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Lucio Battisti. La nostra educazione sentimentale

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Lucrezia Ercoli

A volte sveste i panni del machismo e non ha paura a mostrarsi vulnerabile: “non hai mai visto un uomo piangere?” Lo stesso uomo che spaventato dalla libertà sessuale e sentimentale femminile si esprime con maschilismo: “donna tu sei mia…”
In un rapporto simbiotico tra suoni e versi – con le parole di Mogol, la musica di Battisti e la sua interpretazione vocale inconfondibile – quei brani sono un incrocio tra canzoni d’autore e canzoni popolari
“Tu chiamale se vuoi emozioni”. Si potrebbe scrivere un pezzo solo con gli aforismi diventati luoghi comuni, con i versi entrati nel linguaggio ordinario pescati da quell’inesauribile serbatoio sonoro-emotivo composto dal duo Mogol-Battisti, i Da Ponte-Mozart della musica pop italiana.
Il 5 marzo di ottant’anni fa – nel piccolo paesino di Poggio Bustone in provincia di Rieti – nasceva Lucio Battisti; e nel celebrare il compleanno del più popolare e del più schivo dei cantanti italiani torniamo a canticchiare quei motivetti che fanno parte della nostra vita intima e familiare. E forse ci troveremo più di quanto ricordavamo.
In un rapporto simbiotico tra suoni e versi – con le parole di Mogol, la musica di Battisti e la sua interpretazione vocale inconfondibile – quei brani sono un formidabile incrocio tra canzoni d’autore e canzoni popolari, piene di paesaggi familiari e di soluzioni sperimentali. Le canzoni di Lucio Battisti sono diventate i nostri “intimni”. Un neologismo creato dal filosofo Peter Szendy che fa capire bene quel particolare ruolo di “inno intimo” – collettivo e personale, universale e singolare – che riescono ad acquisire alcune canzoni pop. Entrano in contatto diretto con ciascuna biografia, pur mantenendo una diffusione commerciale di massa; quei brani sanno intessere trame di continuità tra generazioni diverse, connettendo ricordi privati alle emozioni collettive.
Battisti canta i piccoli e grandi sommovimenti del cuore: l’amore come spazio assoluto dell’intimità, come “vento tiepido” ci spinge fuori di noi e ci libera delle convenzioni sociali mettendoci in contatto con il nostro desiderio al di là della “prudenza più stagnante”; ma anche le storture di un amore che diventa tossica ossessione, sinonimo di possesso e di gelosia, che fa emergere le fragilità, le debolezze, le pretese, gli errori di un “uomo che ama”.
Melodie che attraversano tutta la fenomenologia del sentimento amoroso, dal suo status nascente alla sua perversione paranoica. Dalla condizione insaziabile dell’innamorato, all’amore maturo che ha paura del cambiamento; dalla nostalgia di una perdita lontana che “ci ritorna in mente” alla sofferenza dell’abbandono in una casa “con tanti piatti sporchi da lavare”; dalla tentazione di “un’innocente evasione” alla scoperta traumatica del tradimento di una donna che “non ha mai chiesto di più”.
L’amore nasce come “un’avventura”, ma vuole diventare “una storia vera”, aspira all’eternità del “domani e sempre”. L’amore eterno che non teme il cinismo di tempi disincantati è lo stesso amore instabile e leggero come “una libellula in un prato”, esposto alle turbolenze della vita che non ci dice in anticipo “che sarà di noi”. La cognizione dell’amore passa solo attraverso l’esperienza e rimane aperta all’imprevedibilità del futuro: “lo scopriremo solo vivendo”. In questo catalogo erotico-sentimentale che compone i nostri Frammenti di un discorso amoroso, la voce protagonista alterna stati emotivi diversi. A volte sveste i panni del machismo e non ha paura
di mostrarsi vulnerabile e sofferente: “non hai mai visto un uomo piangere”? Lo stesso uomo che è spaventato dalla libertà sessuale e sentimentale femminile, e si esprime con un maschilismo oggi non più orecchiabile: “donna tu sei mia e quando dico mia dico che non vai più via”.
La musica segue il fluire malinconico dei ricordi e simula il battito cardiaco accelerato del godimento e della paura, con continui rallentamenti e brusche accelerazioni. Un’alternanza tra ritmi distesi e serrati, che ancora oggi ci conquista con una potenza che va al di là delle parole. L’amore, infatti, si esprime in sintomi fisici – chi è innamorato “ha la lingua spezzata, gli occhi sono incapaci di vedere e le orecchie ronzano” aveva già detto Saffo, la poetessa di Lesbo – e Lucio Battisti ha cantato quel tremore che fa collassare il linguaggio razionale. “L’amore provoca così nel pensiero dei veri e propri sommovimenti geologici” scrive Marcel Proust; e Lucio Battisti canta quel paesaggio
emotivo terremotato. In un alternarsi tra la natura passiva dell’amato e attiva dell’amante, compone una sintomatologia amorosa che racconta – attraverso i nomi particolari di Anna, Linda e Francesca – la storia di una malattia universale che salva e distrugge. Un catalogo di storie diverse, tra la ricerca di un “canto libero” e la ricaduta nella dipendenza di un “uomo che muore”.
Le canzoni di Lucio Battisti sono la nostra educazione sentimentale e,
come i Rimedi d’amore scritti da Ovidio, ci aiutano a sopravvivere trovando nell’evasione musicale la via per uscire dall’impasse delle pene d’amore. Esiste la possibilità di guarire e il primo rimedio è la musica stessa.
“Una canzone il tuo posto prenderà”.

fonte: IL RIFORMISTA