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11 giugno 1984. La morte Enrico Berlinguer

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di Loan

«Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta», così disse il presidente della Repubblica Sandro Pertini quando fece trasportare da Padova a Roma la salma di Enrico Berlinguer.

Il segretario del Partito Comunista Italiano si spense l’11 giugno 1984 nell’Ospedale civico della città del Santo, dove era stato ricoverato, ormai in coma, quattro giorni prima, subito dopo un comizio per le elezioni europee durante il quale fu colto da ictus mentre parlava. Tutta la folla presente vide la sua improvvisa, lacerante sofferenza, gli gridarono di fermarsi, ma il segretario andò avanti, riuscì a terminare il discorso, eroicamente. Perciò la sua morte è rimasta per sempre legata a quest’immagine: la morte sul campo, nell’esercizio del “mestiere”, del dovere, di un leader d’altri tempi, dell’esempio di un’altra politica, di un altro spessore morale, degno della devozione dei militanti e del rispetto degli avversari.

Enrico Berlinguer aveva 62 anni, era nato a Sassari il 25 maggio 1922. Nei quattro giorni in cui rimase in coma, in tutte le sezioni del PCI si poteva toccare con mano la costernazione, il dolore, il senso di profondo smarrimento, perché Berlinguer non era soltanto il segretario del partito, il dirigente autorevole che aveva portato il PCI alla più alto livello di consenso della sua storia, ma rappresentava una figura nella quale immedesimarsi e sentirsi parte di una comunità partecipata e viva. E forse proprio nei giorni della scomparsa di Enrico Berlingiuer la storia del PCI (che proprio in questo 2021 sarebbe diventata centenaria) cominciò a finire.

Al funerale, il 13 giugno a Roma, partecipò una folla immensa, circa un milione e mezzo di persone. Il corteo funebre sfilò dalla sede del PCI, in via delle Botteghe Oscure, fino a piazza San Giovanni gremita di un popolo, di certo, non soltanto comunista.

Nella sua lunga segreteria, Berlinguer rese centrale nella politica italiana la “questione morale”, riuscì a tracciare una rotta più autonoma rispetto all’URSS e lavorò all’affermazione del suo progetto di “eurocomunismo”. Un’idea difficile da realizzare in una delle stagioni più difficili della storia italiana, segnata negli anni Settanta del Novecento dalla “strategia della tensione” e in un contesto internazionale in cui (la fine di Allende e il golpe di Pinochet in Cile è di quegli anni) l’Occidente è attraversato dal rischio di nuove derive totalitarie.

È in questo clima che nasce la la ricerca del “compromesso storico” con la DC di Aldo Moro, cioè il tentativo di arrivare ad una convergenza democratica tra i principali partiti di massa. Una politica che inasprì la frattura tra il PCI e i movimenti giovanili e la Sinistra extraparlamentare e che sarà stroncata col sangue innocente di Aldo Moro nel 1978.

La morte prematura impedì al Berlinguer di mettere a punto una strategia politica forte per fronteggiare adeguatamente i cambiamenti politici e sociali degli anni Ottanta, che sfoceranno nella fosca e complessa vicenda di “tangentopoli” e nella fine della “Prima Repubblica”.

Il PCI vantava allora un gruppo dirigente di prim’ordine, Ingrao, Tortorella, Natta, Iotti, Napolitano, Chiaromonte, Macaluso, Reichlin, Castellina, Magri e così via fino ai più giovani, D’Alema, Veltroni, Mussi, Occhetto, ma il partito che Berlinguer aveva diretto per oltre dodici anni non riuscì a sostenere la sfida del cambiamento.

A succedere a Berlinguer nel ruolo di segretario fu dapprima, per breve tempo, Alessandro Natta e poi fu la volta di Achille Occhetto che, in seguito al crollo, nel 1989, del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione sovietica, avviò la “svolta della Bolognina”. Il Pci durò formalmente fino al 1991, quando assunse la nuova denominazione di PDS, Partito Democratico della Sinistra, svolta che provocò l’uscita dal partito del gruppo dissenziente guidato da Armando Cossutta, che diede vita al Partito della Rifondazione Comunista.

Finiva così, dopo settant’anni, sempre nel quadro di grandi mutamenti internazionali, il partito nato nel gennaio 1921 a Livorno da una scissione del partito socialista, nel contesto storico segnato dalla grande rivoluzione sovietica.