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Le interviste degli altri (IL RIFORMISTA – Sabino Cassese «MAGISTRATURA, COSÌ IL SISTEMA HA DEVIATO DALLA COSTITUZIONE»)

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«Questo è accaduto da quando l’indipendenza è stata intesa come autogoverno. La riforma Cartabia ha puntato alla funzione principale della giustizia: rendere sollecita la risoluzione dei conflitti»
Umberto De Giovannangeli

Povertà della politica «Il pericolo di una guerra di posizionamento? C’è ma non deriva dal semestre bianco. Bensì dalla povertà della politica, che si è ormai ridotta a slogan ed è incapace di formulare programmi. Cerca solo di coltivare elementi identitari»
Un Sabino Cassese a tutto campo, che promuove la riforma della giustizia: «Cartabia – spiega – ha puntato alla funzione principale della giustizia, che è quella di rendere sollecita la risoluzione dei conflitti. Basta ricordare che vi sono sei milioni di questioni pendenti davanti ai giudici civili e penali. Per completare il processo di riforma, occorre ridefinire quel vero e proprio quinto potere che è costituito dalle procure, ridare al Csm la funzione che ad esso era attribuita dalla Costituzione, ripristinare il rispetto della Costituzione per quanto riguarda l’indipendenza dell’ordine giudiziario. Il sistema ha deviato dal tracciato costituzionale da quando l’indipendenza è stata intesa come autogoverno».
La riforma Cartabia, la sfida per una giustizia giusta. E ancora: il futuro del governo Draghi, la crisi dei partiti e l’alleanza Pd-5Stelle. A discuterne con Il Riformista, in questa intervista a tutto campo, è il professor Sabino Cassese. Il suo percorso accademico è lungo e prestigioso e in alcuni momenti si è incontrato con importanti cariche istituzionali da lui ricoperte: ministro della Funzione Pubblica nel governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi, Giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’Institut d’Etudes Politiques di Parigi. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo i più recenti Una volta il futuro era migliore. Lezioni per invertire la rotta (Solferino, 2021); La nuova costituzione economica. Nuova ediz. (Laterza, 2021); Il buon governo. L’Età dei doveri (Mondadori, 2020); Governare gli italiani. Storia dello Stato (Il Mulino, 2019); La svolta. Dialoghi sulla politica che cambia (Il Mulino, 2019) Insomma, un’autorità assoluta nel campo del diritto e della scienza della politica.
La riforma della giustizia non si risolve solo con la riforma-Cartabia. Professor Cassese, dall’alto della sua indiscutibile esperienza, quali sono i punti centrali di una organica spinta riformatrice in questo delicato campo?
La riforma Cartabia ha puntato giustamente alla funzione principale della giustizia, che è quella di rendere sollecita la risoluzione dei conflitti. Basta ricordare che vi sono sei milioni di questioni pendenti davanti ai giudici civili e penali. La riforma, inoltre, ha avviato la definizione dei tempi e dei modi per lo svolgimento della funzione requirente, di accusa. Per completare il processo di riforma, occorre ridefinire quel vero e proprio quinto potere che è costituito dalle procure, ridare al Consiglio superiore della magistratura la funzione che ad esso era attribuita dalla Costituzione, ripristinare il rispetto della Costituzione per quanto riguarda l’indipendenza dell’ordine giudiziario.
Non crede che in questi anni la politica abbia subito, o fomentato, una “invasione di campo” da parte di una magistratura sempre più correntizzata che ha inteso autonomia e indipendenza come intoccabilità assoluta?
Il sistema ha deviato dal tracciato costituzionale da quando l’indipendenza è stata intesa come autogoverno, i magistrati non hanno abbandonato il ministero della giustizia (che è l’organo incaricato dell’organizzazione del funzionamento della giustizia e fa parte del potere esecutivo), si è avviata una politica malthusiana di gestione del personale di magistratura (dettata da un motivo corretto e da uno sbagliato: quello corretto, di assicurare un’accurata selezione del personale di magistratura; quello sbagliato di salvaguardare i trattamenti economici nettamente privilegiati dei magistrati, se comparati a quelli del restante personale pubblico).
Allargando l’orizzonte. Siamo entrati nel semestre bianco. Non c’è il rischio che si dia inizio ad una logorante guerra di posizionamento in vista delle elezioni del 2023?
Il pericolo c’è, ma non deriva tanto dal semestre bianco, bensì dalla povertà della politica, che si è ormai ridotta a slogan, non è più nelle mani di partiti politici ma di leader di forze dette politiche, è incapace di formulare programmi, e, stimolata dalla fluidità dell’elettorato, cerca esclusivamente di coltivare elementi identitari (di piantare bandierine, come si suol dire).
C’è chi vuole, per ragioni e finalità diverse, Mario Draghi al Quirinale. Ma il 2022 è un anno cruciale per la realizzazione di quei progetti strutturali finanziati dal Recovery fund europeo, fondamentali per il rilancio dell’economia. E visto che l’Italia non è una repubblica presidenziale, le decisioni si prendono a Palazzo Chigi piuttosto che al Quirinale. Come la vede in proposito?
Partiamo dai dati. L’Italia ha oggi il suo sessantasettesimo governo, mentre la Germania, nello stesso periodo di tempo, ne ha avuti 25. I presidenti del Consiglio dei ministri italiani sono stati 30, mentre i Cancellieri tedeschi, nello stesso lasso di tempo, sono stati 9. Non appena si chiuderà la crisi sanitaria, si aprirà la crisi finanziaria. Anche se si allentano i vincoli europei, resteranno sempre determinanti quelli dei mercati, su cui un Paese finanziariamente debole come l’Italia si muove con molta difficoltà. L’Italia ha bisogno, per un periodo anche più lungo di questa legislatura, di un capo dell’esecutivo che, anche senza essere una guida, sia un orchestratore, come certamente è l’attuale presidente del Consiglio dei ministri. La varietà dei rapporti che deve mantenere e la molteplicità dei problemi che deve affrontare, oggi, un capo dell’esecutivo sono enormi. Pensi soltanto alla verticalizzazione del potere prodotta dalla moltiplicazione delle istanze globali ed estere e dall’aumento del numero delle organizzazioni internazionali e multinazionali e pensi alla complessità dello Stato arcipelago, frammentato, per rendersi conto della necessità di un’azione di coordinamento che richiede capacità superiori a quelle dei nostri politici. Questi non vanno, per lo più, oltre qualche intuizione. Penso, per usare una metafora, all’attività del capo del governo come a quella di un organista chiamato a suonare un organo come l’organo maggiore della chiesa della Madeleine di Parigi con una grande varietà di tastiere, pedaliere e registri, che sappia usare tutti questi e trarre dall’organo quegli stessi suoni armonici che da quell’organo riuscirono a trarre Gabriel Fauré e Camille Saint-Saëns.
I partiti, sia a destra che a sinistra, si arrovellano attorno al tema delle alleanze. Nel centrosinistra, quella tra Pd e i 5 Stelle a guida Conte. Un matrimonio d’interesse o qualcosa di più?
I matrimoni si fanno tra persone che si conoscono. I partiti italiani, per conoscersi, dovrebbero avere programmi. Invece, hanno identità liquide, saltano in groppa ai temi che si presentano quotidianamente, spesso sbagliando cavallo. Un esempio è l’errore fatto da una delle forze politiche sollevando il tema dei diritti speciali di prelievo. Un altro esempio è quello del diritto di cittadinanza acquisito in base al luogo di nascita (ius soli): se chi lo propone e chi vi si oppone riuscissero a spiegare quante persone riguarda, quali conseguenze comporta, quali costi e quali benefici può produrre, su quali tendenze demografiche si inserisce, in quale programma si innesta e quali valori cerca di realizzare, forse quelli che guardano le opposte “bandierine” potrebbero avere idee più chiare.
Professor Cassese, guardando al livello del dibattito politico in Italia, e non solo, viene da chiederle: come siamo arrivati così in basso e riusciremo a risalire la corrente?
Sono complessivamente ottimista. Un ceto politico mediocre come quello italiano è riuscito a scegliere, dalle ultime elezioni politiche, tre governi con componenti tecniche, anche se di dimensioni diverse; nessuno dei capi dei governi di questa legislatura deriva dal corpo politico; quindi, il Parlamento ha messo il suo potere nelle mani di illustri “estranei”, che tuttavia godevano di una fiducia anche più ampia delle forze politiche che li hanno investiti del potere. Tutto questo dimostra che, nonostante la grave crisi della politica, l’Italia riesce a trovare risorse e strumenti per il governo del Paese. Aggiungo la grandissima prova di coesione, rispetto dei vincoli sociali e anche di umanità, di cui ha dato prova la società italiana. Purtroppo, fanno eccezione, in questo quadro ottimistico, proprio quelli che sarebbero i maggiori rappresentanti delle forze sociali, i leader sindacali, sempre schierati sulla linea della conservazione miope, spesso tanto miope da non essere intesa neppure dalla loro base sociale (un esempio lo sciopero proclamato dai sindacati durante la pandemia, che ha avuto l’adesione del 2 per cento dei lavoratori).

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