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1° settembre 1939, inizia la seconda guerra mondiale. Un disastro annunciato

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Quando Hitler, alle ore 10 di venerdì uno settembre 1939, si  reca  al “Reichstag” per annunciare  l’inizio delle ostilità, le “panzer divisionen” tedesche sono già penetrate per decine di chilometri in territorio polacco

 

di Augusto Lucchese

 

Alle 5,45 del venerdì uno settembre 1939, il rullo compressore della “Wehrmacht tedesca (Esercito Tedesco), dopo che nel trascorso marzo, in Boemia – Moravia e Slovacchia, aveva già dato ampia dimostrazione della propria efficienza, si mosse verso l’ulteriore obbiettivo lucidamente prestabilito nell’ambito della politica revanscista ed espansionista della Germania di Hitler: la Polonia.

L’attacco, meticolosamente preparato, portò le potenti armate del Gen.le Von Bock,  da nord,  e  del Gen. le  Von  Rundstedt,  da sud, (58 divisioni, in gran parte “motorizzate” e “corazzate”) a dilagare nelle fertili pianure polacche, fra i fiumi Warta e Vistola, scavalcando agevolmente l’ostacolo naturale dei Carpazi. Avuto facile gioco nell’infrangere il fragile diaframma difensivo polacco, le forze tedesche, in meno di tre settimane, ebbero partita vinta.

Fu largamente smentita, in tal modo, l’ostentata sicurezza dell’ambasciatore polacco a Parigi, Lukasievicz, che, appena 15 giorni prima, aveva dichiarato: “le minacce di Hitler sono assurde, saremo noi ad invadere la Germania… ed entreremo trionfalmente a Berlino”.

Quando Hitler, alle ore 10 dello stesso giorno, si  reca  al “Reichstag” per annunciare  l’inizio delle ostilità, le “panzer divisionen” tedesche sono già penetrate per decine di chilometri in territorio polacco.

La manovra avvolgente travolgerà ben presto ogni tentativo di resistenza e la mastodontica tenaglia si chiuderà alle spalle delle forze avversarie, già paralizzate dai micidiali attacchi dell’aviazione e in particolare dei “Ju 87-Stukas”, impedendo loro ogni possibilità di organizzare una valida difesa e di eseguire un ordinato arretramento.  Varsavia è raggiunta l’8 settembre, dopo appena sette giorni dall’inizio dell’offensiva.

Pur se strenuamente difesa dai valorosi reparti di presidio, comandati dal Gen.le Cuma, la lotta appare subito impari e la resa non può che essere l’inevitabile epilogo. La campagna di Polonia é conclusa in appena 18 giorni ed il mondo, attonito e frastornato, è sommerso dai particolari dell’inarrestabile offensiva dell’Esercito tedesco.

Non si può che prendere atto di un nuovo modo di fare la guerra: compare in scena la “Blitz Krieg“, la cosiddetta “guerra lampo”.  Il cinico attacco tedesco alla Repubblica polacca e la scontata risposta di Francia e Inghilterra che, in base ai trattati stipulati, dichiarano guerra alla Germania, segna, di fatto, l’inizio della  “seconda  guerra mondiale”. 

Il 17 settembre, tuttavia, si concretizza l’aspetto più esecrabile della triste vicenda polacca.

L’orso sovietico s’avventa sulla preda, la già sconfitta Polonia, per dilaniarne i resti.

Sfruttando il fatto che l’esercito polacco, sotto i colpi di maglio delle divisioni corazzate e dall’aviazione di Hitler, é agonizzante, i russi s’impadroniscono, proditoriamente, di vasti territori che poi saranno annessi all’URSS assieme alle Repubbliche Baltiche di Lettonia, Estonia e Lituania (giugno e agosto 1940).

Il misfatto si consuma per effetto del “protocollo segreto” sottoscritto a Mosca, il 23 agosto 1939, dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim Von Ribbentrop e dal collega russo Vjaçeslav Michajloviç Molotov (foto a destra) alla presenza di un gongolante Stalin che, in tale circostanza,  non avrà scrupolo alcuno nel divenire, per convenienza, connivente e fiancheggiatore del guerrafondaio Hitler, imitandone i metodi che portano alla consumazione d’efferati delitti e ai genocidi di massa.

Il codardo colpo di mano,  con cinica  determinazione  attuato  dalla Russia bolscevica, pose in evidenza, ove ce ne fosse stata ulteriore necessità, quale disprezzo si nutrisse in quel di Mosca riguardo l’indipendenza delle Nazioni e la libertà dei popoli.

Un interrogativo è d’obbligo: perché Inghilterra e Francia, a seguito della maramaldica aggressione sovietica e considerato che avevano assunto l’impegno di tutelare contro chiunque la libertà della Nazione polacca, non dichiararono guerra anche all’ U.R.S.S, come correttamente fatto nei confronti della Germania? 

Sarebbe utile ai fini della verità storica, magari portando alla luce talune informazioni sepolte nei polverosi archivi di Downing Street e del Quai d’Orsay, conoscere gli intrighi che portarono all’incoerente comportamento franco inglese nei confronti dell’esecrabile politica staliniana.

Un inappellabile verdetto di condanna non può che pesare, comunque, sulla coscienza delle cosiddette “civili e libere” democrazie occidentali (ammesso e non concesso che lo fossero allora e che lo siano tuttora) a fronte delle sofferenze, degli eccidi, dei lutti che il popolo polacco dovette subire nel corso della lunga e tirannica dominazione sovietica che si sovrappose e si alternò a quella tedesca.

La storia insegna, purtroppo, che i giochi di potere sono molto spesso frutto di meri calcoli tornacontistici e s’evolvono nell’ambito di mutevoli finalità politiche del momento, portate avanti da uomini di governo sulla cui etica morale e comportamentale è  talvolta difficile, se non impossibile, esprimere un positivo giudizio.

La pur breve campagna di Polonia pose chiaramente in evidenza l’enorme potenzialità della poderosa macchina bellica messa su dalla Germania nel breve volgere di pochi anni.

A prescindere dalle insane mire e dai propositi dominatori dell’aggressivo e dissociato Hitler, Fuhrer del 3° Reich nato per riflusso del vessatorio “trattato di pace” di Versailles, erano riaffiorate in Germania inarrestabili velleità di riscatto e di rivincita.

In osservanza dei rigidi principi del militarismo prussiano, in forza del quale il soldato tedesco è portato ad ubbidire ciecamente agli ordini ricevuti, indipendentemente dalla pur criticabile fonte da cui provengono, la nuova “Wehrmacht” era divenuta una perfetta e sincronizzata struttura militare con cui, da quel momento, dovranno fare i conti gli avversari di turno.

L’incredibile vitalità tecnica e organizzativa dell’industria tedesca, aveva fatto sì, inoltre, che fossero approntate smisurate quantità di mezzi meccanizzati, carri armati, armi modernissime, aerei tecnicamente all’avanguardia, funzionali attrezzature logistiche e di supporto. La macchina da guerra tedesca s’era dotata di numerose e agili divisioni corazzate e motorizzate, di agguerrite truppe di pronto impiego (paracadutisti e reparti aviotrasportati), oltre che di una potentissima flotta aerea, d’indubbia efficacia.

L’esercito del Terzo Reich, in definitiva, poteva porre in campo un potenziale offensivo che all’epoca non aveva termini di paragone.

La tecnica della “blitz krieg”, messa a punto con teutonica meticolosità dallo Stato Maggiore della citata “Wehrmacht”, ubbidiva al trinomio “sorpresa, rapidità, potenza” ed era fondata sull’azione combinata di “Gruppi d’Armate”, a loro volta costituite da  divisioni con alto grado di autonoma mobilità, strutturate per assumere e mantenere una efficace e costante superiorità operativa. Tutte le Unità erano sotto la guida di valenti ufficiali provenienti da un ferreo addestramento, dotati di notevoli qualità soggettive, di alto senso del dovere, di determinazione e coraggio.  Tale poderosa forza d’urto terrestre era sostenuta dalla efficientissima, potente e diversificata “Luftwaffe” (Aviazione militare), oltre che dall’alta capacità operativa della “Krigsmarine” (Marina da Guerra) la quale, pur se numericamente inferiore alla “Home Fleet” di sua Maestà Britannica, darà a quest’ultima parecchio filo da torcere e segnerà al proprio attivo clamorosi episodi di combattività.  Basta ricordare, a quest’ultimo proposito, le esaltanti gesta della “Graf Von Spee” in Sud America, della “Bismarck” in Atlantico o del “Prinz Eugen”, del “Gneisenau” e dello “Scharnhorst” a Brest e nella Manica, dell’inaffondabile “Tirpitz” in Norvegia. Senza dire, dell’agguerrita flotta sottomarina, i cui famosi “U-Boote” sciamarono per i mari e resero particolarmente insicure le rotte dell’Atlantico, infliggendo enormi perdite alla marineria inglese.

Ma il complessivo quadro non sarebbe esaustivo se non si ponessero anche in evidenza le straordinarie gesta dei coraggiosi e cavallereschi incrociatori ausiliari tedeschi (mercantili armati) che riuscirono, incredibilmente, ad operare con successo e per lunghi periodi financo nel lontano Oceano Indiano e in alcune zone dell’immenso Pacifico.  Fra essi l’ ”Atlantis”, il “Mowe”, il “Kormoran”, il “Pinguin”, il “Komet”, l’Emden, il Thor, divennero il simbolo della tenacia, della abnegazione, della capacità dei marinai tedeschi e dei graduati d’ogni livello che li comandavano. Pur avendo le caratteristiche di fragili e improvvisati strumenti di guerra in molte circostanze si fecero beffa della superpotente Home Fleet inglese.

Navigando, in solitudine, per mesi e mesi, in lungo e in largo per mari spesso inclementi e pieni di insidie, superando ogni difficoltà, riuscirono ad affondare o sequestrare un rilevante numero di navi mercantili (alcune furono avviate con successo verso i porti della Francia occupata), talvolta stracariche di preziose mercanzie e materiale bellico, arrecando pesanti danni agli avversari. Peraltro, la caccia alle “navi corsare” impegnò, in una sorta di stressante e diuturna rincorsa, simbolicamente paragonabile a quella del gatto che cerca d’acchiappare il topo, parecchie unità da guerra britanniche, australiane e olandesi.   Un ulteriore grosso risultato fu quello di sconvolgere – sino a determinare una dilagante forma di panico – il normale svolgimento del vitale traffico marittimo.

Ribadendo il giudizio, estremamente chiaro e inequivocabile, circa le esecrabili finalità per cui la criminale congrega hitleriana aveva incentivato e portato alle estreme conseguenze il sanguinoso secondo conflitto mondiale, appare altrettanto opportuno tributare un distintivo apprezzamento e un obiettivo riconoscimento a quella larga fascia di uomini coscienziosi e leali che, a prescindere dalle appartenenze di bandiera, ebbero a distinguersi dai carnefici, dai criminali di guerra, dagli aguzzini dei “lager” o dei “gulag”, dagli spietati “killer alati” (sia “Luftwaffe”, “USAF” o “Royal Air Force”), dai massacratori di Hiroshima e Nagasaki.

Uomini che – pur in mezzo al putridume delle direttive impartite da incivili e abietti esponenti politici e militari d’ambo le parti in lotta – non rinunziarono ad agire con correttezza morale, con rispetto per gli avversari, con lealtà verso le regole dei trattati internazionali.

La storia non la dovrebbero scrivere solo i vincitori.