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L’obiettivo della riduzione del tax gap potrà essere centrato seguendo due direttrici principali: il potenziamento della compliance, una sorta di collaborazione tra il contribuente e il fisco, e il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data al fine di potenziare i database in possesso del fisco

di Eugenio Maria Pisano

La strada tracciata dal fisco nella lotta al sommerso è quella di potenziare l’infrastruttura informatica per semplificare gli adempimenti dei contribuenti ma soprattutto ridurre la distanza tra quanto dovrebbe ammontare l’entrata nelle casse dello Stato e quanto realmente i contribuenti versano come imposte.
Pertanto, da un lato la semplificazione burocratico-fiscale che attanaglia i contribuenti, accompagnata, si spera, da una riduzione marcata della tassazione che frena il tessuto economico alla liberalizzazione degli investimenti e ad un decisivo incremento del PIL e dell’occupazione, dall’altro una lotta senza quartiere nei confronti dell’economia sommersa che pesa in dimensioni monstre in rapporto al PIL, così da avere risorse fresche per ridurre il divario infrastrutturale nei confronti dei maggiori competitors europei ed internazionali. E quest’ultimo obiettivo è già cifrato: nel 2023 il tax gap dovrà essere ridotto del 5% rispetto al gap del 2019. A conti fatti si tratta di poco più di 4 miliardi di euro, pochi ma che però mettendo in pratica la struttura diventano più di 12 miliardi con la riduzione a regime del 15% del tax gap nel 2024.
Raggiungere l’obiettivo, ambizioso, alla luce dei tanti tentativi perseguiti finora, di riduzione del tax gap vuol dire recuperare in modo strutturale risorse che fino a oggi alimentano soltanto il sommerso. Un risultato come detto ambizioso che, secondo le indicazioni inviate al Mef, potrà essere centrato seguendo due direttrici principali. Il potenziamento della compliance, ovvero, dell’adempimento spontaneo del contribuente invitato a chiarire eventuali posizioni incongruenti tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato al fisco, con una sorta di collaborazione tra il contribuente e il fisco, mai raggiunta ma sempre ambita da tutti i governi susseguendosi nel dichiarare che si avrà finalmente un fisco “amico”. La seconda direttrice riguarda il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data al fine di potenziare i database in possesso del fisco permettendo di selezionare attraverso procedure di analisi quei contribuenti più a rischio di evasione e stanare attraverso l’incrocio dei dati gli evasori totali che tanto fanno male alla nostra economia.
Il Mef punta a obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Aumentare del 20% il numero degli alert inviati ai contribuenti e del 15% il gettito entro la fine del 2022. In entrambi i casi l’aumento quantitativo va rapportato all’ultimo anno prima della pandemia, ovvero il 2019 e quindi dovrebbe tradursi, rispettivamente, in quasi 2,6 milioni di lettere e 2,5 miliardi di recupero. Accanto a questo viene accompagnato un target qualitativo, ovverosia la riduzione di almeno il 5% del numero di errori nell’accertamento.
Il secondo traguardo, invece, è fissato a fine 2024 con il numero di lettere da aumentare del 40% e il gettito del 30 % sempre rispetto al risultato 2019. A conti fatti significa puntare a quasi 3 milioni di lettere e a 2,8 miliardi di gettito aggiuntivo.
Come precedentemente detto un obiettivo ambizioso, ma alla portata dell’Agenzia delle Entrate, visti il numero di dati a disposizione delle stessa e degli investimenti effettuati in infrastrutture informatiche effettuate negli ultimi anni.