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1979 i sovietici invadono l’Afghanistan

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Fonte @treccani.it

Conflitto che oppose i mujahidin afghani all’Unione Sovietica tra il dicembre 1979 e l’aprile 1989. Nell’aprile 1978, dopo l’arresto e l’omicidio di alcuni leader comunisti afghani, un’insurrezione sostenuta dall’URSS rovesciò il governo di M. Daud, cui subentrarono N.M. Taraki e un Consiglio rivoluzionario egemonizzato dal PDPA (Partito democratico popolare afghano), i quali avviarono una politica di laicizzazione e modernizzazione del Paese. Nel nome della jihad, la guerra santa dell’islam, gli oppositori del nuovo regime si organizzarono in gruppi armati, i mujahidin. Taraki fu rovesciato dal colpo di Stato di H. Amin (febbr. 1979), cui seguirono la repressione degli oppositori e varie rivolte popolari. Intanto a luglio il presidente degli Stati Uniti J. Carter varava l’orga­nizzazione di aiuti bellici ed economici ai mujahidin. Il 27 dic. ebbe quindi inizio l’intervento militare sovietico; Amin fu deposto e ucciso e gli subentrò B. Karmal. La guerra indusse parte della popolazione ad abbandonare il Paese, cosicché nel 1980 i profughi afghani in Pakistan e in Iran superarono i cinque milioni. Il conflitto intanto si radicalizzava: da una parte il regime comunista, sostenuto dalle truppe sovietiche, dall’altra l’islam e i mujahidin. Il governo rafforzava l’integrazione economica afghana con l’URSS e l’alfabetizzazione della popolazione. I mujahidin, dal canto loro, si dividevano tra un’ala moderata e una fondamentalista. Quest’ultima vedeva l’egemonia del Partito dell’islam di G. Hekmatyarm, sostenuto dal Pakistan, e del Jamiati-Islami ye Afghanistan di B. Rabbani, mentre un altro leader fondamentalista, A. Sayyaf, godeva di forti appoggi internazionali, e faceva la sua apparizione anche O. bin Laden, tra i maggiori organizzatori e finanziatori dei mujahidin. Moderati e islamisti, riunitisi in Pakistan (maggio 1985), costituivano quindi l’Alleanza islamica in funzione antisovietica. Intanto, grazie alla Risoluzione Tsongas del Senato (ott. 1984) e alle decisioni del presidente R. Reagan (1986), l’aiuto degli USA ai mujahidin si rafforzava: l’invio di missili Stinger consentiva di contrastare efficacemente l’aviazione sovietica, mentre anche il Pakistan continuava a sostenere gli islamisti. A sua volta il governo afghano, ora nelle mani di Zia-ul-Haq, attenuava la lotta contro i mujahidin. La guerra arrivò dunque a uno stallo, con le truppe sovietiche che controllavano solo il 20% del territorio. La nomina al vertice dell’URSS di M.S. Gorbačëv (marzo 1985) comportava intanto un nuovo atteggiamento da parte sovietica, e già nell’ott. 1986 iniziava in sordina un ritiro unilaterale. Intanto al governo dell’Afghanistan giungeva Najibullah, che sviluppò una politica di apertura all’islam e favorì la crescita di un Fronte nazionale patriottico. Con la Costituzione del 30 nov. 1987 l’islam fu proclamato religione di Stato, pur vigendo il modello sovietico sul piano politico-economico. Il 14 aprile 1988, con gli Accordi di Ginevra tra Afghanistan e Pakistan (avallati da URSS e USA), si fissò il termine di un anno per il ritiro delle truppe sovietiche; tuttavia i mujahidin respinsero gli accordi, continuando a gestire intere aree del Paese. Il 14 aprile 1989 le ultime truppe sovietiche lasciavano l’Afghanistan. Il Pakistan, dal canto suo, continuò a sostenere i mujahidin. Nel 1990 Najibullah avviò un processo di liberalizzazione, moltiplicando i contatti con l’opposizione, ma nel 1992 fu rovesciato dai mujahidin, il che aprì le porte al regime dei talebani.