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L’ultimo discorso di Giacomo Matteotti

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Il 30 maggio 1924 il deputato socialista denuncia i brogli durante le elezioni politiche del mese precedente. Sarà l’ultima volta che interverrà in aula. Il 10 giugno infatti verrà rapito e ucciso dalle camicie nere

Il 6 aprile del 1924 si svolgono in Italia le elezioni politiche per la Camera dei deputati. Alla consultazione parteciperanno 23 liste con 1306 candidati. Oltre alla Lista Nazionale (nota anche come ‘listone’) e alla Lista Nazionale bis, si presenteranno sette liste liberali e quattro liste democratiche di opposizione, due liste socialiste, due liste autonomiste e una lista ciascuna per popolari, comunisti, repubblicani, demosociali e agrari.

Il 30 maggio 1924, al momento di convalidare le decisioni della giunta delle elezioni, diversi parlamentari di minoranza segnaleranno proteste per le modalità di voto in alcune circoscrizioni (Abruzzi, Campania, Calabria, Puglie e Sicilia), presentando una richiesta per il rinvio degli atti alla giunta. La richiesta sarà negata dalla Camera e sarà approvata in blocco l’elezione dei componenti la maggioranza.

“Voi che oggi avete in mano il potere e la forza – diceva Giacomo Matteotti alla Camera – voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione”.

“Se la libertà è data – proseguiva il deputato socialista – ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.

Sarà l’ultimo discorso pubblico di “Tempesta”, come veniva chiamato dai compagni di partito per il carattere battagliero. Si racconta che a chi si congratulava con lui per quelle parole pronunciate alla Camera Matteotti avesse risposto sorridendo: “E adesso potete preparare la mia orazione funebre”. Parole tristemente profetiche.

Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso dai fascisti. Nonostante le ricerche ininterrotte, il suo corpo sarà ritrovato per caso solo il 16 agosto nei pressi del comune di Riano dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza (il cadavere era ormai in avanzata fase di decomposizione, quindi fu necessaria una perizia odontoiatrica per il riconoscimento). Il 20 agosto alle ore 18, solo quattro giorni dopo il ritrovamento, partirà da Monterotondo il treno che riporterà a Fratta Polesine la bara con la salma. Migliaia di lavoratori, operai e contadini assiepati ai bordi della ferrovia renderanno omaggio in silenzio alla salma.

Il giorno prima dei funerali la vedova aveva scritto al ministro dell’Interno Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del Pnf e della milizia: “Chiedo che nessuna rappresentanza della milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia” (la lettera di Velia Matteotti sarà pubblicata su Corriere della Sera del 20 agosto 1924).

“Il morto si leva – diceva Filippo Turati – E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son Sue quand’anche non le avesse pronunciate, che son vere se anche non fossero realtà, perché sono l’anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a monito dei futuri: “Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai… La mia idea non muore…”.

Affermava Emanuele Fiano – promotore nel 2017 di un disegno di legge contro l’apologia del fascismo – in occasione del 90° anniversario della morte di Tempesta:

Ricordare qui oggi Giacomo Matteotti, dirigente e parlamentare socialista, assassinato dai sicari di Mussolini novanta anni fa, oltre che un onore è un dovere e per due ordini di motivi: il primo così ben rappresentato da una frase di Matteotti stesso: “Il fascismo non è un’opinione, è un crimine” perché per chi ama la libertà, la coesistenza pacifica, la civiltà democratica esiste un limite invalicabile a cui non si rinuncia. Chi fa della violenza, della rabbia e della sopraffazione la propria cifra, a chi dell’odio verso chi è diverso da sé dà il senso del proprio agire, a chi sfrutta la regola della democrazia allo scopo dichiarato di negarla e di ucciderla non si cede mai anche a costo della propria stessa vita. Quella di Matteotti non è una tragedia relegata nei libri di storia, ma è una testimonianza più che mai attuale. Tutta la nostra vita repubblicana è segnata dalla lotta tra chi stava e sta dalla parte di Matteotti e le forze contrarie alla libertà e alla democrazia, dai tentativi golpisti e dalla strategia della tensione al terrorismo assassino degli anni di piombo, alla mafia stragista. E anche oggi, di fronte alle difficoltà e alle sfide, pensare e rifarsi a Matteotti e alla sua battaglia per i diritti e per la libertà, per il lavoro, fornisce a noi gli strumenti per andare avanti. Perché la sua lezione e la sua pratica ci insegnano che tutte le libertà sono legate: da quella di parola, a quella di organizzazione, da quella economica a quella di fede, a quella dell’affermazione della propria diversità. Per questo Mussolini e i suoi sgherri assassini hanno voluto uccidere Giacomo Matteotti: avevano paura di un uomo libero che, con la sola propria presenza, riusciva ad inceppare la sua macchina criminale. Non un eroe, ma un rappresentante delle sue genti e della legalità; uno di noi e, quindi, immenso nella sua semplicità. Il secondo motivo (…) esce dalle trascrizioni del suo ultimo discorso (…) nel quale, tra interruzioni, provocazioni, sbeffeggi e insulti, denunciava con dettaglio i brogli elettorali e le violenze su cui si basava la formale vittoria elettorale di Mussolini, chiedendone la cancellazione. Sapeva di firmare la propria condanna a morte, come tragicamente fu poi, ma decise di farlo lo stesso e di farlo (…) nell’Aula del Parlamento, da socialista democratico, che al Parlamento dava il ruolo di posto della democrazia. In un famoso discorso disse: “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”. Ecco, oggi, Giacomo Matteotti e le sue idee, il suo sacrificio – perché di questo si trattò -, sono qui con noi a ricordarci di non smettere mai di onorare tutti coloro che alla libertà, alla democrazia e al diritto non rinunciano né hanno rinunciato.

 

Fonte: Collettiva.it