Type to search

Share

Bobbi Gibb e Kathrine Switzer: Le donne e la maratona

 

Sembra incredibile ma, in un passato per nulla remoto, era opinione comune e condivisa che le donne non fossero fisicamente in grado di correre una maratona e, addirittura, che la corsa potesse essere nociva per la loro salute. E non parliamo di secoli, ma di pochi decenni fa: negli anni Sessanta queste credenze erano infatti ancora del tutto salde e radicate. Tuttavia, sempre negli anni 60, queste vecchie credenze sono state scardinate da due paladine dei diritti per le donne: Bobbi Gibb e Kathrine Switzer.

Un percorso letteralmente a ostacoli, quello della maratona al femminile.

La prima donna a portare effettivamente a termine il percorso di una maratona fu Bobbi Gibb, a Boston, nel 1966. Dato che la competizione era ufficialmente chiusa alle donne, Bobbi indossò i vestiti del fratello e aspettò il via nascosta dietro un cespuglio, poco distante dalla linea di partenza.

Naturalmente, non essendo iscritta, corse l’intera distanza senza alcun pettorale, ma la sua fu un’esperienza positiva: gli altri atleti la sostennero e la incitarono fino a quando tagliò il traguardo, in 3 ore, 21 minuti e 40 secondi. Ma una piena accettazione delle donne in maratona era ancora lontana.

Un pettorale per Kathrine Switzer: “vattene dalla mia dannata corsa e ridammi quei numeri!”

Jock Semple era il direttore di gara della maratona di Boston nell’edizione 1967 quando si accorse che tra gli atleti ce n’era uno di sesso femminile. La donna in questione era Kathrine Switzer, numero 261, iscritta con le credenziali generiche K. V. Switzer per non essere esclusa dall’assegnazione del pettorale. L’immagine in cui Kathrine Switzer viene malamente strattonata da Semple è entrata a far parte de “Le 100 foto che hanno cambiato il mondo” segnalate dalla rivista “Life”.

Kathrine Switzer, in ogni caso, non si lasciò fermare. Grazie anche all’aiuto dell’allora fidanzato, l’ex giocatore di football e lanciatore del peso Thomas Miller, che spinse il giudice a terra, Kathrine Switzer riuscì a liberarsi dalla stretta e a portare a termine la sua gara.

sapevo che se avessi smesso, nessuno avrebbe mai creduto che le donne avevano la capacità di correre per oltre 26 miglia. se avessi abbandonato, tutti avrebbero detto che era stata una trovata pubblicitaria. se avessi rinunciato, gli sport femminili sarebbero tornati indietro nel tempo, invece che in avanti. se avessi smesso, non avrei mai più corso a boston. se avessi mollato, jock semple e tutti quelli come lui avrebbero vinto. la mia paura e la mia umiliazione si sono trasformate in rabbia.kathrine switzer

Dopo gli eventi, la Switzer non soltanto proseguì brillantemente la sua carriera di atleta, correndo oltre 40 maratone e vincendo quella di New York nel 1974, ma divenne un simbolo e un’attivista a favore dell’inclusione femminile nello sport.

Tra le iniziative di Kathrine Switzer ricordiamo l’Avon International Running Circuit, un programma che comprende più di 400 gare dedicate alle donne in 27 Paesi e ne ha coinvolte, nel tempo, oltre un milione, contribuendo a far finalmente includere la maratona femminile nei Giochi olimpici, cosa che è avvenuta, incredibilmente, soltanto nel 1984.

Il 17 aprile 2017, cinquant’anni dopo la sua impresa, Kathrine Switzer, all’età di 70 anni, ha preso parte ancora una volta alla mitica maratona di Boston, indossando lo stesso numero di pettorale, il 261.

Ma le attività di Kathrine Switzer non si fermano qui. Nel 2015, insieme ad altri quattro amici visionari, la Switzer ha dato vita al progetto 261 Fearless, dedicato all’inclusione delle donne nel mondo della corsa e dello sport.

261 Fearless è una rete di club presenti in tutto il mondo e si fonda sui principi di aggregazione, divertimento e condivisione, con l’obiettivo di aiutare le donne ad affrontare le proprie paure e combattere i pregiudizi attraverso la corsa non competitiva e l’attività sportiva.

261 Fearless in Italia

Dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, dall’Africa all’Afghanistan fino all’India, all’Inghilterra, all’Austria, alla Germania: i club 261 Fearless sono ovunque nel mondo e, dal 2018, anche in Italia, a Milano.

Qui, l’iniziativa della Switzer trova terreno fertile grazie al lavoro di Greta Vittori, runner per passione e PR di professione che,  dopo aver intervistato Kathrine Switzer, decide di diventare parte attiva del suo grande progetto e inizia a raccogliere attorno a sé un gruppo che si riunisce due volte a settimana, per condividere un’importante esperienza di sport.

Il progetto di Kathrine Switzer è dedicato soprattutto alle donne che faticano a dedicarsi a un’attività sportiva perché in qualche modo non si sentono all’altezza: alcune non amano correre da sole, altre si vergognano nel farsi vedere in tuta da ginnastica, oppure si sentono troppo grasse, troppo magre, sono reduci da malattie, vivono in una città nuova.