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22 luglio 1981. Ali Ağca è condannato all’ergastolo

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di Anna La Mattina

Il 22 luglio 1981, dopo otto giorni di processo per direttissima, i giudici della corte di Assise condannarono Mehmet Ali Ağca all’ergastolo,  per tentato omicidio di Capo di Stato Estero: Papa Giovanni Paolo II.

Ali Ağca rinunciò a presentare appello contro la sentenza di condanna, che motivava la pena, esplicitando che l’attentato “non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra”. La difesa sostenne, invece, che Ali Ağca aveva agito da solo, in preda a una schizofrenia paranoica, mossa dal desiderio di diventare un eroe del mondo musulmano.

Poco più di due mesi dopo l’attentato a Giovanni Paolo II, avvenuto in una gremita Piazza San Pietro, piena di fedeli e soltanto appena dopo che una bimba piccolissima fosse stata tra le braccia del Papa, il turco Mehmet Ali Ağca, militante dei “Lupi Grigi”, in seguito a un processo per direttissima durato soltanto otto giorni, viene condannato dalla corte d’assise all’ergastolo, per il tentato omicidio di un capo di Stato estero.

L’attentato a Giovanni Paolo II, avvenuto Il 13 maggio 1981, pochi minuti dopo l’ingresso di Wojtyła in Piazza San Pietro per l’udienza generale, Ali Ağca sparò tre colpi di pistola al Papa. Pur riuscendo a raggiungere il colonnato di piazza San Pietro con l’intento di fuggire dal luogo dell’attentato, venne costretto a fermarsi da alcuni astanti. Facendo cadere inavvertitamente la pistola a terra urtando con il braccio una suora lì presente e rimanendo quindi disarmato, fu arrestato facilmente dalle forze dell’ordine. Riprese la corsa, ma ormai disarmato venne bloccato e arrestato. Papa Wojtyła fu presto soccorso e sopravvisse e dopo l’attentato fu sottoposto a un intervento che durò ben 5 ore e 30 minuti.

Nonostante la tesi difensiva sostenesse che l’uomo avesse agito a causa di una forma di schizofrenia, nel tentativo di diventare un simbolo per il mondo islamico, la sentenza di colpevolezza fu motivata con il fatto che l’attentato “non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra”.

Insomma, Alì Agca non convinse i giudici. Egli rifiutò di presentare un ricorso in appello alla sentenza, anche se, un anno dopo cambiò la versione dei fatti: si iniziò a parlare di una possibile pista legata alla Bulgaria comunista.

Fu solo la prima di una serie di versioni differenti rilasciate dal militante dei Lupi grigi che, dopo il suo ritorno in libertà (fu graziato nel 2000 e dopo un’ulteriore pena scontata in Turchia, fu scarcerato nel 2010), hanno visto Ali Ağca accusare, quali mandanti, prima il cardinale Agostino Casaroli e poi l’Ayatollah iraniano Ruhollah Khomeyni. Entrambe le versioni sono state considerate improbabili (secondo Agca, Khomeyni gli avrebbe parlato in turco, lingua che in realtà non conosceva).

Il 27 dicembre 1983, recluso nel carcere romano di Rebibbia, l’attentatore riceverà la visita dell’uomo che aveva tentato di assassinare, il Papa, che gli concesse il perdono cristiano: furono momenti toccanti, le cui immagini fecero il giro del mondo.

Ali Ağca, nel settembre del 1996, presentò nuovamente la domanda di grazia o in subordine l’espiazione della pena in Turchia. Il 13 giugno 2000, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse la grazia dopo che la Santa Sede si era dichiarata “non contraria” al provvedimento. In questo modo, il giorno successivo Ali Ağca viene estradato dall’Italia per raggiungere Istanbul, nel carcere di massima sicurezza di Kartal, dove sconterà altre pene, per gravi reati pregressi, commessi in Turchia.