Preliminarmente, ricordiamo che, con la Legge n. 3/2012, recante “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché, di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, l’Italia si era uniformata agli altri ordinamenti europei, introducendo uno strumento per l’esdebitazione dei cc.dd. “insolventi civili”, ovvero consumatori e piccole imprese non assoggettabili al fallimento. Tale procedura, però, non solo è divenuta concretamente applicabile solo nel 2014, a seguito della effettiva istituzione degli Organismi di Composizione della Crisi ma, anche dopo tale data, è stata decisamente “trascurata” dagli stessi debitori in quanto ritenuta eccessivamente complicata quanto al meccanismo di accesso e, comunque, di fatto ostacolata dalla necessità che ricorresse il c.d. requisito della meritevolezza.

Di talché, il Legislatore, con l’introduzione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, ha rivisto l’istituto al fine di renderlo più agile ed economico possibile. Sennonché le note vicende legate alla pandemia e le conseguenze economiche derivanti dai mesi di lockdown hanno, da una parte, indotto il legislatore a posticipare la data di entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (inizialmente prevista per il 15 agosto 2020 e ora per il 1 settembre 2021) e, dall’altra, indotto a fare diverse valutazioni proprio con riguardo all’esercito di soggetti non fallibili, gravemente colpiti dagli effetti economici conseguenti al Covid-19.

Con l’obiettivo quindi di mettere a disposizione della fascia più debole della popolazione nuovi e maggiori strumenti per superare la crisi economica e finanziaria, deve essere letta la scelta del Legislatore di introdurre specifiche norme in materia di sovraindebitamento, del tutto nuove o già contenute nel Codice della Crisi e dell’insolvenza, permettendo a queste modifiche una “immediata” entrata in vigore.

In tale prospettiva si pone quindi la Legge n. 176 del 18 dicembre 2020 che mira: (a) a facilitare l’accesso alle “procedure da sovraindebitamento” e (b) ad ampliare la platea dei beneficiari.

Tra le novità spiccano l’introduzione del “debito familiare”, ovvero la possibilità che i membri della stessa famiglia presentino un’unica procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento e la possibilità dell’esdebitazione per il debitore totalmente incapiente.

Ma vediamole nel dettaglio.

La nozione di consumatore

È noto che il consumatore, nella legislazione nazionale e comunitaria, è stato variamente definito. Il file rouge di tali definizioni è sempre il compimento di attività estranee all’attività professionale:

  • consumatore «è qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale» (cfr. art. 2, Direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993, concernente clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori)
  • consumatore o utente è «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta» (cfr. art. 3, comma 1, lett. a, Codice del Consumo)
  • consumatore è «una persona fisica che, nell’ambito delle transazioni disciplinate dalla presente direttiva, agisce per scopi estranei alla sua attività commerciale o professionale» (cfr. art. 3 Direttiva 2008/48/CE del 23/04/2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori)
  • consumatore è «una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta» (cfr. art. 121 TUB)
  • nella Legge n. 3 del 2012 il consumatore è “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Ora, nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, abbiamo una nuova definizione di “consumatore” ridefinito come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.

In tal modo viene estesa l’applicazione della disciplina del sovraindebitamento anche al socio di una società di persone, sempre che il sovraindebitamento riguardi soltanto i suoi debiti personali.

Peraltro, la medesima disposizione è prevista anche per la procedura di liquidazione del patrimonio: all’art. 14-ter è stato aggiunto il comma 7-bis il quale prevede che “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”.

L’unico dubbio che tale disposizione pone è che la circostanza per la quale il socio illimitatamente responsabile possa essere considerato consumatore, con riguardo alle obbligazioni assunte per scopi estranei all’attività d’impresa, implica che quest’ultimo possa essere sottoposto a due diverse procedure, una con riguardo ai debiti da consumo ed un’altra per i debiti sociali.

In tal modo la norma pare scontrarsi con i principi comunitari a mente dei quali l’imprenditore deve accedere ad un’unica procedura concorsuale, sia per i debiti da consumo che per i debiti societari.

Orbene, il principio cardine per la qualifica di consumatore, che voglia risolvere la propria posizione debitoria, è che lo stato di sovraindebitamento sia scaturito da obbligazioni esclusivamente estranee all’attività d’impresa di talchè egli può anche essere imprenditore o professionista, ma le obbligazioni contratte non devono derivare dall’attività esercitata.

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità osserva che lo status di consumatore può essere attribuito anche al fideiussore – inteso come la persona fisica che, al di fuori dell’ambito dell’attività professionale eventualmente svolta, presti garanzia in favore di un soggetto «professionale» – dovendosi escludere la rilevanza dell’attività svolta dal debitore principale. La Suprema Corte, difatti, chiarisce che il contratto di garanzia è distinto rispetto a quello che ha originato il debito, essendo stato stipulato da contraenti diversi rispetto a quelli dell’accordo principale, di talchè il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria non può incidere sulla qualificazione dell’attività (professionale o meno) di una delle parti contraenti a tal punto da far diventare il terzo garante “il duplicato” di un altro soggetto, il debitore principale.[1]

Il requisito della “meritevolezza”

L’ammissione alle procedure de qua resta condizionata ad uno stato di sovraindebitamento incolpevole, tale da escludere una presunta colpa del debitore nella definizione dello stesso.

Invero, la formulazione dell’art. 7 della Legge n. 3 del 2012 configurava un’ipotesi di colpa “semplice” rimettendo al debitore la sola prova dell’avvenuto sovraindebitamento quale causa a lui non imputabile. Il nuovo comma 1 dell’art. 7 aggiunge ora il punto d- ter, che condiziona l’accesso al piano del consumatore e della liquidazione del patrimonio solo al consumatore che non abbia generato lo stato di sovraindebitamento per colpa grave, mala fede o frode.

Vengono rimarcate le condizioni soggettive: il debitore-consumatore deve essere meritevole, cioè non deve avere determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode; mentre il debitore-imprenditore, per accedere all’accordo di composizione, non deve aver commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

È necessario rilevare che l’accesso alle procedure di sovraindebitamento è sempre stato fortemente limitato dal controllo circa la meritevolezza del debitore che – nella maggior parte dei casi – aveva “colposamente” generato il proprio stato di sovraindebitamento. Se l’obiettivo della riforma era agevolare l’accesso a tali procedure non è detto che l’inasprimento del concetto di meritevolezza aiuterà il raggiungimento dell’obiettivo ove, tra l’altro, si consideri che lo stesso requisito è stato ormai eliminato da anni all’interno della legge fallimentare con riguardo all’accesso da parte dell’imprenditore alla procedura di concordato preventivo.

Sempre in tema di meritevolezza, indubbiamente, la novità di rilievo riguarda il compito affidato al gestore dell’Organismo di Composizione della Crisi di indicare nella propria relazione se il creditore-soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore.

Orbene, la norma impone, oltre ad un’analisi sul comportamento del debitore, un’attenta valutazione della condotta del creditore nell’erogazione del credito, tale da escludere la possibile formazione dello stato di sovraindebitamento in modo incolpevole.

Quello che emerge chiaramente è la conformità delle disposizioni interne alla normativa comunitaria in tema di contratti di credito ai consumatori nell’ambito della quale s’impone al soggetto finanziatore un’attenta valutazione del merito creditizio del “debitore-consumatore”.[2]

La medesima ratio legis è, poi, ripresa dal codice della Crisi e dell’Insolvenza il quale agli artt. 68, comma 3 e 69, comma 2 prevede espressamente che “l’OCC, nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore” e che “il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124-bis del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, anche se dissenziente, né far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore”.

La giurisprudenza di merito, non discostandosi da queste previsioni normative, osserva che “la ratio della disposizione è quella di tutelare sia interessi privatistici, mediante la tutela del consumatore, il quale deve essere posto nelle condizioni di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione del contratto, che pubblicistici, connessi al mercato creditizio. In coerenza con la predetta ratio l’intermediario, sulla base delle informazioni di cui può disporre, deve, pertanto, negare il finanziamento nel caso in cui sia necessario per la tutela degli interessi protetti dal proprio ufficio. Dalla lettura coordinata della citata disposizione con il terzo comma dell’art. 12-bis L. 3/2012 deriva il logico corollario che il sovraindebitamento derivante dalla stipula di un contratto di finanziamento in violazione dell’art. 124-bis T.U.B. è riconducibile eziologicamente proprio e solo all’intermediario finanziario. Il consumatore non può, dunque, essere ritenuto in colpa per essersi rivolto all’intermediario ed aver fatto affidamento sulla capacità di quest’ultimo di valutare il proprio merito creditizio.[3]

Pertanto “l’assenza di colpa del consumatore nella determinazione del proprio sovraindebitamento può essere desunta dalla positiva valutazione, a monte, del c.d. merito creditizio da parte del soggetto finanziatore. Il giudizio di meritevolezza del soggetto sovraindebitato a mente dell’art. 12-bis comma 3 della L. 3/2012 non può prescindere dalla valutazione della diligenza del creditore e dal rispetto da parte dello stesso del precetto di cui all’art. 124 bis TUB, norma posta a presidio sia di interessi privatistici, a tutela del consumatore, che di interessi pubblicistici, connessi al mercato creditizio.”[4]

Ed ancora, in un precedente affrontato dal Tribunale di Bari, si afferma che “il finanziatore, trovandosi in una situazione di conclamata dissimmetria informativa a proprio vantaggio rispetto al finanziato sovraindebitato, non si può mai considerare immune da responsabilità per la violazione del merito creditizio, essendo più lui in grado di valutare la capacità di solvenza del debitore, che non quest’ultimo, i cui profili di colpevolezza, quand’anche in astratto configurabili, verrebbero senz’altro assorbiti e superati da quelli del finanziatore.”

Vi è da chiedersi se si tratti di principi applicabili a qualsiasi forma di finanziamento oppure se sia possibile fare delle distinzioni, per esempio tra il credito al consumo e la concessione di un mutuo ipotecario, nell’ambito del quale l’ammontare del finanziamento è parametrato anche al valore dell’immobile.

Il sovraindebitamento familiare

Assume carattere di grande rilevanza la disposizione introdotta con l’art. 7 bis che prevede il cosiddetto “sovraindebitamento familiare”. Nello specifico, i membri della stessa famiglia possono presentare un’unica procedura di composizione della crisi quando siano conviventi o quando il sovraindebitamento abbia un’origine comune. Ebbene, oltre al coniuge, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto.

Le masse attive e passive resteranno distinte, ma la liquidazione del compenso dovuto all’organismo di composizione della crisi sarà ripartita tra i membri della famiglia in misura proporzionale all’entità dei debiti di ciascuno.

Tale disposizione innovativa ricalca un orientamento, ad oggi maggioritario, della giurisprudenza di merito che ammette il ricorso ad un’unica procedura di sovraindebitamento per i coniugi intestatari del medesimo contratto di credito.

La previsione del suddetto articolo rappresenta un’anticipazione dell’articolo 66 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, chiamato a colmare tale lacuna normativa, a causa della quale venivano dilatati senza ragione alcuna i costi dell’avvio di differenti procedure per i membri di un medesimo nucleo familiare. Non solo. Grazie a questa modifica saranno evitate superflue ripetizioni di adempimenti procedurali e i creditori potranno beneficiare della possibilità di liquidare in modo unitario e, dunque in ottica di maggiore efficienza, i beni mobili e immobili della famiglia.

Come si accennava sopra, parte della giurisprudenza interpretava, già, estensivamente il concetto di debitore, allargando la procedura anche al coniuge. In tale prospettiva, di particolare interesse è la decisione assunta dal Tribunale di Mantova nel 2018, ove si chiarisce che “nell’ipotesi in cui a versare in stato di sovraindebitamentosiano due coniugi in regime di comunione legaleè ammissibile la presentazione di un ricorso congiunto per la liquidazione del patrimoniononostante il dato letterale della legge n.3/2012 preveda come legittimato attivo a far ricorso agli strumenti previsti dalla stessa solo la persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, invocando da un lato il principio di ragionevolezza nell’affrontare congiuntamente e sistematicamente lo squilibrio finanziario correlato alla vita in comune e dall’altro la maggiore complessità e onerosità di una trattazione separata delle singole posizioni”[5].

La sorte del contratto di mutuo e dei finanziamenti con cessione di quinto

A differenza di quanto accadeva nella legge n. 3/2012, nella legge n. 176 del 2020 viene prevista la possibilità di inserire nella proposta del piano di consumatore sia i finanziamenti con cessione del quinto che i contratti di mutuo da corrispondere secondo l’originario piano di ammortamento.

Più precisamente, all’articolo 8 vengono aggiunti i commi 1 bis eter, i quali prevedono che la proposta di piano del consumatore possa contemplare anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto e delle operazioni di prestito su pegno.

Si tratta di una norma che dovrebbe portare alla conclusione dell’acceso dibattito giurisprudenziale che, negli anni, si era formata sul punto.

Ed infatti, per lungo tempo la difesa dei creditori, nel contestare la possibilità di procedere con la falcidia di tali crediti, si era fondata sulla considerazione per la quale, nell’ambito del sovraindebitamento, manca un rinvio espresso agli articoli 44 e 55 della legge fallimentare che legittimerebbero l’inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio del debitore[6].

Alcuni Tribunali, come il Tribunale di Forlì, hanno risolto tale vuoto normativo applicando le previsioni di cui all’art. 2914, comma 1, n. 2 (rubricato “Alienazioni anteriori al pignoramento”) e dell’articolo 2918 c.c. (relativo a “Cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti”), alla stregua di quanto avviene nella procedura fallimentare. I Giudici romagnoli hanno richiamato, a tal proposito, una sentenza della Cassazione secondo la quale: “al fallimento del cedente possono essere opposte soltanto le cessioni di credito che siano state notificate al debitore ceduto, o siano state dal medesimo accettate, con atto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che il disposto dell’art. 2913, comma 1, numero 2), c.c. – secondo il quale sono inefficaci, nei confronti del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, le cessioni di credito che, sebbene anteriori al pignoramento, siano state notificate al debitore o da lui accettate dopo il pignoramento – opera anche in caso di fallimento del creditore cedente” (Cass. Civ. n. 9831/2014).

Ma questa è solo una delle diverse opinioni che nel tempo si sono susseguite (ed ancora oggi si rincorrono) a riguardo.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario[7], partendo dal presupposto che nei contratti di cessione del quinto si formalizza una cessione di credito futuro con efficacia meramente obbligatoria fino a che il credito non diventa esigibile, la cessione costituirebbe una semplice garanzia alla restituzione del prestito. Di talchè, se la procedura di sovraindebitamento ha l’effetto di sospendere quelle esecutive, a maggior ragione il medesimo effetto sospensivo dovrebbe aversi nei confronti delle cessioni di credito futuro a garanzia della restituzione dei prestiti.[8]

In tal senso, si è espresso il Tribunale di Napoli chiarendo che “la cessione del credito non costituisce un ostacolo alla fattibilità del Piano stesso secondo la giurisprudenza che ritiene applicabile il principio posto dalla Suprema Corte con la sentenza Cass. 17 gennaio 2012, n. 551 per la quale “la natura consensuale del contratto di cessione di credito – relativo a vendita di cosa futura, per la quale l’effetto traslativo si verifica quando il bene viene ad esistenza – comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza e, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatori”.[9]

Neppure la novella legislativa però potrebbe essere risolutiva: si segnala, infatti, che la norma fa riferimento alla “possibilità” che la proposta preveda la falcidia come se quest’ultima non fosse la regola lasciando quindi il dubbio che, di prassi, il contratto sia opponibile alla procedura di sovraindebitamento.

Inoltre, la proposta di piano del consumatore e di accordo possono prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca, iscritta sull’abitazione principale del debitore, se quest’ultimo abbia adempiuto alle proprie obbligazioni, alla data di presentazione della domanda, e ove il giudice lo autorizzi al pagamento del debito per capitali ed interessi scaduti a tale data.

La legge n. 176 del 2020 ha previsto anche la possibilità che la proposta di piano del consumatore preveda il rimborso alla scadenza convenuta delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore, se lo stesso, alla data del deposito della proposta, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito.

Quando invece l’accordo è proposto da un soggetto diverso dal consumatore e contempla la continuazione dell’attività aziendale, è stata ammessa la possibilità di prevedere il rimborso alla scadenza convenuta delle rate del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, a condizione che il debitore abbia adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo abbia autorizzato al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data.

Da quanto precede emerge sempre più una tutela verso la continuità dell’attività aziendale come possibile strategia di superamento della crisi economica momentanea, soprattutto, a seguito di un’accurata ristrutturazione aziendale, che potrà consentire all’impresa di individuare nuove risorse economiche sulle quali puntare o di eliminare errori, frutto di una gestione poco consona all’ esigenza di mercato.

L’azione revocatoria concessa al liquidatore nella procedura di liquidazione del patrimonio

Tra le maggiori novità oggi in vigore vi è senz’altro l’ampliamento delle azioni esperibili dal liquidatore, fino a ricomprendervi anche l’azione revocatoria. Nello specifico, l’articolo 14 decies è stato modificato prevedendo la possibilità che “il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendente, prosegue ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni ricompresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti. Il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del Codice Civile”. L’autorizzazione del giudice tiene conto dell’utilità dell’azione posta in essere dal liquidatore per il migliore soddisfacimento dei creditori. [10]

Rispetto alla precedente versione dell’articolo 14 decies vi è un notevole ampliamento delle azioni rimesse al liquidatore che inizialmente erano esclusivamente confinate ad azioni volte al recupero dei beni rientranti nella procedura di sovraindebitamento.

Quello che emerge è, dunque, un maggiore accentramento delle funzioni di gestione attribuite al liquidatore finalizzate a un migliore soddisfacimento degli interessi creditori, con un ruolo del giudice “limitato” alla verifica delle conformità alla legge delle azioni poste in essere.

Il debitore incapiente

L’aggiunta dell’articolo 14- quaterdecies, rappresenta una rilevante opportunità per i debitori incapienti rispetto alla massa creditoria: è prevista infatti la facoltà di accesso all’esdebitazione per il debitore, persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai propri creditori alcuna utilità, diretta e indiretta, nemmeno in prospettiva futura. Fermo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice nel caso in cui sopravvengano utilità rilevanti tali da soddisfare i creditori in misura non inferiore al 10 % .

La valutazione di rilevanza deve avvenire su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale, moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti della sua famiglia in base alla scala di equivalenza Isee.

Il debitore è così tenuto a presentare la domanda di esdebitazione, tramite il supporto dell’Organismo di Composizione della Crisi, alla quale dovrà allegare una serie di documenti volti a comprovare il proprio status economico nonché una corretta individuazione di tutti i creditori.

La domanda è poi completata da una relazione particolareggiata redatta dal professionista dell’Organismo di Composizione della Crisi che attesta la veridicità e le cause del dissesto finanziario, nonché la mancanza di utilità economiche, tali da soddisfare la massa creditoria. È rimessa, altresì, al professionista nominato anche la valutazione del merito creditizio riconosciuto al debitore in relazione ai finanziamenti concessi dagli istituti di credito.

Infine, il Giudice, acquisita tutta la documentazione e le informazioni utili, valutata la meritevolezza del debitore, verificata l’assenza di atti in frode ai creditori e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento, concede con decreto l’esdebitazione. Tale decreto potrà essere opposto dai creditori nel termine di trenta giorni.

Il Giudice, instaurato il contradditorio tra i creditori opponenti ed il debitore, conferma o revoca il decreto. La decisione è soggetta a reclamo da presentare al Tribunale.

 


[1] Si veda: Cass. civ., 16 gennaio 2020, ordinanza n.742, Corte di Giustizia UE, sez.VI, ordinanza 19 novembre 2015, causa C-74/15.

[2] Si veda: «In un mercato creditizio in espansione, in particolare, è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio, e gli Stati membri dovrebbero effettuare la necessaria vigilanza per evitare tale comportamento e dovrebbero determinare i mezzi necessari per sanzionare i creditori qualora ciò si verificasse» (cfr. considerando n. 26, Direttiva 2008/48/CE del 23/04/2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori) «Gli Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione del contratto di credito, il creditore valuti il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente. Gli Stati membri la cui normativa prevede già una valutazione del merito creditizio del consumatore consultando una banca dati pertinente possono mantenere tale obbligo» (cfr. art. 8, Direttiva 2008/48/CE del 23/04/2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori) «Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente» (cfr. art. 124 bis TUB – D. Lgs. 141/2010, di attuazione della Direttiva 2008/48/CE del 23/04/2008).

[3] Si veda: Tribunale di Napoli Nord, 27 ottobre 2020.

[4] Si veda: Tribunale di Bari, 8 luglio 2020.

[5] Si veda: Tribunale di Mantova, 8 aprile 2018 e Tribunale di Trani, 22 Gennaio 2020.

[6] Si veda: Sentenza del Tribunale di Milano del 9/7/2017.

[7] Si veda: Trib. Torino, 8 giugno 2016; Trib. Torino 30 settembre 2015, Trib. Grosseto 11 gennaio 2019; Trib. Napoli 11 gennaio 2018; Trib. Livorno, 5 febbraio 2017.

[8] Si veda: Sentenza del Tribunale di Livorno del 21/09/2016 e del 15/02/2017.

[9] Si veda: Tribunale di Napoli, 27 Ottobre 2020.

[10] Art. 4 ter della Legge 174 del 18 dicembre 2020 l’art 14 decies è stato così sostituito: “Art. 14 -decies (Azioni del liquidatore). — 1. Il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendente, prosegue ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti. 2. Il liquidatore, autorizzato dal giudice, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. 3. Il giudice autorizza il liquidatore ad esercitare o proseguire le azioni di cui ai commi 1 e 2, quando è utile per il miglior soddisfacimento dei creditori”.