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Melisso. Differenze con l’essere parmenideo

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di Gianni De Iuliis

«Questo che abbiamo detto è dunque massima prova che l’essere è soltanto uno. Ma sono prove anche le seguenti. Se ci fossero molte cose dovrebbero essere così come appunto io dico che è l’uno. Infatti, se c’è la terra e l’acqua e l’aria e il fuoco e il ferro e l’oro e una cosa è viva e l’altra è morta e nera e bianca e quante altre cose gli uomini dicono essere, se dunque tutto questo esiste e noi rettamente vediamo e udiamo, bisogna che ciascuna di queste cose sia tale quale precisamente ci parve la prima volta e che non muti né diventi diversa, ma che ciascuna sempre sia quale precisamente è. Ora noi diciamo di vedere udire intendere rettamente. Invece ci sembra che il caldo diventi freddo e il freddo caldo, il duro molle e il molle duro e che il vivente muoia e venga dal non vivente e che tutte queste cose si trasformino e che ciò che era e ciò che è ora per nulla siano uguali; anzi che il ferro che pure è duro, si logori a contatto col dito, e così l’oro e le pietre e ogni altra cosa che sembra essere resistente, e che all’inverso la terra e le pietre vengano dall’acqua. Cosicché ne viene di necessità che noi né vediamo né conosciamo la realtà. Perché non c’è certo accordo in tutto questo. Mentre infatti diciamo che le cose sono molte ed eterne e che hanno certi aspetti e resistenza, ci sembra che tutto si trasformi e si muti da quel che ogni volta l’occhio ci fa vedere. È chiaro dunque che non rettamente vedevamo e che quelle cose non rettamente sembrano essere molteplici; infatti non si trasformerebbero se fossero reali, ma ciascuna sarebbe tale quale precisamente sembrava. Nulla è infatti più possente di ciò che esiste realmente. Ma se si trasforma, ecco che l’essere perì e il non essere nacque. Così dunque se ci fosse un molteplice esso dovrebbe essere tale quale è appunto l’uno »
(Melisso)

Se il molteplice esistesse, esso dovrebbero essere come l’uno, ovvero immutabile, escluso dal divenire come l’essere parmenideo. Tale ammissione meramente ipotetica segna inevitabilmente la distanza da Parmenide, che non aveva ammesso il molteplice. Melisso (Samo, 470 a.C. circa – …) riconosce piena dignità ontologica al molteplice, purché si eliminasse il divenire. Se quindi in natura si trovasse un molteplice indiveniente, esso potrebbe ritenersi essere e giustificare il mondo empirico e i sensi.
Dal punto di vista logico l’essere di Melisso non è ormai più quello parmenideo, anzi il filosofo di Samo apre la via filosofica ai Pluralisti, che riusciranno a garantire il divenire attestatoci dai sensi e l’immutabilità del reale, senza cadere nel tranello dell’alternativa tra essere e nulla.

Nella foto: Il sito archeologico di Ireo a Samo, isola greca nel mar Egeo orientale, patria di Melisso)
(49. Continua)