di Stefano Ceccanti
Il 29 aprile, a pochi giorni dal 25, la rivista Reset ci invita a riflettere su “Ventotene e non solo. Le fonti del federalismo europeo”.
Non è un caso, le ispirazioni federaliste si nutrono del periodo resistenziale, della tragedia della guerra e della necessità di pensare a un futuro diverso.
Dobbiamo tener presenti non solo che le ispirazioni federaliste sono plurime, ma che esse, tutte quante, sono esposte, proprio perché sviluppate in periodi tragici di elaborazione, a rischi di fuga massimalista, a scordare che il federalismo è un processo che avanza per tappe.
Il federalismo tenta però di riprodurre nell’ordine sovranazionale, sia pure tenendo conto delle differenze tra gli Stati, il tema del monopolio legittimo dell’uso della forza. Non quindi a una ottimistica palingenesi che possa sopprimere per decreto qualsiasi uso della forza, ma che la sottometta al diritto, anche in forme parziali e imperfette. Compito più difficile rispetto agli Stati nazionali e, per questo, mentre pressoché nessuno contesta l’uso della forza all’interno dello Stato, nessuno propone di eliminare le forze di polizia su quel livello, talora riemergono utopie semplicistiche sul piano internazionale che di fronte alle difficoltà pretenderebbero lì di prescinderne, senza accorgersi della contraddizione.
Su questo nell’impostazione del personalismo, che ha anticipato l’evoluzione dell’insegnamento sociale della Chiesa, è sempre stato chiaro il ripudio del sistema delle sovranità statuali assolute e il dovere di organizzare un sistema di legittima difesa per prevenire e reprimere le aggressioni.
Troviamo queste riflessioni in Maritain già in “A travers le désastre” del 1941 sull’ “ideale storico d’una federazione di popoli liberi” e poi, dieci anni dopo, ne “L’Uomo e Lo Stato”, che collegava strettamente nuova Germania federale con Europa federale nell’orizzonte segnato dal piano Marshall e dai suoi sviluppi successivi.
Analoghe le riflessioni di Luigi Sturzo nel saggio pubblicato nel volume L’Italia e l’ordine internazionale (1944), a proposito della futura Lega della Nazioni Unite.
Queste impostazioni, tese a tenere insieme unità e differenze sul piano sovranazionale, erano del resto coerenti con l’approccio al tempo stesso anti-individualistico e anti-collettivistico di tutto il personalismo comunitario, come ha spiegato Denis de Rougemont nel suo testo “L’Europe en jeu” del 1948 e ancor più sinteticamente Alexandre Marc nel suo libro “Dialectique du déchaînement” del 1961.
Tuttavia proprio la rivista “Esprit” fondata da Mounier, che aveva questo bagaglio culturale di partenza e il cui fondatore non aveva esitato a denunciare l’appeasement franco-inglese verso Hitler a Monaco ,cadde però nel massimalismo e, a differenza di Maritain, si oppose alla Ced (non il fondatore che morì nel 1950).
Cosa accade infatti se questa volontà di superamento delle sovranità statuali secondo una logica federale si trova di fronte a un’eterogeneità internazionale, a una sfiducia reciproca che non consente di conferire a un’autorità unica il monopolio dell’uso della forza?
A questo interrogativo non rispondono ovviamente i testi scritti prima dell’esplosione della Guerra Fredda, ma non di meno un approccio riformista e federalista (nel senso processuale di federalismo) ha risposto positivamente alla creazione di Nato e Ced. Per questo non ha senso opporre De Gasperi e Sturzo ad Altiero Spinelli. Perché tutti e tre al momento giusto scelsero il bene possibile. E non a caso troviamo insieme De Gasperi e Spinelli a redigere il Trattato sulla Ced.
Analoga deve essere la riflessione di oggi sulla difesa europea circa la compatibilità di una fase 1 che passa attraverso la responsabilizzazione prioritaria dei Governi nazionali europei e di una fase 2 tesa a concertare regole e istituzioni anche attraverso nuovi Trattati tra tutti i cosiddetti volenterosi.
E’ la natura processuale del federalismo che va riscoperta più che l’idea di conformare rigidamente subito il reale all’ideale.
L’ispirazione federalista anche stavolta non può non essere processuale e muoversi tra una direzione chiara e strumenti pragmatici.