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12 settembre 1981. Muore Eugenio Montale

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di Gianni De Iuliis
Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura 1975, si spense a Milano, nella casa di Cura San Pio X, in via Francesco Nava, dove era ricoverato, la sera del 12 settembre del 1981; avrebbe compiuto 85 anni il 12 ottobre (era nato a Genova nel 1896).
Il 14 settembre furono celebrati solenni funerali di Stato per l’ultimo saluto al poeta. Il rito funebre, nel Duomo di Milano, fu officiato dall’arcivescovo Carlo Maria Martini.
Il Senato della Repubblica commemorò la figura di Montale nella seduta dell’8 ottobre 1981, con i discorsi del presidente del Senato, Amintore Fanfani e del presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini.
La tomba del Poeta si trova nel cimitero attiguo alla chiesa di San Felice a Ema, alla periferia di Firenze, accanto alla moglie Drusilla.
Eugenio Montale (1896 –1981) è stato un poeta, traduttore, scrittore, filosofo, giornalista, critico letterario, critico musicale e politico italiano.
Tra i massimi poeti italiani del Novecento, la poesia è per Montale principalmente strumento e testimonianza dell’indagine sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno, in cerca di un assoluto che è però inconoscibile. Tale concezione poetica non attribuisce alla poesia uno specifico ruolo di elevazione spirituale. Il poeta può solo dire “ciò che non siamo”: è la negatività esistenziale vissuta dall’uomo novecentesco dilaniato dal divenire storico.
Lo ricordiamo riportando alcune citazioni e alcuni versi iconici tratti dalle sue poesie:
• Io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo. (da È ancora possibile la poesia?, discorso pronunciato ricevendo il Premio Nobel nel 1975);
• Codesto solo oggi possiamo dirti: / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. (da Non chiederci la parola);
• Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino (da Ho sceso dandoti il braccio);
• L’uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità. (da Il volo dello sparviero);
• La più vera ragione è di chi tace (citato da Umberto Eco in Elogio del silenzio);
• Ah crisalide, com’è amara questa / tortura senza nome che ci volve / e ci porta lontani — e poi non restano / neppure le nostre orme sulla polvere; e noi andremo innanzi senza smuovere / un sasso solo della gran muraglia. (da Crisalide).