parecchia dabbenaggine inserita da Badoglio, o da chi per lui, nel messaggio del 25 luglio rivolto alla Nazione dopo il menzognero asserto concernente “le dimissioni di S.E.  il Cav. Benito Mussolini”) ad averli resi eccessivamente diffidenti. Molto più verosimilmente coloro i quali avrebbero dovuto valutare responsabilmente ciò che stava accadendo in Italia, erano presuntuosamente convinti che sarebbe bastata una firma su un foglio di carta per raggiungere il precipuo fine di ottenere la resa dell’Italia onde farne, più che altro, un argomento di subdola propaganda.

Come e perché si fosse ottenuto tale solo apparente risultato e con quali disastrose conseguenze, poco importava ai “capoccia” anglo russo americani cui minimamente interessavano le sofferenze, i pericoli, le privazioni, che seguitavano ad imperversare sulla gente italiana, particolarmente fra donne, bambini e vecchi ormai allo sbando.

Portarono avanti le “trattative” (se eufemisticamente con tale termine vogliamo chiamarle) con durezza e spregiudicato cinismo, senza rendersi conto che anche loro, per la fretta di chiudere formalmente (pur se in malo modo e, in ogni caso, non sul piano militare) la partita con l’Italia, avrebbero subito ben presto pesanti conseguenze.

Il capo dei capi delle forze Alleate in Mediterraneo, Eisenhower, in particolare, non fu all’altezza di valutare (come definire una tale “défaillance”?)  il grave ed incombente pericolo di una pressoché totale occupazione militare tedesca del territorio italiano, oltre che delle zone strategiche di cui gli italiani avevano il quasi assoluto controllo (parte dei Balcani e della Grecia, della Francia mediterranea dalle Alpi alla Provenza, sino a Tolone, della Corsica, delle Isole dell’Egeo). Con arrogante caparbietà, più per fini politici che militari, come detto, assunse una posizione intransigente (basterebbe leggere alcuni fonogrammi indirizzati a Badoglio, per rendersene conto) relativamente alle modalità ed alla scadenza fissate per l’annuncio dell’armistizio.

Agendo in tal maniera impedì che la guerra in Italia (e forse anche in Europa) si accorciasse di circa un anno e mezzo, mentre, con noncuranza, mandò allo sbaraglio milioni di uomini e condannò a morte diverse centinaia di migliaia di militari e di incolpevoli civili.

Gli Alleati, in definitiva, non seppero imporre all’inetto governo badogliano una chiara linea d’azione che prevedesse, quale condizione basilare per la prosecuzione delle trattative, l’approntamento dei piani occorrenti a prendere possesso, al momento dell’armistizio, dei citati vasti territori presidiati dalle FF.AA. italiane.

Nell’agosto del 1943 ciò era ancora strategicamente e tecnicamente possibile.

Tale circostanza è confermata da quanto Hitler dice a Mussolini in occasione del loro incontro dopo la liberazione di quest’ultimo da Campo Imperatore: – “…il tradimento italiano, se gli Alleati avessero saputo sfruttarlo, avrebbe potuto provocare il subitaneo crollo della Germania …”.

Parole pesanti che, ove i “super strateghi” anglo americani avessero avuto l’intuizione oltre che il buon senso di puntare ad un tale risultato, dimostrano come non solo sarebbe stato possibile scacciare rapidamente i tedeschi dalla penisola italiana, ma, molto probabilmente non sarebbe stato necessario, successivamente, l’immane sforzo militare per invadere l’Europa attraverso la Normandia.

Avevano a portata di mano la Francia meridionale, quasi sguarnita di forze tedesche, ma non seppero approfittarne.

Gli Alleati, tuttavia, hanno vinto la guerra e i loro errori, le loro colpe, i loro “crimini”, non hanno formato oggetto di alcuna inchiesta, non sono stati mai sottoposti a giudizio e non hanno dato luogo ad un’altra Norimberga!

L’incredibile e strana vicenda delle trattative, così come condotte dall’inetto “staff” badogliano e dai superficiali plenipotenziari interalleati, e così come poco assennatamente ratificata da Eisenhower, tutto apportò (sofferenze, morte, eccidi, disastri) fuorché l’atteso “rovesciamento di fronte” dell’Italia, militarmente parlando.

Il cosiddetto Armistizio di Cassibile, come risaputo, prese il nome da una località a poca distanza da Siracusa, appena fuori Avola, passata alla storia quale simbolo della disfatta italiana.  Non corrisponde al vero, per inciso, che la stesura e la firma avvennero nel “casale rustico” di cui alla lapide successivamente apposta. Tutto si svolse all’ombra di una modestissima tenda da campo e quanto lì avvenne innescò ben presto un tornado di negative ripercussioni politiche e militari.

Dall’una e dall’altra parte, nessuno curò, con razionalità e a tempo debito, la pianificazione dei necessari passaggi e adempimenti. Il Re V. E. III non fece alcunché per spronare il Governo in carica ad un maggiore senso di responsabilità.

Alla fine, preso atto dell’annullamento dell’aviosbarco alleato attorno a Roma (a seguito della codarda rinuncia di Badoglio e dei suoi collaboratori, Gen.li Roatta e Carboni, primi fra tutti) e una volta abbandonati i piani per  una  grossa  operazione anfibia nell’alto Lazio,  la guerra si impantanò nei difficili ed incerti sbarchi di Salerno ed Anzio, nelle aspre battaglie del Volturno e del Garigliano, nelle alterne vicende dei violenti scontri di Battipaglia, Cisterna  e Aprilia (contrattacchi tedeschi), nella massacrante lotta sulla “Linea  Gustav”  (della oscura, inqualificabile e brutta vicenda di Cassino, occorrerebbe una trattazione a parte !) e  poi  sulla  “Linea Gotica”.

È ampiamente dimostrato che i madornali errori politici, strategici e tattici degli Alleati fecero dell’Italia, in ultima analisi, un   sanguinoso   campo di   battaglia, allungarono   di

oltre un anno e mezzo il corso dei cruenti combattimenti (lo “scandaloso ristagno delle operazioni”, come Churchill definì quel triste periodo) e tennero bloccate ingenti forze anglo – americane, francesi e polacche che avrebbero potuto essere efficacemente impiegate altrove.

Sarebbe superfluo approfondire ulteriormente le cause di tali errori. Basta solo ricordare che, a detta di parecchi valenti storiografi, essi furono talmente grossolani che non vale la pena di riesumarli, analizzarli e collegarli, anche perché si correrebbe il rischio di dovere rivisitare e reimpostare un intero periodo di storia.

È senz’altro utile, invece, tornare a ribadire (non come discorso ripetitivo o fine a sé stesso, bensì come esternazione di un profondo senso di indignazione verso gli ingiustificabili responsabili) che il protrarsi della guerra in Italia causò, sia agli Alleati che ai Tedeschi, ingenti perdite in uomini, mezzi e materiali.  Senza dimenticare, inoltre, quanti morti e sofferenze si sarebbero potuti evitare in danno della già stremata popolazione civile.

È chiaro che, da ambedue le parti e principalmente in sede conclusiva delle trattative per l’armistizio (o resa, che dir si voglia!), sarebbe stato doveroso evitare tale tragico scenario.

Badoglio e la sua incompetente ciurma, invece, con incredibile sciatteria, con assoluta mancanza di responsabilità e con palese cinismo, si affidarono al caso, vivendo alla giornata e sciupando il tempo in cose formali e banali.

Negli ultimi giorni, poi, il loro pensiero fu esclusivamente rivolto al come porre in salvo se stessi e i componenti della Casa Reale, anche se il prezzo da pagare era quello di mandare allo sbaraglio sia le FF.AA. che la Nazione.

In un tale contesto di disfattismo e di rinuncia, l’Esercito Italiano, rimasto privo di ordini e di piani coordinati con gli Alleati, non poteva che sfaldarsi e dissolversi, pur se ancora molte “grandi unità” erano idonee al combattimento, per come dimostrato dai numerosi, ma slegati, episodi di valorosa resistenza o, addirittura, di vittoriosi scontri per come, in un primo momento, avvenne in Corsica, in Epiro e in Egeo.

Tale tesi è convalidata da quanto si può leggere in un rapporto successivamente redatto  dall’Alto Comando Alleato: – “…mancando di chiare direttive, le Forze Armate Italiane non seppero reagire,  ….i vaghi ordini di  prima  dell’Armistizio risentivano dell’indecisione di Badoglio che non fece nulla per  predisporre  piani e misure  per  una reale  reazione antitedesca,  …pensava solo  a guadagnare  tempo sperando che gli Alleati frattanto occupassero Roma per proteggerlo,  …è chiaro che temeva  un  confronto  militare con  i  Tedeschi”.  Tale rapporto, tuttavia, dimentica che anche gli Alleati, come accennato, sbagliarono, e di grosso.

Avvenne quindi l’irreparabile e già nella serata dell’8 settembre si manifestò il completo collasso delle istituzioni e dei centri decisionali, sia militari che civili. 

Nessuno era più in grado di fronteggiare gli eventi che stavano maturando.

Badoglio, in perfetta sintonia con il Monarca e con i generali dello S. M., era ormai convinto che non rimanesse altra soluzione se non quella di tagliare la corda, principalmente per non correre il rischio di finire in mano ai tedeschi.  

Il Paese venne avviato, con ostentato cinismo, verso la perigliosa china di una immane catastrofe che, alla fine, sarebbe stata di gran lunga più grave di quella di Caporetto.

Il tempo ha giudicato i responsabili e nei loro confronti ha emesso la più gravosa delle sentenze: quella